La carica dei 600. Il canone teatrale di Enzo Ferrieri da Enzo Ferrieri, rabdomante della cultura. Teatro, letteratura, cinema e radio a Milano dagli anni Venti agli anni Cinquanta, cur. Anna Modena di Oliviero Ponte di Pino
Alternanza, arroganza e tradizione locale Cosa succede al Metastasio? di Mimma Gallina
Sul sito del Metastasio è apparso nei giorni scorsi questo epitaffio:
"Dopo un triennio che ha visto il rilancio del Teatro Metastasio di Prato a livello regionale e nazionale, Federico Tiezzi lascia lo stabile toscano consegnando ai pratesi e alla Toscana la programmazione 2010-2011".
Prima di cercare di capire cosa è successo e succederà, è il caso di dare qualche coordinata sul recente passato, politico e teatrale:
- nelle ultime elezioni (22 giugno 2009) il Comune di Prato, amministrato da 63 anni dalla sinistra, è passato al centro destra;
- le nomine del direttore artistico del Teatro Metastasio-Stabile della Toscana, Federico Tiezzi, del direttore organizzativo Franco D'Ippolito e del CDA, presieduto da Geraldina Cardillo, risalgono alle precedenti amministrazioni di centro sinistra;
- a Prato il teatro è particolarmente importante, sul teatro si è puntato e investito con convinzione: dalla metà degli anni Sessanta (quando fu ristrutturato il Metastasio e il Comune ne acquisì la gestione diretta) alla breve permanenza di Strehler nel periodo dell'esilio da Milano (era il 1969), fino ai tempi del laboratorio di Prato diretto da Luca Ronconi (1976/79) e del recupero del Fabbricone, e così a seguire fino a oggi: la città di Prato ha avuto un ruolo decisivo negli assetti del Teatro Pubblico in Toscana e nella storia del teatro italiano contemporaneo;
- la fondazione e il successivo riconoscimento come Stabile Pubblico (lo Stabile della Toscana), fondato da Comune, Provincia e Regione (ma con un "azionariato" comunale del 67%, come rivendica la delibera del Consiglio Comunale che ha dettato recentemente gli indirizzi), è del 1998: insomma, il Metastasio ha solo dodici anni. In questo periodo si sono alternati alla direzione Massimo Castri (che lo ha fondato), Massimo Paganelli, Massimo Luconi, José Sanchis Sinisterra, Federico Tiezzi. Probabilmente lo stabile con il più alto tasso di alternanza: un direttore dura in media in meno di tre anni.
Se il mancato rinnovo a Tiezzi (in scadenza) è sicuramente riconducibile al cambio di amministrazione ed è stato assunto con toni di inaudita gravità (pur essendo uno dei frequenti casi di alternanza che caratterizzano l'organizzazione della cultura in Italia, come abbiam evidenziato anche nelle ultime Buone Pratiche), la passione dei politici pratesi per il teatro non era stata avara di interferenze, almeno negli ultimi dodici anni: il terreno è stato ben preparato da una radicata confusione istituzionale.
Veniamo ai fatti. La nomina del direttore artistico di uno stabile pubblico è di competenza del CDA. Tiezzi è in scadenza, i tre consiglieri di nomina comunale a loro volta scadono il 30 aprile. Il Consiglio Comunale ritiene di dover rivendicare sulla Fondazione (dove nomina la maggioranza de consiglieri) una funzione di indirizzo, richiama i consiglieri a un rapporto fiduciario e, con la delibera del 24 febbraio (assente la minoranza di sinistra), invoca: discontinuità rispetto al passato, razionalizzazione della governance, collaborazione e sinergie fra gli enti culturali, economie di scala eccetea, e di consegueza delibera:
1) Alla luce di quanto in premessa esposto, anche con riferimento alle linee contenute nel programma di mandato del sindaco ed in premessa richiamate, di accogliere la richiesta formulata dalla Giunta Comunale e quindi di formalizzare nei confronti del sindaco la seguente direttiva: "operare affinchè i membri del Consiglio di Amministrazione del Teatro Metastasio, in rappresentanza del Comune di Prato, si attengano alle disposizioni impartite dal Sindaco, in relazione alla nomina del direttore artistico della Fondazione e del conferimento, con delega, di eventuali incarichi organizzativi o artistici (art. 20 dello statuto della Fondazione), nomina ed incarichi che devono rappresentare un momento di discontinuità rispetto all'attuale gestione".
2) Di precisare che la direttiva di cui al punto 1 deve intendersi come atto di indirizzo programmatico impartito dal consiglio Comunale al futuro assetto organizzativo della Fondazione (sottolineato nel testo) e che quindi il mancato rispetto, da parte dei già menzionati membri nominati in rappresentanza del Comune di Prato, delle disposizioni come sopra impartite dal Sindaco, costituirà elemento di valutazione dei medesimi rappresentanti, anche con riferimento al rapporto fiduciario che deve necessariamente intercorrere fra gli stessi e il sindaco.
Il tono è arrogante e la sostanza molto grave: quello che viene negato è un presupposto essenziale di libertà e governabilità delle organizzazioni culturali (e in generale politiche). Un consigliere, una volta designato per le proprie qualifiche tecniche (lo statuto del Metastasio, come del resto i decreti ministeriali, parla di "persone dotate di comprovata professionalità ed esperienza nel campo della cultura teatrale e della gestione amministrativa"), pur rispondendo agli indirizzi generali dell'ente che l'ha nominato, deve essere indipendente nelle scelte di gestione e di merito. Come la scelta del direttore artistico: una delle prerogative dei consiglieri. Come può essere considerata un "indirizzo" l'indicazione precisa di "rompere" con una gestione, tanto da considerarla una condizione del rapporto di fiducia con il Sindaco?
E lo stile? Non sarebbe stato sufficiente, anziché mostrare i muscoli attraverso il più autorevole organismo elettivo della città, semplicemente suggerire ai consiglieri (era legittimo, quasi doveroso) uno slittamento della scelta del nuovo direttore, in attesa della nomina del nuovo consiglio?
Lasciamo al pubblico e ai lettori il giudizio sull'operato di Tiezzi: i dati enunciati in una recente conferenza stampa (vedi il documento del Teatro Metastasio) sono tutti in salita. Dietro ai numeri (di cui ormai nessuno si fida più) traspare la convinzione e l'orgoglio di aver lavorato bene sia nella produzione e coproduzione, sia nella presenza nella città, sia nella distribuzione nazionale; aggiungendo di presentarsi alla scadenza con una programmazione già avanzata per il 2010/11 (vedi la programmazioe del Teatro Metastasio per la prossima stagione).
La giunta intende affidare la direzione a Paolo Magelli (il regista di Prato da molti anni attivo prevalentemente all'estero) e a Massimo Luconi (già direttore e già assessore, nel nuovo organigramma è il direttore organizzativo). Le linee prevedono una compagnia stabile "leggera", un maggior rapporto del teatro con le Istituzioni cittadine, l’inserimento in circuiti internazionali. (vedi il documento del Comune di Prato). Per la cronaca, non risulta che Magelli e Luconi siano di destra - e nemmeno che stiano passando al centro destra.
Ma a chi compete ora la scelta?
I consiglieri di nomina comunale in carica – ovviamente - si sono dimessi (molti dettagli disponibili in internet), imitati dai rappresentanti di Regione e Provincia, esprimendo quindi dissenso da metodo e contenuti. L'assemblea dei soci è prevista fra una quindicina di giorni, ma nel frattempo ci stanno arrivando le elezioni...
Se ne riparlerà – probabilmente - dopo Pasqua.
Nastasi? No grazie! Arcus spa? Nemmeno! Perché non ci sono mai piaciuti di Redazione ateatro
Lo confessiamo: a noi di www.ateatro.it non è mai stato molto simpatico. Anche se Salvo Nastasi è senz’altro un funzionario davvero instancabile e meritevole: da tempo capo di gabinetto del ministero dei Beni Culturali (assolutamente bipartisan: arrivato con Urbani, è rimasto prima con Rutelli e ora con Bondi), già sub-commissario al Teatro Petruzzelli, è stato commissario straordinario al Maggio Musicale a Firenze e per il Teatro San Carlo a Napoli sedi strategiche anche per motivazioni "edili" ed "emergenziali"); nella seduta del Consiglio dei Ministri del 18 luglio 2008 è stato nominato vicepresidente del Comitato Interministeriale per le celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia e figura tra i candidati più autorevoli per gudare il Forum dela Cultura a Napoli nel 2013.
Non è certo per motivi personali che diffidavamo di lui – del resto nessuno di noi lo ha mai incontrato - ma giudicando il suo operato: la politica sullo spettacolo in questi anni.
Noi di www.ateatro.it non avevamo neppure nascosto la nostra diffidenza nei confronti di Arcus spa, una società che in questi anni ha gestito – in maniera assolutamente poco trasparente e spesso insensata - enormi somme di denaro pubblico nel campo della cultura e dello spettacolo.
Non potevano immaginare che ci fossero comportamenti scorretti, al Ministero, nei teatri commissariati o all’Arcus. Ma, indipendentemente da questo, era chiaro che quelle politiche, quei metodi e quei sistemi di gestione erano fatti apposta per generare scarsa trasparenza, storture, clientelismi, arbitri...
In questi giorni, purtroppo, i nomi di Arcus e Salvo Nastasi ricorrono spesso nelle cronache giudiziarie, a cominciare da quelle che danno conto dell’inchiesta della Procura della Repubblica di Firenze sulla corruzione nella Protezione Civile.
Pochi giorni prima che scoppiasse lo scandalo, erano corse voci sulla sostituzione del ministro Bondi con il sottosegretario Bertolaso. A infeudalo sarebbe stato i prsidente del Consiglio Silvio Belusconi in persona, che dopo la figuraccia di Bertolaso sul terremoto di Haiti con il sttosegretario di Stato USA Hillary Clinton, invece di accantonarlo, gli aveva promesso un bel ministero...
A molti la scelta appariva bizzarra, il dominus dela Protezione Civile non aveva particolari titoli per aspirare a quell’incarico (a meno di non fare l’equazione: se proprio bisogna dargli una poltrona di ministro, meglio il Mibac che un dicastero serio). Ma ragionando nella logica dell’emergenza continua, della mano libera sulle decisioni strategiche e sull’assegnazione degli appalti, la logica appare meno balzana.
Anche perché Bertolaso avrebbe potuto contare su un capo-gabinetto di assoluta efficienza, e assai apprezzato – secondo la stampa – oltre che da Bondi anche da Gianni Letta e Francesco Rutelli.
In questa pagina abbiamo raccolto una mini-rassegna stampa su Salvo Nastasi; e poi i link ad alcuni degli articoli che www.ateatro.it ha dedicato sia a Salvo Nastasi sia a Arcus spa.
SuperSalvo
Petruzzelli rinato: "Tutti uniti per ricostruirlo, così alla fine abbiamo vinto"
Leggi l’intervista a Salvo Nastasi su “la Repubblica”, 6 ottobre 2009. Vedi anche Il teatro degli imbrogli, il libro inchiesta di Antonio Cantoro sul Teatro Petruzzelli di Bari.
Forum Culture a Nastasi, sì di Bondi - Forum Culture, Bondi dà il via libera a Nastasi
"Se circola il nome di Salvo Nastasi, non posso che esserne felice: è mio collaboratore e poi so che qui a Napoli ha fatto molto", Il ministro per i Beni culturali Sandro Bondi commenta così l'ipotesi dell'attuale commissario del San Carlo come commissario del Forum delle Culture che Napoli ospiterà nel 2013.
pubblicato sul sito del Mibac l’8 ottobre 2009
Sottobraccio a Bondi
Incapace di reagire ai feroci tagli economici operati da Giulio Tremonti, poco competente in materia, incline a intendere il suo ruolo in maniera censoria, decidendo lui cosa sia da finanziare e addirittura cosa sia bello e cosa no, vittima spesso di falsi luoghi comuni, Bondi si sta dimostrando un ministro non all’altezza neanche di confrontarsi con le categorie - agli incontri con i sindacati viene portato via sotto braccio dal suo capo gabinetto Salvo Nastasi con la scusa che non ha tempo. E non è tutto. «Bondi ha applicato meccanicamente il decreto Brunetta che manda in pensione i dipendenti dello Stato con 40 anni di contributi».
Luciano Dal Fra, “l’Unità”, 8 febbraio 2010
L'emendamento ad Salvum
''Invece di potenziare le sovrintendenze, il ministro dei beni culturali Sandro Bondi taglia posti da sovrintendente, da direttori di Archivio e di Biblioteca''. E' quanto afferma il segretario generale della Uil beni culturali, Gianfranco Cerasoli, spiegando che questo avverrebbe grazie ad un provvedimento che consentirebbe di "stabilizzare nel ruolo di Direttore Generale del Mibac il suo Capo di Gabinetto''. La questione si pone dall'approvazione in Senato del 'disegno di legge sulla protezione civile n.195'. All'articolo 14 ''grazie ad un emendamento del senatore Antonio D'Alì' che fa riferimento ai beni culturali - aggiunge il sindacalista - si prevede un provvedimento che non si applica in nessun altro caso, ma solo al Capo di Gabinetto permettendogli la stabilizzazione a vita nel ruolo di Direttore Generale''. ''La gravità dell'emendamento già approvato dall'aula del Senato - rileva Cerasoli - sta nel fatto che per coprire la spesa del Direttore Generale, il ministro Bondi farà un decreto Ministeriale per tagliare almeno 2/3 posti da Dirigente di seconda fascia. Questo significa che taglierà posti da Soprintendente, da Direttori di Archivio e di Biblioteca alla faccia della tutela''. Per questo la Uil chiede al Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ''nonché a tutti i parlamentari che hanno a cuore le sorti del patrimonio culturale Italiano - conclude il segretario generale della Uil beni culturali - di cancellare la norma che rappresenta uno schiaffo alle norme vigenti in tema di Dirigenza Generale nonché ai tanti soprintendenti, direttori e funzionari che operano giornalmente in frontiera''.
COORDINAMENTO NAZIONALE UIL BENI E ATTIVITA’ CULTURALI, AdnKronos 8 febbraio 2010
Nastasi tra i rifiuti (ovvero Cultura e Protezione civile, o se preferite la Cultura della Protezione civile, ovvero la Protezione civile della Cultura)
Ciò che sta per accadere nei beni culturali è di una gravità unica, il Ministro Bondi approfitta in Senato del disegno di legge di conversione in legge del d.legge 30 dicembre 2009, n.195, recante disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, per l'avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile (1956), per stabilizzare nel ruolo di Direttore Generale del Mibac il suo Capo di Gabinetto Salvatore Nastasi.
Infatti all’articolo 14 (Personale del Dipartimento della protezione civile) grazie ad un emendamento del senatore Antonio D'Alì nella parte che prevede la deroga in materia di personale “al fine di assicurare la piena operatività del Servizio nazionale di protezione civile per fronteggiare le crescenti richieste d'intervento in tutti i contesti di propria competenza” , aggiunge anche il settore dei beni culturali “anche con riferimento alle complesse iniziative in atto per la tutela del patrimonio culturale”.
Qualunque cittadino leggendo tale inciso penserebbe ad una proditoria iniziativa del Ministro Bondi che finalmente si muove per garantire la TUTELA del patrimonio culturale magari approfittando del vagone della Protezione Civile , a cui non si nega nulla, per potenziare le Soprintendenze , gli Archivi e le Biblioteche che stentano sul territorio poiché non hanno Dirigenti, funzionari e risorse.
In realtà la norma è stata costruita solo per stabilizzare il suo Capo di Gabinetto Salvatore Nastasi nei ruoli della Dirigenza Generale del Mibac .
Infatti Salvatore Nastasi, funzionario di III area è titolare da oltre 5 anni di un incarico ex comma 6 del d.leg.vo 165/2001 quale Direttore Generale dello Spettacolo dal Vivo e dall’avvento di Bondi ai Beni Culturali è anche Capo di Gabinetto del Ministero .
L’emendamento del Sen. D'Alì nei beni culturali non si applica in nessun altro caso ma solo al Capo di Gabinetto permettendogli la stabilizzazione a vita nel ruolo di Direttore Generale.
La gravità dell’emendamento già approvato dall’aula del Senato sta nel fatto che per coprire i costi per stabilizzare il posto da Direttore Generale , il Ministro Bondi farà un decreto Ministeriale per tagliare almeno 2/3 posti da Dirigente di seconda fascia.
Questo significa che taglierà posti da Soprintendente, da Direttori di Archivio e di Biblioteca alla faccia della TUTELA.
Per questo la Uil chiede al Presidente della Camera on Fini nonché a tutti i Parlamentari che hanno a cuore le sorti del patrimonio culturale Italiano di cancellare la norma che rappresenta uno schiaffo alle norme vigenti in tema di Dirigenza Generale nonché ai tanti Soprintendenti, Direttori nonché funzionari che operano giornalmente in frontiera.
Basta con le norme ad personam, si rispetti la legalità, basta mandare messaggi devastanti ai tanti giovani in cerca di un posto di lavoro.
Gianfranco Cerasoli, segretario generale della Uil beni culturali, AdnKronos, 8 febbraio 2010
L'emendamento ad Salvum: il testo Legislatura 16º - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 328 del 04/02/2010
Allegato A
DISEGNO DI LEGGE
Conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2009, n.195, recante disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, per l'avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile (1956)
14.4 (testo 2)
IL RELATORE
Approvato
Al comma 1, dopo le parole: «contesti di propria competenza,» inserire le seguenti: «anche con riferimento alle complesse iniziative in atto per la tutela del patrimonio culturale,»; ed aggiungere, in fine, il seguente periodo: «Per le medesime esigenze di cui al presente comma, il Ministero per i beni e le attività culturali è autorizzato ad inquadrare nel ruolo dei dirigenti di prima fascia e nei limiti della relativa dotazione organica, i dipendenti di ruolo dello stesso Ministero titolari di incarichi di funzione dirigenziale di livello generale presso il Ministero medesimo ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, che abbiano maturato, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, almeno cinque anni di anzianità nell'incarico.
Al relativo onere si provvede mediante l'indisponibilità di corrispondenti posti di dirigente di seconda fascia effettivamente coperti da accertare con decreto del Ministro competente da registrare alla Corte dei Conti».
Sulla vicenda, leggi anche l'articolo di Luca Del Fra, l'Unità", 9 febbraio 2010.
L’uomo di Salvo
L'incipit è il 30 luglio del 2008. In piazza Fontanella Borghese. "Il circolo della caccia". Intorno a un tavolo "prenotato dal conte Piscitelli", si appartano - documenta con fotografie il "servizio di pedinamento e osservazione" disposto dal Ros - Denis Verdini, Francesco Piscicelli, Antonio Di Nardo e un tale Leonardo Benvenuti, 38 anni di Gela, "personaggio - scrivono i carabinieri - inserito nel sottobosco politico-amministrativo, facente capo all'onorevole Rocco Girlanda (Pdl) e all'onorevole Denis Verdini". Non ci sono cimici a registrare il contenuto di quel pranzo. Ma il Ros ne ricostruisce l'esito. Verdini entra nella partita e viene invitato a contattare il capo della "cricca", Angelo Balducci. I due non si conoscono neppure (Balducci, che non ha la più pallida idea di chi sia, con la sua segretaria ne storpia il cognome in "Verini"), ma, a quanto pare, si piacciono.
Alle 19.15 del 30 luglio, Angelo Balducci (B), al telefono con Fabio De Santis, riassume infatti così il suo incontro, appena concluso, con il coordinatore del Pdl.
B: "Fabio, sono appena uscito... È molto amico degli ex marescialli...(il riferimento è alla Btp, verosimilmente ndr.). Una bella figura. Un toscanaccio di questi. Ma terribile. È andata al di là di ogni aspettativa, perché lui sapeva già tutto... programma... eccetera. E mi ha passato al telefono... diciamo il collaboratore di Salvo (Salvo Nastasi, attuale capo di gabinetto del ministro Sandro Bondi ndr.). Gli ho detto dei problemi di... insomma... un po' tutto. Lui mi ha detto: "Io sono qua per risolvere insieme a lei... insieme a chi dice lei questi problemi... sul piano, chiamiamoli così, del territorio. Per il resto andiamo avanti come dei treni". È anche uno godereccio. Nel senso, simpatico. Sai, no? Il toscano... ".
Carlo Bonini, “la Repubblica”, 16 febbraio 2010.
L’uomo di Rutelli
Il mondo romano dei ministeri. È la fine del 2007 e Francesco Rutelli, vicepremier e ministro per i Beni culturali, viene evocato nei dialoghi fra imprenditori, costruttori, faccendieri vari. E con lui viene chiamata in causa quella nomenklatura che alberga nei ministeri. Vincenzo Di Nardo, direttore generale dell’impresa di costruzioni Btp di Firenze, si sfoga per esempio con un conoscente per aver perso l’appalto del Nuovo teatro della Musica di Firenze: «Il Presidente della Commissione è Nastasi, Salvo Nastasi che è l’uomo di Rutelli nella parte musicale... è stato anche al Maggio musicale di Firenze... è stato per tanti anni, per tre o quattro anni il commissario».
Un business da 80 milioni di euro. E Di Nardo, sfiduciato, chiama l’architetto Andrea Maffei: «Chi è che decideva in questa banda?», chiede Maffei. «Tale ruolo - risponde Di Nardo - è ricoperto dall’ingegner Angelo Balducci, questo Balducci che è l’ex provveditore delle opere pubbliche a Roma ed è l’uomo di Rutelli dentro il ministero... capito? e sono tutti uomini suoi. Fabio De Santis che ha firmato il progetto è un dipendente sottostante a Balducci... capito? La Forleo che ha ha aperto le buste è una dipendente sottostante a Balducci... erano tutti con lui al provveditorato alle opere pubbliche di Roma e poi si sono trasferiti».
Ora Balducci e De Santis sono stati arrestati. Ma in quelle ore la rabbia di Di Nardo è incontenibile. E in un altro colloquio con Maffei è anche più esplicito: «Ascolti, il dato di fatto è questo, che questo è un appalto banditesco... punto e basta... cioè noi si è cercato ma sa c’è un sottobosco romano che è fatto di gente che bazzica i ministeri... ci sta tutte le mattine... capito?»
Stefano Zurlo, “il Giornale”, 17 febbraio 2010
Che non esca questa storia
A scatenare la curiosità dei carabinieri del Ros sul Petruzzelli è una riunione che si svolge a Bari un venerdì di fine gennaio 2009, della quale parlano De Santis ed Emiliano Cerasi, che è amministratore della Sac (l’impresa che deve costruire il nuovo teatro di Firenze) ma anche socio della Ricostruzione Teatro Petruzzelli scarl. «Sì Fabietto, ti volevo dire... Io sto spostando tutto, ci vieni venerdì a Bari? Ah ecco, è confermato, perché io allora… Sarebbe pure opportuno che ci fosse Martines... Hai notizie che ci sia?». Cerasi chiede poi conferma a De Santis anche della presenza di Salvo Nastasi, capo di gabinetto del ministro Bondi e sub-commissario alla ricostruzione del Petruzzelli. Anche il nome di Nastasi appare numerose volte nelle carte dell’inchiesta. E spesso sembra preoccupato, come quando dà disposizioni a De Santis sulla cose da dire nella cerimonia per la posa della prima pietra del teatro di Firenze: «Miraccomando che non esca questa storia che ci vogliono altri soldi da parte dei Beni Culturali, eh? Succede un inferno... No perché voi andate a ruota libera, tipo Petruzzelli...».
g.l. - m.s., “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 19 febbraio 2010
La Camera boccia il Salva Nastasi: riguardava una persona sola, spiega Bertolaso
ANSA (POL) - 18/02/2010 - 18.44.00: La Camera dei deputati ha cancellato dal decreto per le emergenze la norma che permetteva la stabilizzazione nel ruolo di direttore generale del ministero dei beni culturali l'attuale capo di gabinetto del ministro Bondi, Salvatore Nastasi. Lo rileva la Uil beni culturali che nei giorni scorsi aveva denunciato la vicenda con un appello al presidente della Camera Fini e a tutti i partiti e che ora ''esprime soddisfazione per la scelta fatta''. ''Avevo denunciato, già nella discussione al Senato, l'oscenità e lo scandalo di una simile procedura che avrebbe cancellato tre posti da Soprintendente e di Direttore di Archivio e Biblioteche solo per garantire il posto a vita ad 1 sola persona'', sottolinea il segretario generale Gianfranco Cerasoli. Il sindacalista sottolinea anche che la norma non si sarebbe applicata a Gaetano Blandini, che dalla fine del 2009 è stato nominato direttore generale della Siae e si è dimesso dal ministero.
AGI (POL) - 18/02/2010 - 18.46.00: Sparisce dal decreto emergenze e Protezione civile una norma che avrebbe consentito la promozione a dirigenti del ministero dei Beni culturali dei dipendenti di ruolo dello stesso ministero già titolari di incarichi di funzione dirigenziale che avessero maturato cinque anni di anzianità nell'incarico. Si trattava, ha poi specificato il sottosegretario Guido Bertolaso, di una sola persona. Il testo era stato inserito in Senato e la Camera ha approvato all'unanimità un emendamento soppressivo, presentato da Sergio Piffari dell'Idv, che aveva parere positivo di commissione e governo. La norma ha suscitato la curiosità dell'opposizione: Giorgio la Malfa, Erminio Quartiani e Piero Fassino hanno chiesto a più riprese a Bertolaso, presente in aula, di chiarire la portata della misura. E alla fine Bertolaso, dopo avere chiesto lumi al ministero come lui stesso ha spiegato, ha chiarito: "Riguardava una persona sola".
Per approfondire: clicca qui.
Mi piace andare a teatro
«Bene, bene, mi piace andare a teatro»: così Pierfrancesco Gagliardi esprime tutta la sua soddisfazione di fronte alla notizia di aver acquisito nel suo «portafoglio lavori» - e mi raccomando portafoglio – anche il restauro del Teatro di San Carlo a Napoli. A comunicargli il lieto evento è suo cognato Francesco Piscicelli: sono i due che ridevano la notte del terremoto dell’Aquila. Cosa c’è di strano in questa conversazione intercettata dagli inquirenti nell’inchiesta sulla Protezione civile? Che è avvenuta il 25 maggio 2008 mentre la gara d’appalto si apriva solo il 4 giugno successivo: insomma non erano state depositate, e forse neppure ancora formulate le offerte, la cui data di ultima consegna era il 31 luglio.
Nell’inchiesta dei magistrati fiorentini emerge un fiume carsico di fango che riguarda i beni culturali, in particolare i nostri teatri d’opera. È il modo della destra di mettere le mani sulla cultura, e, incapace di proporre un ceto intellettuale da mettere alla testa delle istituzioni, va all’attacco con le sue solite truppe da sbarco: imprese edili e cantieri per centinaia di milioni di euro. Si fanno lavori spendendo più di quanto non si faccia perché i teatri possano funzionare. Non casualmente l’arrembaggio parte dai cosiddetti Letta boys: nel suo schieramento politico recalcitrante alla cultura, il sempiterno Gianni infatti è il primo a intuirne le potenzialità. E il fiume si snoda in una sorta di circumnavigazione della penisola, che parte dal restauro della Fenice di Venezia, dove come commissario straordinario alla ricostruzione Angelo Balducci s’è scaldato i muscoli, giù per la dorsale adriatica fino al Petruzzelli di Bari, scavalcando l’Irpinia fino a Napoli, e poi su verso nuove ed eccitanti avventure nel grande affare della nuova città della musica a Firenze.
Sugli appalti del San Carlo emergono sospetti: il 3 luglio, bando aperto ma buste ancora chiuse, Salvo Nastasi, capo gabinetto del ministro Sandro Bondi, direttore generale dello spettacolo dal vivo al Ministero della cultura e commissario del teatro partenopeo, chiama per un incontro urgente prima Balducci e poi vede Francesco De Santis, «per una questione un po' delicata». A incontro terminato, De Santis chiama Balducci e gli spiega che Nastasi è preoccupato per i «rumor esterni»; poi cambia utenza telefonica per parlare più «liberamente» e continua: «Era talmente preoccupato che c'aveva Sgarbi che aveva fatto accomodare, è uscito, abbiamo passeggiato nei corridoi: quindi l'ha lasciato lì». La descrizione della situazione che fa Nastasi è «catastrofica», così a Balducci riferisce De Santis che imputa il fatto a «un po' di battute a destra, un po’ a sinistra, ... una battuta gliel'ha fatta il sottosegretario (probabilmente Francesco Giro), insomma l'ha messa in una forma particolarmente grave». Balducci si stizzisce: «questo fatto di Salvo mi scoccia molto, sai perchè? Perchè ti rendi conto con che, - quando io dico, purtroppo -, con che clima bisogna confrontarsi». Comunque garantisce Balducci: «Tanto noi faremo una cosa: una commissione molto severa, molto. Ci mancherebbe».
Il 7 ottobre 2008 è pubblicato l’esito della gara, la severissima commissione ha affidato i lavori alla costituenda Consortile Restauro Teatro San Carlo: vi figurano la Cobar, Imac di Piero Murino risultato in stretti rapporti con Diego Anemone e con cui spesso collaborano Piscicelli e Gagliardi, Consorzio ITL e così via. I soliti noti, che si ritrovano dalla ricostruzione del Petruzzelli ai cantieri del G8, naturalmente a L’Aquila e in futuro a Firenze. «Dei rumors non ho ricordo, – spiega Salvo Nastasi che in quei giorni era attivo su molti tavoli che riguardavano il San Carlo, ma precisa –, non mi occupavo in prima persona dei lavori del restauro. Ma sono contento che questa storia sia uscita fuori, perché volevo una commissione di alto profilo, per giudicare il migliore dei progetti presentati».
Eppure il caso del San Carlo è emblematico anche in altro senso: tra i pochi cantieri ad aver rispettato tempi e preventivi, con un restauro che ha reso lo splendore, ma su cui pesa uno sfregio: il nuovo foyer, ricavato sotto la platea. E a che prezzo? Una immensa e costosissima gru con braccio plurisnodato è scesa giù dal tetto della torre scenica, attraversando il boccascena ha sfondato il pavimento della platea: un bellissimo parquet sostituito con un doghettato stile Ikea. Per molti una ferita.
”l’Unità”, 20 febbraio 2010
Pluricitato in tutti i 20 faldoni
“A pagina 302 del 12esimo faldone c’è spazio per un’altra intercettazione di Balducci, stavolta con Salvo Nastasi, capo di gabinetto del ministro Sandro Bondi, a sua volta pluricitato in tutti e 20 i faldoni dell’inchiesta [della Procura di Firenze]”.
Gian Marco Chiocci, “il Giornale”, 17 febbraio 2010
La nomenklatura dei commissari
Questi soldi sono briciole rispetto al vero piatto forte di Ales-Cultura Spa. In palio ci sono 2,5 miliardi di euro di fondi europei e interregionali (Por e Poin) da investire da qui al 2013. La torta è davvero gigantesca. Lo aveva annunciato il premier in persona lo scorso 29 luglio in una visita al Mibac che ha segnato l'insediamento di Resca: l'Italia spende poco in cultura. Le cifre le ha fornite Price Waterhouse Coopers. Per i nostri 3.400 musei, 2 mila aree e parchi archeologici e 43 siti Unesco l'investimento pubblico è di 4 miliardi di euro (0,28 per cento del Pil), mentre il settore culturale e creativo vale 40 miliardi di euro (2,6 per cento del Pil) e il turismo culturale fattura 54 miliardi. Le galline dalle uova d'oro, quelle su cui punta Ales, sono la soprintendenza archeologica di Roma (96 milioni di entrate totali) appena affidata a Giuseppe Proietti con Bertolaso commissario fino al terremoto in Abruzzo, quando è stato sostituito da Roberto Cecchi. Seconda per incassi è l'area di Pompei (46 milioni di euro), sottoposta al commissario Marcello Fiori, già vicecapo di gabinetto di Francesco Rutelli sindaco ed ex braccio destro di Bertolaso. Terzo è il polo museale fiorentino (33 milioni di entrate), con Elisabetta Fabbri commissario, seguito da Napoli e Venezia con circa 30 milioni di euro di entrate complessive.
Anche gli appuntamenti prossimi venturi saranno gestiti con piglio commissariale. Esemplare la vicenda del Forum delle culture, che l'Unesco ha previsto a Napoli nel 2013. Per il Forum ballano 1,3 miliardi di euro di finanziamenti. A novembre il governo ha detto alle autorità locali che concederà al Forum lo status di grande evento in cambio di - indovinate - un commissario. Chi? I candidati erano Bertolaso e Salvo Nastasi, capo di gabinetto del Mibac. Si maligna che sia lui ad avere suggerito Giovanni Minoli, padre della fidanzata Giulia, come presidente del museo di Rivoli. Voci più velenose sottolineano che Nastasi deve qualcosa della sua carriera alla madre, Enrica Laterza, magistrato della Corte dei conti nella sezione di controllo sugli enti pubblici. Di certo Nastasi è l'enfant prodige del Sovnarkom. A 36 anni ha già esercitato i poteri commissariali al Maggio Fiorentino, all'Arena di Verona e al San Carlo di Napoli con 30 milioni di lavori, 1 milione di emolumenti per lui e l'étoile Roberto Bolle a insegnare danza. Per il San Carlo, Nastasi è finito nelle intercettazioni insieme agli arrestati Fabio De Santis (commissario per agli appalti dei 150 anni dell'Unità), Angelo Balducci (ex commissario del Petruzzelli e dei Mondiali di nuoto), e ai due ineffabili cognati ridens Piscicelli e Gagliardi, il quale commenta a proposito degli appalti per il restauro: "Bene bene. Mi piace andare a teatro".
Nastasi debutta appunto come direttore del Mibac per il teatro e gli spettacoli dal vivo. Al tempo ha trent'anni e con lui c'è il suo dioscuro con delega per il cinema, Gaetano Blandini. Non avrebbero i titoli per il ruolo ma la Corte dei conti, dopo uno scambio di pareri con il ministero, sentenzia che li hanno. Dal 2004, grazie alla benedizione di Gianni Letta, fanno carriera sotto quattro ministri: Giuliano Urbani, appena ingaggiato da Resca, Rocco Buttiglione, Francesco Rutelli e ora Sandro Bondi. È il momento in cui si cementa l'amicizia fra l'emergente Blandini, cresciuto alla scuola andreottiana di Carmelo Rocca, e Balducci che ha moglie produttrice cinematografica (Rosanna Thau con Erreti insieme alla moglie di Diego Anemone) e un figlio, Lorenzo, attore. Nel 2007 la commissione per il finanziamento pubblico presieduta da Blandini assegna un contributo di 1,8 milioni di euro a 'Last minute Marocco'. Nel film, coprodotto dalla moglie di Balducci assieme a Maria Grazia Cucinotta e il marito Giulio Violati, recita Lorenzo Balducci. L'incasso è di poco superiore ai 400 mila euro. Del resto, nel cinema di Stato girano sempre meno soldi. Nel 2009 'Viola di mare', sempre prodotto dalla Italian dreams factory di Cucinotta e Violati, ha ricevuto appena 650 mila euro.
Gianfrancesco Turano, "l'Espresso online", 26 febbraio 2010
I Beni Culturali spa in Salvo
La Beni Culturali Spa, un’evoluzione della specie della Protezione Civile Spa, è già pronta a partire sotto i buoni auspici di Gianni Letta se non fosse per i magistrati fiorentini che inchiodano la cricca della bertolasocrazia tutta protesa alla conquista della prateria di appalti che si apre per la valorizzazione del patrimonio storico e monumentale.
E al Petruzzelli di Bari che si fa le ossa come sub-commissario un giovanotto rampante asceso infine a capo di Gabinetto del ministro Bondi. Trentasei anni, si chiama Salvo Nastasi e dalla tolda ministeriale controlla il partito dei commissari e l’annessa galassia di appaltatori del cuore.
Egli stesso è stato commissario al Maggio Fiorentino e al teatro San Carlo di Napoli, dove ai lavori di restauro ha partecipato Pierfrancesco Gagliardi, quello che sghignazzava con suo cognato Francesco Piscicelli la notte del terremoto all’Aquila. Dipendente del ministero al settimo livello, questo Nastasi stava per diventare direttore generale senza concorso, per decreto, con un emendamento ad personam del senatore Antonio D`Alì.
Alberto Statera, “la Repubblica”, 27 febbraio 2010
Una presenza ingombrante
'Gli accertamenti patrimoniali - rimarca Cerasoli - devono riguardare anche i sindacalisti. Tra l'altro - aggiunge - i coinvolgimenti che stanno emergendo e le ramificazioni tra alcuni personaggi del Mibac, che vedono eventi e manifestazioni organizzate da talune società che rientrano nell'orbita dell'attività della Protezione Civile - come nel caso di L'Aquila, ma anche Pompei - dovrebbero indurre il ministro Bondi e il governo a revocare i commissariamenti di Roma, Uffizi, Brera, Pompei e L'Aquila che servono solo ad aumentare i costi e a pagare (eccetto quella di Roma) parcelle ai commissari''.
''Allo stesso tempo - conclude il segretario generale della Uil Beni culturali - ritengo che la presenza di Salvo Nastasi, nel ruolo di capo di gabinetto del ministero, sia diventata ingombrante e va risolta con urgenza''.
adnkronos, 27 febbraio 2010
Aggironamento: Il mondo ci invidia L'autodifesa di Nastasi
Su tutti quelli che hann collabrato in questi anni nei nostro grandi teatri, come per altre opere, non è giusto ettare ombre. Certo si tratta degli stessi nomi: sono quelli che il mondo ci invidia.
Salvo Nastasi, da un'intervista di Cristina Zagaria, "la Repubblica" ed. Napoli, 28 febbraio 2010
Bella creatura o salvadanaio pazzo? Arcus spa tra errori del passato e opportunità per il futuro di Mimma Gallina
Arcus spa sta tornando al centro dell'attenzione (vedi l'articolo di Carmelo Lopapa su "la Repubblica", 28 febbraio 2010, oltre che il nostro servizio).
Quando nel 2004 il primo presidente, Mario Caccia - con comunicati e attraverso interviste in stile cinegiornale Luce - definì la neonata ARCUS spa come "la più bella creatura" di quella legislatura, nata da un inedito accordo bipartisan in Commissione (un fatto che portò a una rapidissima approvazione senza passaggio in aula: anche perché un'"agenzia" molto simile risultava già in un progetto del governo precedente), in pochi potevano prevedere che quella società per azioni, azionista unico lo Stato, attraverso due dicasteri - MIBAC e Ministero delle Infrastrutture - fosse il prototipo di quel modus operandi, di quel trionfo del "fare" destinato a un luminoso futuro. Lo scopo era nobile e condiviso: sostenere "progetti" e "iniziative di investimenti" collegate ai beni e alle attività di spettacolo (statuto, art. 2).
In realtà - malgrado Caccia - Arcus operò da subito con grande discrezione, nell'ombra se non in semiclandestinità. Fin dall’inizio vi furono scelte discutibili, da un museo del vino alla festa del Santo Patrono, che era meglio non sbandierare. Il modello si rivelò un déjà vu da bassa cucina, ma in pochi se ne accorsero (fra cui www.ateatro.it; ma sui primi tempi di Arcus, vedi anche Mimma Galllina, Il teatro possibile, Franco Angeli, 2005).
L’era Lunardi portò ARCUS agli onori delle cronache. Davvero troppi soldi a Parma, la città del Ministro delle Infrastrutture, dall'Orchestra Toscanini a Parma Capitale della Musica.... Ma - precisava il Ministro dei Beni e delle Attività culturali di allora, Urbani - l'ampia distribuzione territoriale e di genere non meritava quelle illazioni. Infatti, faceva notare il ministro, c'erano fra gli altri (in quel 2004): l'Auditorium di Roma e la tournée del Piccolo Teatro di Milano negli USA.
Da allora, di soldi ne sono arrivati un po' dappertutto - a volte in quantità davvero consistenti - in alcuni casi episodicamente, in altri con encomiabile regolarità. E se per chiese, festival di musica sacra e santi patroni si continuava ad avere un occhio di riguardo, nel campo dello spettacolo senza ARCUS molte prestigiose tournée internazionali sarebbero state impossibili, alcune ristrutturazioni non sarebbero andate a buon fine, qualche attività del tutto ordinaria sarebbe stata un po' meno appariscente, alcune situazioni fallimentari forse sarebbero davvero fallite. Una distribuzione oculata, che certo mette a tacere molti ma non può accontentare tutti: ma non è escluso - ci piace pensare anche di questi tempi - che qualcuno ci credesse davvero all'utilità di quella buona idea (perchè poteva essere una buona idea), e alla possibilità di farla funzionare.
Però alla lunga il fatto che l'attività di un ente come Acus non sia del tutto – anzi, non sia affatto - coerente con gli scopi statutari non poteva passare inosservato. Il singolare originario unanimismo ha iniziato a scricchiolare. Qualcuno ha cominciato ad accorgersi che non c'era nemmeno un regolamento. Sono arrivati i rilievi della Corte dei Conti: incoerenza fra scopi e interventi, discutibile gestione. Inevitabile: la “creatura più bella” è stata commissariata. C'è chi (come Bondi) promette un rilancio degli obiettivi originari e chi chiede lo scioglimento. Il progetto legge Carlucci – a quanto risulta a www.ateatro.it - prevede che, nel campo dello spettacolo, Arcus possa intervenire solo sulle ristrutturazioni dei teatri.
Arcus spa non è mai stata quel centro per lo sviluppo del settore - agile, moderno e lungimirante - di cui si favoleggiava. E’ stato in sostanza due altre cose.
In primo luogo, un "salvadanaio" per emergenze e clientele (di cui hanno beneficiato in sei anni numerosi soggetti, molti con cortese regolarità).
E poi è stato un braccio esecutivo del Ministero, per "spese di rappresentanza" (le grandi tournée) o interventi speciali, difficilmente transitabili attraverso i canali ordinari: per esempio, il sostegno a Cinecittà nel prossimo triennio, pari a 15.800.000 €.
Insomma, un progetto coerente (questo sì) con la progressiva tendenza alla discrezionalità che ha caratterizzato in questi anni le politiche del governo Berlusconi nei confronti di cultura e spettacolo (e non solo). Viene quasi il sospetto che le offese e il disprezzo nei confronti del settore nel suo complesso potesse servire proprio a coprire arbitri più arbitrari del solito...
Dopo un lungo periodo di paralisi (e una frustrante mappa territoriale che mostrava gli interventi per regione, con poche indicazioni su soggetti/progetti e senza cifre), di recente il sito di Arcus è tornato ad animarsi: con i dati dei progetti sostenuti fino a oggi e un piano triennale, 2010/2012, per un totale di 200.000.000 €: non sono pochi, se pensiamo che il FUS ha ripartito fra i settori - nel 2008 - 456.000.000 € (dato Osservatorio dello spettacolo).
Ma la trasparenza non consola. Non sarebbe né corretto né generoso pensare che non ci siano progetti e necessità vere dietro gli stanziamenti elencati dal 2004 al 2009. Ma quanto hanno contato le relazioni personali? Perché proprio quei progetti e non altri? Quanti non sapevano, non ci hanno pensato o sono stati scoraggiati?
Ravenna Festival, le tournée del Piccolo e degli enti lirici, il Festival Pucciniano a Torre del Lago, il Salone Pier Lombardo erano davvero tanto molto "progettuali" e più bisognosi di altri? (Sul sito Arcusonline trovate tutto: o meglio, tutti i titoli, ma nessun progetto.)
Meglio pensare al futuro. Il sito ricorda che: “ARCUS S.P.A. ha il compito di sostenere e avviare progetti ambiziosi riguardanti i beni e le attività culturali, anche nella loro connessione con le infrastrutture, perseguendo la visione di contribuire a tradurre i beni e le attività culturali da oggetto passivo di osservazione a soggetto attivo di sviluppo”.
Un ritorno alle origini? Forse.
Il sito annuncia un piano di interventi triennale 2010-12, con un preciso elenco di soggetti già definiti (mentre – e già questo è un controsenso - si raccomanda di non presentare domande finché non uscirà il bando 2010!). I soggetti di spettacolo già selezionati e per cui è stato quantificato un contributo sono spesso vecchi amici di Arcus, con qualche new entry. Fra gli altri: Ravenna Festival, Festival Verdi, il Teatro dell’Archivolto a Genova (per un progetto Teatro fra letteratura e danza), l'Associazione Arte in Scena, la Fondazione Teatro Piemonte Europa, il Festival della Valle di Noto, la Formazione Orchestrale a Fiesole, il Festival pucciniano, il festival di Todi, il teatro di Amelia (che ha colpito molto “Repubblica”, 28 febbraio 2010), un Laboratorio Lirico del Veneto. E inoltre il Teatro Comunale di Andria, il Festival di Musica Sacra Pergolesi-Pergolesi Spontini e l'ETI - che per la verità si accontenta di 1.290.000 € in tre anni per progetti nazionali e internazionali.
Poi ci sono generiche voci che dovrebbero smuovere qualche parlamentare, come generici sostegni ad attività di cultura a Roma e a Palermo. Ma non dovrebbe lasciare indifferenti la ripartizione territoriale del tutto casuale (ma forse no). Le voci sono molte e richiederebbero un’analisi più puntuale.
Rispetto ai 40.040.000 € già stanziati per lo spettacolo (su un totale di 200.000.000, di cui circa 5.500.000 di utili dalla precedente gestione), c'è la fondata speranza che se ne aggiungano altri: si potrebbe scommettere sul sostegno a qualche tournée internazionale, per esempio.
Vedendo la composizione del cda di Arcus viene però spontanea una domanda di fondo: il presidente, professor Salvatore Italia, e i consiglieri dott. Mario Belfiore, arch. Sergio Colombo, avv. Paolo Dalla Vecchia, on.le dott. Giacomo de Ghislanzoni Cardoli, avv. Marcello Franco, dott. Mauro Mainardi, con il direttore manager Pietrabissa e i pochissimi dipendenti (persi nel grande e costoso ufficio di cui parla “Repubblica”), sono davvero in grado di valutare nel merito i progetti che approdao ad Arcus? Non stiamo certo parlando dell'analisi economica tecnica e preventiva e consuntiva, su cui non vogliamo dubitare. Ma della competenza specifica nel settore dello spettacolo.
Discrezionalità e incompetenza (compensata dalla tendenza a dar retta alle “sollecitazioni” degli amici) sono un dato di fatto che un po' ovunque condiziona pesantemente il teatro italiano, come è emerso alle ultime Buone Pratiche. Diventano un'offesa ancora maggiore quando in ballo ci sono risorse vere (soldi dei contribuenti, oltretutto), in un periodo di magra. Risorse che possono decidere la vita o la morte di un progetto o di un soggetto.
Non sembra così probabile che Arcus si sciolga in tempi brevi. Allora, per limitare i danni, sarebbe opportuno esigere che il bando in uscita sia adeguatamente diffuso e che i criteri di valutazione e le scelte siano davvero trasparenti.
Come www.ateatro.it per quanto possibile ce ne faremo carico. Speriamo che anche l'AGIS si renda conto che opportunità come queste vanno diffuse - non possono essere privilegio di pochi associati - e sottoposte al controllo democratico. Più ancora, contiamo sulle informazioni che possono arrivare dalle numerose aggregazioni indipendenti nate di recente, dai movimenti spontanei del nuovo teatro e dal web.
I prossimi tre anni di Arcus forse non saranno, se sapremo vigilare, come i sei precedenti.
Fermenti teatrali a Nord Est Cronaca e incontri a margine della conferenza Scena e Controscena, Marghera, mecoledì 13 gennaio 2010 di David Benvenuto
Questa relazione/cronaca è parte della ricerca del gruppo di lavoro “Spazi e prospettive per il giovane teatro e il giovane pubblico in Veneto” (Ca’ Foscari-Tars, corso “Pratiche gestionali del teatro pubblico”)
Il fermento teatrale del Nordest italiano degli ultimi anni è ormai cosa nota, specie per quanto riguarda la zona del Veneto. Molte sono le compagnie venete che hanno ricevuto prestigiosi riconoscimenti: Babilonia Teatri (Premio Scenario 2007, Nomination Premi Ubu 2008), Pathosformel (Segnalazione Premio Scenario 2007, Premio Ubu 2008), Anagoor (Segnalazione Premio Scenario 2009), Fagarazzi&Zuffellato (Premio Extra 2007/08, Vincitori del bando Moving di Fabbrica Europa), Plumes Dans la tête (inseriti nel progetto Nuove Creatività dell'ETI) sono solo alcune delle compagnie che il critico Renato Palazzi ha definito Generazione T. Quest'ultimo non è l'unico tentativo di denominazione. Basti pensare che solo al convegno Scena e Controscena del 13 gennaio 2010 al Teatro Aurora di Marghera sono ben tre le ulteriori denominazioni che gli addetti ai lavori hanno tentato di dare. Si è passati dalla Generazione 2000 di Antonino Varvarà, direttore artistico del Teatro Aurora, alla Generazione 00 di Andrea Nanni, finendo con la Generazione 2.0 di Giambattista Marchetto.
Ma a controbattere a questo sentito bisogno di incasellare in qualche modo le compagnie sono proprio i diretti interessati, i giovani teatranti. Come ben spiega Roberta Zanardo dei Santasangre, la definizione di una generazione sembra fare riferimento a una relazione con il passato, mentre i giovani qui presenti invocano, piuttosto, un collegamento con il complicato futuro che dovranno affrontare. Ed è proprio questa la prima difficoltà emersa nel convegno: all'apparente bisogno di proclamare una nuova generazione teatrale, si contrappone la difficoltà di percepire delle analogie tra queste nuove compagnie, che fin troppo si distinguono l'una dalle altre sia per l'estrema varietà delle tipologie di lavoro (non sarebbe minimamente pensabile affiancare un certo tipo di teatro come quello degli Anagoor con quello dei Babilonia Teatri), sia anche per le diverse età dei vari componenti del cosiddetto “giovane teatro”.
Perfino il tentativo di evidenziare il Veneto come area centrale di questo sviluppo non convince fino in fondo. Solo per fare un esempio, tra le varie formazioni abbiamo i Pathosformel, considerata compagnia veneta di punta, ma che vede i propri componenti provenire da città ben diverse (Bologna, Milano e Parma). Il fatto che essi si siano conosciuti allo Iuav di Venezia potrebbe bastare per considerare che hanno avuto una formazione “di area veneta”, anche se i componenti di molte altre compagnie venete di nascita, si sono in realtà formati fuori regione. Ma parlando di formazione in zona veneta è in effetti interessante rilevare quanto possa essere stato influente lo Iuav, (l’istituto che integra percorsi legati ad Architettura, Design e Arti, Pianificazione del territorio), frequentato oltre che dai Pathosformel anche da Simone Derai (Anagoor) e da Silvia Costa (Plumes dans la tête) o le residenze e i diversi laboratori teatrali, ai quali quasi tutti i componenti delle compagnie hanno partecipato e di cui, a Scena e Controscena, non si è minimamente discusso (a vantaggio delle accademie alle quali è stata dedicata ampia attenzione).
Ma se – in un modo o nell'altro – l'area veneta ha influito e è il territorio da cui si parte o su cui si muove (o vorrebbe muoversi), quella che è stata definita una nuova generazione teatrale, è importante capire che cosa accomuni in un unico insieme questi gruppi e quali sono state le cause e potrebbero essere gli effetti nel panorama teatrale regionale.
Ha offerto argomenti interessanti per rispondere alla prima domanda la relazione di Antonino Varvarà. Quello che accomuna questi gruppi è l'attenzione nei confronti del Contemporaneo, di ciò che è legato alla vita, alla società, ai valori, alla storia del nostro vivere quotidiano e sociale in questo preciso contesto sociopolitico, come dimostrano magnificamente i Babilonia Teatri con tutti i loro spettacoli, ma anche il Collettivo TBT con North-B-East, e come risulta ancora più esplicito nella dichiarazione di poetica degli Anagoor (Apparteniamo a una generazione che non ha conosciuto il proprio territorio vergine ma è nata e cresciuta durante e dopo la sua definitiva devastazione...). Un secondo interessante punto in comune, consiste nel fatto che i componenti delle giovani compagnie provengono da discipline diverse, che variando dalla danza all'arte visiva, passando per le esperienze più disparate. La conseguenza nei processi di produzione e in scena è una grande distanza dai generi convenzionali cui, in particolare i pubblico veneto, è abituato. Spesso non esiste una recitazione canonicamente intesa, e non è presente un vero regista, lasciando le decisioni alla totalità del gruppo. Non esiste nemmeno un autore che stia al di fuori dal gruppo: se voler rappresentare uno spettacolo significa spiegare la contemporaneità, a maggior ragione chi crea un prodotto originale se ne sente “interprete” a tutti gli effetti (in grado di “spiegare” e trasmettere) la sua visione di contemporaneità (ancora Varvarà, ricalcando peraltro un’analisi di Renato Palazzi).
Un altro elemento comune è la “contrazione” dei tempi delle rappresentazioni. Spesso si assiste a spettacoli sorprendenti per una ventina di minuti, ma che per il resto – forse anche per logiche di mercato – vengano stiracchiati per altri venti o trenta minuti. Eppure questa del 2000 è la generazione della comunicazione immediata, nella quale la comunicazione si contrae (…). La brevità non è necessariamente un limite se essa è sintesi, e se la sintesi è densità. Anche il critico Andrea Nanni si esprime a tal proposito suggerendo serate teatrali che combinino più performance, per soddisfare un pubblico più differenziato.
Infine va considerata la maggior visibilità di queste nuove compagnie, rispetto a quelle di vent'anni fa. Molto lo si deve ad alcune personalità – operatori, critici, organizzatori, direttori artistici – che nel nordest hanno fatto strada nel rinnovamento delle formule di presentazione e nell'invenzione di vie di relazione alternative fra scena e platea, fra progetto e produzione, fra sviluppo e distribuzione. Come ricordano gli artisti nell’incontro “Scena & Controscena”, il merito va dato a tutte quelle piccole realtà cresciute negli ultimi anni assieme ai gruppi, sancendo nell'annata del 2007 quel giro di boa che ha consolidato il successo (o i risultati) di gran parte delle compagnie: un successo che non va quindi considerato casuale, come afferma Paola Villani dei Pathosformel. Tra queste realtà non si può far a meno di citare l'evoluzione di festival quali OperaEstate di Bassano e di Drodesera per quanto riguarda il nordest italiano. I festival non si limitano più ad essere una vetrina, ma diventano luogo di produzione: le residenze sono solo l'ultima tappa, di fondamentale importanza, per la crescita di un gruppo. Senza tutto ciò sarebbe stato improbabile giungere alla situazione attuale.
Ma non sono da sottovalutare i possibili rischi di questo nuovo sistema. Facendo riferimento alle nuove compagnie, il critico Andrea Porcheddu ha scritto: Una nuova ondata, vivace ed espansa, che si impossessa in fretta della scena nazionale, tanto da far apparire veterani i giovanissimi veronesi Babilonia Teatri e dei consolidati "maestri" artisti quarantenni come Fabrizio Arcuri dell'Accademia degli Artefatti o Motus. Lo stesso Palazzi fa riferimento al processo di “democratizzazione del teatro”: oggi sembra più facile 'entrare', il teatro sembra infatti essere più ricettivo.
A Marghera, Teatro Sotterraneo ricorda che esiste una selezione naturale anche della specie teatrale: durante un convegno tenuto a Scandicci l’estate scorsa (vedi Antonio Porcheddu su delteatro.it), un giovane regista esclamò ironicamente "Speriamo di essere decimati!"; sono questa velocità nel cambiamento e i ritmi forsennati che costringono le compagnie all'ansia del debutto a tutti i costi, senza possibilità di un'accurata ricerca, né tanto meno di errore. Ormai tutte le principali rassegne nazionali sono in ricerca di anteprime (ad esclusione di Armunia). Massimo Paganelli concorda nel dire che non c'è spazio, né tempo per lo “spreco creativo”, un misto di tentativi, ricerche, esperimenti che consente la maturazione e la rappresentazione esaustiva di poetiche compiute o in divenire. Ascoltando il parere degli artisti emerge un disagio comune: più che di "spreco creativo", sarebbe opportuno parlare di "spreco di creatività": un sequenza di questioni organizzative, finanziarie, promozionali, assorbe tempo e energie, e non solo distoglie dall'invenzione artistica, ma deprime, smorza gli entusiasmi. Da qui la richiesta a organizzatori, curatori, critici, di un "accompagnamento" che vada anche in questa direzione, nel facilitare o sollevare un insieme di mansioni che esulano da quelle dell'artista.
Ritornando a Renato Palazzi – che, assente al convegno, è il critico maggiormente impegnato per quanto riguarda l’analisi del lavoro delle giovani compagnie, quindi il più citato – in occasione del convegno di Scandicci, si pose alcune domande basilari: se la diffusa vitalità sia davvero superiore al passato o se sia un semplice ricambio fisiologico. Se si tratti di un fenomeno oggi più valorizzato solo per esigenze di mercato. Se si possa dire che siano davvero innovativi questi gruppi.
È con un accenno di provocazione che Varvarà scrive: Mi viene da pensare all'incidenza che può avere quello che io chiamo il conformismo dell'anticonformismo, quell'atteggiamento cioè che assumiamo davanti a uno spettacolo o a un evento che, per il solo fatto di essere diverso, è anche nuovo e quindi ha valore. Atteggiamento che è ugualmente presente nello spettatore come nell'organizzatore teatrale.
Altre interessanti considerazioni sono della giovane Silvia De Marchi:
A volte si assiste ad una rivalutazione del talento nascosto o incompreso, sia da parte della critica che degli organizzatori, non si sa se per stanchezza del già noto, per attenzione sincera o altro. Di certo l'apertura è stata incentivata dalla crisi e dalla necessità di acquistare "prodotti" a costo pressoché azzerato. Altrettanto chiara è la volontà di alcuni operatori di emanciparsi ed emergere rispetto ai circuiti consolidati e di distinguersi tramite la novità, l'originalità, l'esordio; di promuovere, dunque, prodotti poi privatizzati in quanto "propri". Anche l'opportunismo (speculativo) di certe etichette come "made in Nord Est" o lo stesso "giovane teatro italiano" risulta sospetto.
Nel seguito degli interventi è di nuovo emerso lo spartiacque del 2007, anno di numerosi exploit, e il possibile collegamento con il patto Stato-Regioni: è stata una convergenza finanziaria a catalizzare la nuova scena italiana? Una simile prospettiva la dice lunga sull'insieme di esperienze che non saranno più illuminate da un'analoga pioggia di fondi... Anche Elena Lamberti, quasi in conclusione, ha sottolineato che l'etichetta "giovane teatro" si rivolge esclusivamente ad alcune realtà ben specifiche, emerse appunto in un contesto storico e finanziario circoscritto e qualificate dai premi nazionali.
Ulteriori spunti di riflessione arrivano dall’analisi di Roberta Ferraresi su iltamburodikattrin.com (a commento del convegno di Marghera): il tema non è di quelli da lasciar perdere nelle parole di un giorno, affinché quella che si è fatta conoscere e si è riconosciuta, potentemente, come una nuova generazione della scena contemporanea, non sia costretta, nel giro di qualche anno, come spesso è accaduto nel nostro Paese – dalla regia critica alla Postavanguardia ai Teatri Novanta gli esempi si sprecano – a rientrare nei ranghi, riconvertendosi alle forme di un sistema che solitamente ha preferito alimentare se stesso (anche andando alla continua famelica scoperta del nuovo) piuttosto che sostenere seriamente lo sviluppo dell'innovazione che si era appena proposta.
Dunque cos'è successo veramente nel fatidico 2007? Da dove è partito tutto? E ancora quanto durerà tutto questo? Come risponderà il pubblico una volta abituatosi alle diverse cifre stilistiche che presentano le singole compagnie? Riusciranno ad imporre nuovi generi e ad aggiornarli in modo tale da mantenere vivo l'interesse degli spettatori? O bisognerà andare in ricerca di ulteriori novità finendo in un gioco al massacro?
Sono solo alcune delle domande alle quali bisognerebbe trovare delle risposte, ben sapendo che tutto questo fermento potrebbe finire all'improvviso, come già troppe volte è successo. In Veneto si è resi conto dopo due anni di ciò che era successo nel 2007 (e ancora non se ne è ben capito il motivo), facciamo in modo non sia troppo tardi anche quando ci accorgeremmo che tutto ciò sarà già finito.
Le forme del nuovo. Modi innovativi di organizzare teatro Un incontro internazionale a Milano, 11-14 marzo 2010 di Fondazione Cariplo e Associazione Etre
Lombardia – Italia - Europa
Incontro internazionale
11-14 marzo 2010
Dall’11 al 14 spettacoli presso le sedi Etre (Esperienze Teatrali di Residenza ) in Lombardia.
Incontro internazionale presso il Centro Congressi Cariplo, via Romagnosi 8 Milano.
Venerdì 12 (10.00-17.30), sabato 13 (10.00-13.00)
Lo sviluppo e l’innovazione del teatro si fondano anche sulle capacità di creare, trasformare e gestire con efficacia le forme organizzative e sulla possibilità di conoscere e scambiare esperienze a livello internazionale.
L’incontro si propone di fotografare le trasformazioni, analizzare e discutere l’evoluzione delle modalità organizzative più originali ed efficaci per il sostegno del nuovo teatro e dei giovani gruppi:
- l’evoluzione dei festival;
- le nuove linee di tendenza delle reti;
- le diverse forme di residenza;
- la funzione dell’”accompagnamento”;
- le forme innovative per favorire l’incontro tra linguaggi artistici e nuovi media;
- i modi di coproduzione e di relazione fra produzione e distribuzione;
- la mobilità degli artisti e degli operatori e la progettazione internazionale, in un quadro europeo allargato.
Si tratta di pratiche che stanno modificando un po’ in tutta Europa il lavoro in teatro.
L’incontro di venerdì e sabato mattina prevede relazioni, testimonianze e casi da diversi paesi, e spazio per il confronto, ma anche visite e spettacoli (per 4 sere, da giovedì a domenica), presso alcune delle Residenze lombarde riunite dell’Associazione ÊTRE (Esperienze Teatrali di Residenza).
L’Associazione riunisce 24 compagnie residenti -in grado quindi di operare con continuità- presso spazi pubblici e privati nel territorio lombardo, supportate da Progetto Être di Fondazione Cariplo.
Il convegno è organizzato da Fondazione Cariplo, che orienta molte delle sue politiche per lo spettacolo al sostegno dell’innovazione e delle nuove generazioni. L’incontro costituirà anche l’occasione per fare un punto su queste linee di intervento, confrontarle con le modalità operative di organizzazioni analoghe, valutare quindi la funzione delle fondazioni di origine bancaria rispetto al teatro.
Ingresso libero previa registrazione su
http://www.progettoetre.it
Indicando nome e eventuale organizzazione.
Per informazioni o richieste di intervento
internationalcongressmilan@fondazionecariplo.it
Venerdi 12 marzo
09.30 - 10.30 Registrazioni
10.30 - 13.00 Giuseppe Guzzetti, Presidente Fondazione Cariplo
Benvenuto
Il ruolo delle Fondazioni: confronti nazionali e internazionali
Coordina: Pier Mario Vello, Segretario Generale Fondazione Cariplo
Gian Paolo Barbetta, Responsabile Unità Strategica Fondazione Cariplo
Arte e cultura come componenti dei sistemi di welfare
Marco Gualtieri, Fondazione Monte dei Paschi di Siena
L'intervento di Fondazione Monte dei Paschi di Siena nel campo dello spettacolo. Il caso Fenice Festival Poggibonsi
Adriana Stradella, Coordinamento Programma Performing Arts e Cristina Palumbo Consulente Programma Performing Arts, Fondazione di Venezia
L'intervento della Fondazione di Venezia nel campo delle Performing Arts: il progetto Giovani a teatro
Olivier Descotes, direttore del Centre Culturel Français de Milan
Partenariati pubblici/privati in Francia nel settore culturale
Michael M. Thoss, direttore di Allianz Kulturstiftung, Monaco (Fondazione Allianz per la Cultura)
Riattivare una modernità fuori asse
Antonio Calbi, Direttore del Settore Spettacolo, Comune di Milano
Enti Locali e Fondazioni: esperienze di sussidiarietà
Andrea Rebaglio, Area Arte e Cultura Fondazione Cariplo
La Fondazione Cariplo per lo spettacolo dal vivo: evoluzione dell’intervento e linee attuali
Michele Losi, Presidente Associazione ETRE, Esperienze Teatrali di Residenza
Dal progetto ETRE all'associazione ETRE
13.00 - 14.00 Pausa pranzo
14.00 – 15.45 Forme e pratiche dell’innovazione
Coordina: Mimma Gallina, Comitato scientifico Progetto ETRE Fondazione Cariplo
Renato Palazzi, Comitato Scientifico Progetto ETRE Fondazione Cariplo Organizzazione e nuovi linguaggi
Fanny Bouquerel, Amuni, projets culturels (Parigi-Palermo)
Trasformazioni e nuove tendenze in una dimensione europea allargata
Marilisa Amante, Responsabile della programmazione in Italia ETI, Ente Teatrale Italiano
Forme organizzative e politiche istituzionali
Jovan Cirilov, Direttore Festival BITEF (Belgrado)
Festival internazionali: nuove funzioni e strutture innovative
Velia Papa, Direttore In teatro Polverigi
La mobilità internazionale degli artisti e dei gruppi come condizione creativa
Franck Bauchard, Responsabile del Centro Nazionale delle Scritture dello spettacolo - La Charteuse, Villeneuve-les-Avignon
Rimettere in discussione gli schemi dell'arte e della cultura: l'esperienza delle residenze e degli approfondimenti alla Chartreuse
15.45 – 17.00 Residenze e accompagnamento
Morag Deyes, Direttore Dance Base, Scotland's National Centre for Dance
Accompagnamento e Danza, il caso Dance Base
Dino Somadossi, Centrale Fies
Centrale Fies a Dro: ambienti per la creazione di performing arts
Gabriella Triantafyllis, general manager Bios, exploring urban culture (Athens)
Una residenza per forme nuove nella città di Atene
Gimmi Basilotta, Presidente Associazione Piemonte delle Residenze
Tra attori e spettatori: processi e progetti di formazione sul territorio per le nuove generazioni.
E ancora: l’evoluzione dell’esperienza francese, la residenza “d’autore” e altro: interventi in via di definizione
17.30 Coffee break e partenza per residenze dagli alberghi
Sabato 13 marzo
10.00 – 12.00 Insediamenti mobili - esperienze e esperimenti sul territorio
Massimiliano Cividati, ETRE, Esperienze Teatrali di Residenza
La residenza, ovvero il Viaggio Immobile
Averyl Dooher, responsabile Nomad Network e Mona Considine, General Manager Backstage Theatre, Irlanda
Nomad: teatri e compagnie in rete
Carmelo Grassi, Presidente Teatro Pubblico Pugliese
I teatri abitati in Puglia
Renzo Boldrini, Giallomare Minimal Teatro-Teatro comunale Verdi di Santa Croce sull’Arno
Toscana: futuro prossimo, come gestire il riconoscimento regionale delle Residenze
Nuove frontiere delle relazioni internazionali
Ahmed El Attar, Emad Eddin/ See Foundation (Il Cairo)
Nuovi spazi indipendenti al Cairo e Relazioni Internazionali
Ilkay Sevgi, Simya Arts Istambul
Performing arts in Turkey within new international perspective. Artistic and Cultural Relations
Sabine Kock, Freie Theater Vienna e EON,
Networking: efficacia del modello informale in un contesto di fragilità strutturale. Riflessioni a partire dall’esperienza della Rete Europea Off EON
E ancora: Festival mutanti e nuove forme di coproduzione: interventi in via di definizione
12.00 – 13.00 interventi e discussione
Il presente programma è suscettibile di variazioni
PROGRAMMA SPETTACOLI
GIOVEDÌ 11
CARCERE DI BOLLATE - BOLLATE (MI):
RESIDENZA TEATRO IN-STABILE
21.00
Arteatro Le rughe del tempo durata 20 min.
con Betty e Paolo Colombo
Residenza I Giazer
Le "rughe del tempo" sono i segni visibili e invisibili che il trascorrere del tempo lascia sui volti,
nelle mani, sui corpi, trasformandoli in paesaggi di memoria. Due di queste carte geografiche umane vengono qui esplorate: da un lato una ricerca in cui i ricordi autobiografici si intrecciano alla metamorfosi poetica degli oggetti; dall'altro una ex-deportata dei lager nazisti che combatte ogni giorno contro la memoria che, come un artiglio, la attanaglia.
Arteatro
Caratteristiche salienti del progetto di residenza sono un nuovo sviluppo del già consolidato rapporto con il territorio di riferimento, la valorizzazione anche turistica di quest’ultimo, attraverso l’organizzazione di eventi teatrali e artistico-visivi creati ad hoc per valorizzare al massimo quei siti
del Lago di Varese particolarmente significativi dal punto di vista culturale e ambientale.
Dal punto di vista artistico, la specificità della residenza sarà un percorso che, partendo dalla
consolidata esperienza della compagnia nel campo del teatro di figura e dei burattini, si svilupperà
sempre di più avvicinandosi e percorrendo forme spettacolari diverse in particolare legate alla
narrazione e alle arti visive.
21.30 [Cena_Dinner]
Catering a cura di Cooperativa estia_Catering made by Cooperativa estia
La Cooperativa e.s.t.i.a., fondata nel 2003, è una cooperativa sociale onlus di 20 persone nata dall'incontro
di differenti professionalità che da più di dieci anni svolgono attività culturali e formative nelle carceri
milanesi. Il principio base del nostro operare è volto all'incentivazione dell'autosufficienza economica e
dell'autonomia socio-professionale delle persone detenute, all'ampliamento delle attività esterne della
cooperativa, in modo da offrire ai soci una prospettiva concreta di reinserimento lavorativo una volta usciti
dal carcere.
NAVETTA GRATUITA DA/PER HOTEL/RESIDENZA_FREE BUS FROM/TO HOTEL/VENUE
PARTENZA NAVETTA DALL'HOTEL IBIS VIALE TUNISIA ORE 18.00_DEPARTURE BUS FROM HOTEL IBIS VIALE TUNISIA AT 6.00 P.M.
22.30
Teatro Periferico Mater Strangosciàs durata 30 min.
di Giovanni Testori con Dario Villa
Residenza Periferico Valcuvia
Mater Strangosciàs è il tragico monologo della Madre di Cristo sotto la Croce. Giovanni Testori,
l’autore, descrive la Madonna (una donna povera e ignorante, lontana dall’essere una regina)
mentre racconta al pubblico la vita di Suo Figlio, quando era solo un bambino felice. Come nel
poema di Jacopone da Todi, Lei si ribella al terribile destino di Suo Figlio, finché Gesù Le parla dalla
Croce, la placa, fino a farle capire il vero scopo del Suo dolore, in attesa della resurrezione grazie
alla quale tutti saranno salvati.
Teatro Periferico
La residenza Periferico Valcuvia ospita Promoarte/Teatro Periferico, compagnia composta da dieci
elementi, che si riconosce nello stile maturato da Paola Manfredi. La regista ha sviluppato negli
anni una sua personale poetica, che non si manifesta tanto in una uniformità stilistica
esteriormente riconoscibile, quanto in una coerenza interna, sotterranea, che si realizza nel lavoro
sull’attore, rifuggendo gli psicologismi e partendo dall’organicità del corpo.
23.00
Dionisi Serate Bastarde 2 durata 20 min.
di Renata Ciaravino e Carmen Pellegrinelli con Cristina Bugatty, Renata Ciaravino, Carmen Pellegrinelli
Residenza Dioniso in A8
L’Italia vista attraverso le tv locali. La chitarra di Cicci Condor su Canale Italia; “Chi è mancato in
settimana?” il necrologio spettacolarizzato di Tele Clusone; le interviste su Telenapoli 34; la
pubblicità del Dottor Mario Petracca su Telepadova; le cantanti dialettali di Bergamo Tv; la
sensitiva sig.ra Galanti di Europa TV.
I rumors di provincia, il tessuto dell’Italia. Un piccolo spaccato che racconta tante Italie che parlano
lingue diverse, accomunate da una stessa drammatica, incosciente e malinconica spensieratezza.
Compagnia Dionisi
La Compagnia Dionisi è composta da Renata Ciaravino e Carmen Pellegrinelli, oltre a diversi
collaboratori che da anni vi lavorano stabilmente. La Compagnia Dionisi nasce nel 2000 e lavora
principalmente sulla drammaturgia contemporanea e su temi di impegno civile. A partire dal 2008
e per 3 anni, la compagnia è residente al Teatro del Popolo di Gallarate, con il finanziamento di
Fondazione Cariplo, che le è stato assegnato nel 2007. L’attività della compagnia è sostenuta in
modo continuativo da Regione Lombardia e Comune di Milano, oltre che da altri Enti a seconda dei
progetti che vengono di anno in anno sviluppati.
TEATRO DEL POPOLO - GALLARATE (VA):
RESIDENZA DIONISO IN A8
21.00
Giulio Cavalli A cento passi dal Duomo durata 60 min.
di Giulio Cavalli e Gianni Barbacetto con Giulio Cavalli musiche in scena di Gaetano Liguori
Residenza Progetto Anabasi
Il lavoro di Cavalli e Barbacetto colpisce l’essenza stessa della mafia al Nord, mettendola a nudo,
mostrandone la collusione con la politica e la sua capacità di infiltrarsi nei gangli del potere. “Una
ninna nanna dolce per un risveglio brusco di quella Lombardia che si crede immune dalla mafia”.
Bottega dei Misteri Teatrali
L’ Associazione Culturale Bottega Dei Mestieri Teatrali è nata a Lodi nel 2001 sotto la guida di Giulio
Cavalli. La tradizione della Commedia dell’Arte e l'utilizzo della giullarata applicati a temi del
presente sono divenuti elementi unici e distintivi per realizzare spettacoli connotati da un forte
impegno civile, con testi originali basati su rigorose ricerche in stretta collaborazione con
giornalisti, periti e giudici che hanno messo a disposizione del teatro la propria professionalità.
Nell’autunno 2007 la compagnia si è aggiudicata la direzione e la gestione del Teatro Nebiolo di
Tavazzano con Villavesco (LO) ad oggi sede della residenza della compagnia che sta sviluppando il
progetto Anabasi.
19.55
Araucaìma Teater Domine de Spirite durata 20 min.
con Simona Zanini, Chiara Donizelli, Ilaria Pezzera, Giada Nossa, Miriam Gotti, Francesca Cecala,
Elena Borsato, Erika Baggi, Clara Zanoli, Francesca Minutoli regia Alberto Salvi luci Pietro Bailo
Residenza La Mansiòn
La compagnia propone un repertorio di canti appartenenti alla tradizione popolare. Si tratta di un percorso canoro unicamente a cappella che riprende e rielabora sonorità della cultura sacra dell’Italia del sud, unitamente a canti di diverse nazionalità europee: albanese, bulgara, dalmata, ungherese. Interprete un coro di voci femminili, alternato ad una voce recitante che introduce il pubblico al canto.
Araucaìma Teater
Gli obbiettivi della residenza La Mansiòn sono molteplici e passano attraverso il miglioramento
dell’attività di produzione, con un’organizzazione del lavoro in grado di garantire dei tempi dedicati alla stessa, aumentando le ore di prova e incrementando i tempi di ricerca, garantendo adeguati contratti al personale artistico e tecnico. Si persegue un consolidamento della cultura teatrale nel territorio attraverso un’attività di circuitazione di opere intensa e continua. Altro obiettivo è l’organizzazione di un’attività di formazione stabile rivolta alle scuole, agli allievi-attori, alle realtà
di marginalità sociale e agli artisti professionisti collaboratori della compagnia. Il quarto obiettivo,
a più ampio raggio, è la realizzazione di un’azione continuativa e strutturata di relazioni e collaborazioni con le compagnie teatrali sul territorio nazionale, alla coproduzione di performances teatrali con altre compagnie ed alla circuitazione internazionale dei propri spettacoli.
SPAZIO MIL - SESTO SAN GIOVANNI (MI):
RESIDENZA PUL
21.00
Sanpapié Boh durata 40 min.
di Sarah Chiarcos e Lara Guidetti coreograa Lara Guidetti drammaturgia Sarah Chiarcos musiche
Marcello Gori con Lara Guidetti
Residenza PUL
BOH è la risposta che ti dai davanti a qualcosa che non ti sai spiegare.
BOH lo puoi dire quando non è importante capire.
BOH di per sé non significa niente, ma è un punto fermo, non prevede repliche.
BOH arriva in fondo, alla fine.
BOH è semplice.
BOH è semplicemente BOH.
PUL
Sanpapié indaga le forme e i linguaggi della coreografia e della drammaturgia alla ricerca di una
terza forma e di un terzo linguaggio che abbia la riconoscibilità del linguaggio teatrale e le
possibilità espressive della coreografia. La drammaturgia si tende verso il corpo, scrive per il corpo, trasforma per il corpo immagini, contenuti, storie. la coreografia lavora a partire dal corpo verso
qualità di movimento che sappiano raccontarlo e raccontare in costante confronto e rapporto con
spazi e oggetti. Il percorso è attraversato da incontri ed esplorazioni di diversi linguaggi espressivi.
Nel 2008 le compagnie Babygang, Band à Part e Sanpapié partecipano e vincono il Bando Etre Esperienze Teatrali di Residenza indetto da Fondazione Cariplo in collaborazione con Tieffe Teatro Stabile e il Comune di Sesto San Giovanni. Nasce quindi il progetto PUL, la prima residenza multipla in Italia.
21.45
Slapsus FairPlay durata 6 min.
di e con Lorenzo Baronchelli, Michele Cremaschi, Pierangelo Frugnoli, Manuel Gregna
Residenza Initinere
Un’olimpiade di risate: FairPlay è il goffo tentativo di cimentarsi per la prima volta in una
sconosciuta specialità sportiva, è la sfida al campione in carica per la conquista del podio, è l’incidente che avviene nel bel mezzo della gara. Quattro clown alle prese con svariate discipline sportive con esiti non sempre da campioni.
Slapsus
La Residenza Teatrale InItinere ha sede nel territorio del comune di Bergamo, in una valletta
caratterizzata da un suggestivo paesaggio composto da terrazze a prato e coltivi. All'interno della
residenza coesistono percorsi di ricerca artistica che spaziano dall'arte di strada e negli spazi
aperti, al teatro comico gestuale nella tradizione della physical comedy, al teatro multimediale, al
teatro per ragazzi. La relazione tra arte di strada e multimediale sarà il centro della sperimentazione produttiva della residenza per il triennio 2010-2012, nel solco della migliore innovazione europea a livello di teatro in spazi aperti.
22.00 [Cena_Dinner]
23.00
Scarlattine Teatro Scirocco durata 50 min.
da un’idea di Michele Losi di e con Giulietta De Bernardi, Anna Fascendini, Joseph Scicluna,
Agnese Bocchi, Marco Mazza musiche dal vivo di Adalberto Ferrari, Andrea Ferrari, Claudio Lentini, Saverio Zinni lm di sala di Tonino De Bernardi e di Martino Ferro, Andrea Barese,
Roselie Pereira
Residenza Monte di Brianza
Un Caronte scafista di nome Joseph aiuta il pubblico ad attraversare il mare, introducendo lo
spettacolo con un racconto sull'origine del male. È il mare quotidiano dell'indifferenza, dove abitano i cinque migranti protagonisti di Scirocco, spettacolo in movimento tra musica ed azione teatrale.
Scarlattine Teatro
ScarlattineTeatro nasce nel 1999. Dal gennaio 2008 è Residenza Monte di Brianza. La Residenza
promuove un teatro fatto di ospitalità e di un lungo permanere degli artisti e degli spettatori. Va verso la personalizzazione di ogni incontro, cucito addosso tanto alle compagnie ospiti che al pubblico. Risiedere per noi è diventare centro propulsore di produzione teatrale e di iniziative culturali su un territorio che si intende preservare paesisticamente e valorizzare artisticamente, facendo teatro in relazione costante con le altre arti performative e con il paesaggio. La Residenza fonda il progetto Campsirago su quattro azioni fondamentali: la produzione di spettacoli teatrali, l’organizzazione di festival ed eventi culturali, la formazione teatrale ed alle arti performative, l’attività di rete con le altre residenze teatrali e con associazioni quali Legambiente ed il Cai.
ScarlattineTeatro produce spettacoli di teatro sociale, drammaturgia contemporanea e per bambini, accomunati da una speciale attenzione per il teatro fisico e d'innovazione.
23.50
Band à Part Bauman Circus durata 10 min.
in coproduzione con TIEFFE –Teatro Stabile d’Innovazione e Mittelfest2008 ideazione e regia
Paolo Giorgio con la collaborazione di Tiziano Turci musiche di Nicola Arata spazio a cura di Guido Buganza video Vincenzo Genna con Mohamed Ba, Anastasia Zagorskaya, Charles Uguen,Ilaria Tanini, Tiziano Turci e la PIM Ensemble Orchestra (Gianluca “The Huge” Plomitallo, Ambra Rinaldo, Alessandro Bider, Fabrizio Buttò, Elia Moretti) diretta da Nicola Arata
Residenza PUL
Bauman (Zygmunt) Circus tenta di leggere la realtà a partire dalle opere di Zygmunt Bauman, con
la prospettiva e lo sguardo della generazione che ha oggi intorno ai trent’anni. La generazione che con più chiarezza ha guardato il mondo mutarle intorno. La generazione alla quale con più urgenza si chiede oggi di immaginare il proprio futuro. Perché quel futuro ha già cominciato a viverlo.
Come l’opera a cui si ispira, Bauman Circus è una struttura fluida, aperta, indefinibile.
PUL
La Compagnia Band à Part, fondata da Paolo Giorgio, Tiziano Turci e Mara Ferrieri, non è una compagnia in senso stretto, non segue una logica di gruppo, ma preferisce definirsi un progetto. È uno spazio aperto che promuove l’interazione fra artisti, costruendo occasioni di incontro e di scambio legate a progetti definiti. Il senso del suo fare artistico si manifesta in processi di lavoro teatrale che organizzano, nel solco di un obbiettivo artistico comune, competenze diverse: attorno e dentro Band à Part lavorano attualmente un regista, un compositore, diversi attori italiani e stranieri, videomakers, grafici, una fotografa, un drammaturgo, uno scenografo, tutti non più che trentenni. Il rapporto con i collaboratori è fluido, mobile, aperto. Si struttura sulle esigenze di ogni progetto e prevede permanenze, scambi, arrivi e partenze.
Nel 2008 le compagnie Babygang, Band à Part e Sanpapié partecipano e vincono il Bando Etre Esperienze Teatrali di Residenza indetto da Fondazione Cariplo in collaborazione con Tieffe Teatro Stabile e il Comune di Sesto San Giovanni. Nasce quindi il progetto PUL, la prima residenza multipla in Italia.
00.00
Teatro Inverso Joy (short version) durata 20 min.
progetto di Davide D’Antonio con Roberto Capaldo, Davide D’Antonio
Residenza IDRA
Joy è uno spettacolo grottesco dove l’assurdità viene presa come paradigma del vivere quotidiano
e viene utilizzato come strumento per smascherare ironicamente le nostre paure, facendoci
prendere coscienza forse del più grande paradosso umano: della limitatezza delle suo agire e della
grandezza del suo essere. Joy è una performance altamente sperimentale dove la linea
drammaturgica è ottenuta dalla alternanza tra improvvisazione e strutturazione attraverso il
metodo della composizione istantanea.
”.
Teatro Inverso
Residenza IDRA- Independent DRAma nasce nel 2008 quando Teatro Inverso -compagnia votata
all’innovazione ed alla ricerca di Brescia - partecipa al Progetto Être di Fondazione Cariplo.
Residenza Idra concentra la sua attenzione principalmente sulla promozione e l’incentivazione
della nuova drammaturgia e del suo rapporto con le forme artistiche legate alla performing art. La
produzione è il perno centrale della Residenza e abbraccia campi molteplici di intervento: dal
teatro alla danza, alle performance senza soluzione di continuità. Accanto a questa la residenza
organizza il Festival internazionale Fiabe e Contaminazioni e la Stagione teatrale del Teatro Casazza
a Brescia, che vengono visti come momenti di laboratorio di idee e di interscambio con le realtà
nazionale ed internazionale.
“
SABATO 13
TRIENNALE DI MILANO - MILANO:
RESIDENZA MAKING ARTS
15.30
Teatro delle Moire Marilyn’s Bedroom durata 30 min.
concept e coreo-regia Attilio Nicoli Cristiani, Alessandra De Santis interpreti Alessandra De
Santis, Giorgia Maretta, Attilio Nicoli Cristiani set design Nicolas Bovey costumi Maurizio
Cristina sound design Simona Diacci lighting design Lorenza Bonfanti organizzazione Anna
Bollini
Residenza Home Theatre
Da tempo il Teatro delle Moire lavora su alcune icone pop per interrogarsi sulla questione
dell’identità e sui miti contemporanei. In Marilyn’s Bedroom un grande letto è abitato da tre
Marilyn Monroe identiche ma incarnate da corpi assolutamente differenti che, attraverso la
propria specificità, rivelano strati e sensi nascosti della figura, ambiguità e derive.
Teatro delle Moire
Home Theatre è una residenza che si realizzerà negli spazi di LachesiLAB, atelier creativo del Teatro
delle Moire di Milano; inaugurato nel 2008, non è solo uno spazio, ma un progetto che vuole
essere un luogo aperto alla città e ai suoi artisti. Non solo una casa per il Teatro delle Moire, ma
anche un punto di aggregazione e di scambio, dove sia possibile presentare e visionare progetti
ancora abbozzati, creando la possibilità di confronto tra artisti, studiosi e operatori anche durante
il percorso di creazione. Un punto di raccolta, di passaggio e di intreccio delle energie creative e
innovative della città. Home Theatre accosta queste due parole inglesi, solitamente usate per
definire un impianto audiovisivo da appartamento, giocando con le parole casa e teatro, a
sottolineare la dimensione intima e vicina al pubblico che si respira a LachesiLAB.
16.00
Takla Improvising Group Making Duo durata 20 min.
Improvvisazione per corpo e batteria con Cristina Negro e Filippo Monico
Residenza Making Arts
Making Duo - per corpo e batteria
Improvvisazione per corpo e batteria che vede in scena Cristina Negro e Filippo Monico. Come in
tutte le nostre produzioni “dell’istante” anche in questa occasione siamo focalizzati e concentrati
sul processo della creazione lasciando che il prodotto finale possa nascere da sè. L’atmosfera che
si crea è vigile e attenta, surreale e sorprendente poiché nasce in tempo reale davanti allo
spettatore.
Takla Improvising Group
La Residenza TAKLA MAKING ARTS intende offrire un progetto incentrato sulla “composizione in
tempo reale” e il suo processo artistico, fondato sui valori della ricerca, della sperimentazione, del
possibile dialogo tra i vari linguaggi artistici. La Residenza darà vita a “produzioni dell’istante” con
artisti italiani e internazionali, creerà eventi, incontri a tema, convegni, organizzerà un Festival
d’Improvvisazione, concorsi per artisti under 30 e over 40 e offrirà numerose occasioni di percorsi
formativi attraverso workshop intensivi. Il progetto trova la sua collocazione negli spazi della
TRIENNALE DI MILANO , luoghi prestigiosi e ideali per le azioni performative, che non richiedono
necessariamente un pubblico frontale, né un palcoscenico, ma che necessitano di un rapporto
ravvicinato con il pubblico.
16.30
delleAli Voce ego sum durata 20 min.
voce Antonello Cassinotti clarinetto Giancarlo Locatelli
Residenza Textura
VOCE EGO SUM è ovvia e ironica parodia di COGITO ERGO SUM.
La voce esprime se stessi, prende spazio, si dimensiona e si allunga, si dà come corpo, è prolunga
dall’IO o dall’ES all’ES-terno, dal sé stesso all’Es-pressione di sé. Succede emotivamente laddove
non ve ne è intenzione. Dove invece l’esasperazione o la determinazione dell'EGO / Artista cerca
di manifestare un ES-empio o pieno di SÉ ecco che la voce / arte diviene manifesto ES-asperato.
L’EGO / Artista si manifesta attraverso la voce ed è pieno di SÉ, parla di SÉ amplificandosi, dandosi
come VOCE che è in quanto tale, un NOME, un’INTENZIONE, un MANIFESTO.
delleAli
delleAli da anni esplora il rapporto tra i diversi linguaggi espressivi: parola, movimento, gesto,
immagine, suono, musica... Da questo studio, la compagnia ha sviluppato un proprio modo
espressivo che può essere definito 'teatro sonoro'. È un teatro dove l'uso della voce molto spesso
si lascia alle spalle le regole del senso comune, al fine di diventare l'anima di un corpo "organico".
TEXTURA premiata residenza teatrale interdisciplinare del vimercatese, è un progetto realizzato
con il sostegno del Comune di Vimercate, della Fondazione Cariplo e di partner locali. TEXTURA
vuol essere un laboratorio permanente, una casa del teatro, un “opificio”, dove artisti di varie
discipline abbiano la possibilità di operare in una situazione protetta e di fertile collaborazione
artistica, dalla produzione alla programmazione, alla formazione ed alla cura di eventi culturali.
TEXTURA premiata residenza teatrale interdisciplinare del vimercatese (TEXTURA award-winning
resident theatre interdisciplinary of Vimercate), is a project implemented with the support of the
City of Vimercate, the Foundation Cariplo and local partners. TEXTURA wants to be a permanent
laboratory, a theatre house, a "factory" where artists of various disciplines are able to operate in a
protected situation and fruitful artistic collaboration, productions, theatrical and poetry review,
training and cultural events.
NAVETTA GRATUITA DA/PER HOTEL/RESIDENZA_FREE BUS FROM/TO HOTEL/VENUE
PARTENZA NAVETTA DAL TRIENNALE CADORNA ORE 17.00_DEPARTURE BUS FROM TRIENNALE CADORNA AT 5.00 P.M
VILLA ARCONATI - CASTELLAZZO DI BOLLATE (MI):
RESIDENZA SUBURBIA
18.30
Nudoecrudo Teatro L‘Isola durata 45 min.
dall'omonimo libro di Armin Greder, ed. Orecchio Acerbo2007
scrittura scenica Alessandra Pasi con Franz Casanova, Alessandra Pasi sonorizzazione ed illuminazione
Luca De Marinis elementi sceno-graci Filippo Fossati
Residenza Suburbia
L'isola, una lirica e livida favola dell’esclusione. Una storia di tutti i giorni, come recita il sottotitolo,
che mette in scena una parabola paradigmatica dell’immigrazione clandestina senza alcuna
auspicata integrazione ad allietare il finale. Riallacciandoci alla tradizione orale e comunitaria della
favola, abbiamo mosso alla ricerca di una nuova narrazione in cui la poesia fosse affidata, oltre che
alla potenza evocativa della storia, all’uso della luce e dell’ombra, alla suggestione visiva, alla
tecnica vocale ed alla vibrazione rarefatta di un minuzioso lavoro di sonorizzazione.
Nudoecrudo Teatro
Nudoecrudo teatro si distingue per una forte politica di progettazione per il territorio, che dal 2006
ha dato vita al Festival Suburbia, di cui l’omonimo progetto di Residenza è la naturale evoluzione.
Accanto alla produzione artistica, il progetto incontra la comunità grazie alla proposta di spettacoli,
a percorsi di formazione per lo spettatore ed allo sviluppo di collaborazioni con le realtà artistiche,
sociali e le istituzioni scolastiche del territorio. L'attenzione e l'interesse verso le altre esperienze
Dialoghi tra Teatro e Neuroscienze Il Secondo Convegno Internazionale a Roma il 16 e 17 maggio di Gabrele Sofia
Anteprima e Presentazione del libro
15 marzo 2010 – ore 18:30
Abraxa Teatro, presso Teatro di Villa Flora (via Portuense, 610)
Convegno
16-17 marzo 2010 – ore 9:00
Aula “Levi” – Ex Vetrerie Sciarra (via dei Volsci 122)
promosso e organizzato da Clelia Falletti
curato da Gabriele Sofia
Approfondimento
L’incontro tra le culture teatrali e le neuroscienze rappresenta oggi una delle avanguardie della ricerca teatrale. Esso infatti raccoglie l’eredità di oltre trent’anni di contaminazione tra attori, registi, pedagoghi, studiosi di teatro, biologi e neuroscienziati. La spregiudicatezza della proposta ha però reso spesso difficile la sua accettazione dal mondo accademico dell’uno e dell’altro ambito, relegandola spesso alla sola teatro-terapia. Per questo una delle ambizioni del convegno è quella di far sedere attorno allo stesso tavolo registi, attori, pedagoghi, neuroscienziati, psicologi, terapeuti in un’ottica di dialogo interdisciplinare. Ma non solo. Lo spirito che anima il convegno è anche quello di non perdere mai i punti di riferimento pragmatici in modo da poter parlare nello stesso momento sia a chi fa ricerca accademica sia a chi la propria ricerca la vive ogni giorno in laboratorio, teatrale o scientifico che sia.
L’Anteprima del convegno che avverrà grazie alla collaborazione dell’Abraxa Teatro la sera del lunedì 15 marzo dalle ore 18.30 presso il Teatro di Villa Flora (via Portuense 610), inizierà con la presentazione del volume che raccoglie gli atti del convegno 2009 Dialoghi tra teatro e neuroscienze, edito da Edizioni Alegre. Saranno presenti: il prof. Franco Ruffini, storico del teatro e insegnante di discipline dello Spettacolo al DAMS dell'Università Roma Tre; Jean-Marie Pradier, professore emerito dell’Université Paris 8; il prof. Luciano Mariti, Direttore del Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo della Sapienza, la prof.ssa Clelia Falletti presidente del Corso di Laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo della Sapienza ed il curatore del volume Gabriele Sofia. Seguiranno poi la performance Esperienza A.K. – Il mio incendio non illumina del Laboratorio EmigratA ed una dimostrazione di lavoro.
Il convegno si aprirà il 16 marzo alle ore 9:00 nell’aula “Levi” delle Ex Vetrerie Sciarra, con i saluti del preside della Facoltà di Scienze Umanistiche Roberto Nicolai, esperto di letteratura greca antica che proprio in alcune recenti pubblicazioni ha sottolineato come le neuroscienze possano aiutare lo studio delle tragedie greche e della relazione che si stabiliva tra gli attori e il pubblico dell’epoca.
Nicolai sarà seguito dal professore emerito del Dipartimento di Scienze Neurologiche Mario Manfredi che nel corso della sua lunga carriera ha concentrato buona parte delle sue ricerche neuroscientifiche sullo studio del movimento e dei disturbi legati al movimento.
Il punto di vista delle culture teatrali sarà introdotto dalla prof.ssa Clelia Falletti, promotrice del presente Convegno che come studiosa ha partecipato attivamente a numerose sessioni dell’ISTA (International School of Theatre Antropology) diretta da Eugenio Barba.
Sarà quindi il momento del prof. Giovanni Mirabella, neurofisiologo della Sapienza che affronterà uno dei temi più affascinanti del dialogo tra teatro e neuroscienze: i neuroni specchio. Mirabella, oltre ad aver collaborato con l’équipe di Parma che ha localizzato questi neuroni, è anche il responsabile di un progetto di ricerca sull’esistenza e le dinamiche di attivazione del sistema dei neuroni specchio nell’uomo.
Con lui collabora anche Nicola Modugno, neurologo dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli (IS), che presenterà l’esperienza del laboratorio park-in-zone, dove il teatro e le neuroscienze trovano una perfetta osmosi dai sorprendenti risultati clinici e scientifici.
La pausa pranzo sarà seguita dal primo ospite internazionale, Jean-Marie Pradier, professore emerito dell’Université Paris 8, membro fondatore dell’ISTA nonché principale esponente dell’Etnoscenologia, campo di studio interculturale e interdisciplinare da lui stesso fondato nel 1995, che indaga i comportamenti performativi umani.
A lui seguirà Gabriele Sofia, già organizzatore del convegno dello scorso anno e curatore del presente convegno, dottorando in cotutela tra la Sapienza e l’Université Paris 8 con un progetto sulla psicofisiologia dell’attore e dello spettatore.
Gli interventi della prima giornata si concluderanno con il prof. Vezio Ruggieri, psicofisiologo della Sapienza che da sempre si interessa all’esperienza estetica dal punto di vista della psicofisiologia con un interesse particolare verso le discipline teatrali.
Sarà quindi il momento per la tavola rotonda che concluderà la prima giornata.
La giornata del 17 marzo inizierà con l’intervento del prof. Luciano Mariti, Direttore del Dipartimento di Arti e Scienze dello spettacolo che da anni studia i ponti che nel corso della storia il teatro ha costruito con le contemporanee scoperte scientifiche.
Seguirà la seconda ospite internazionale Cécile Vallet, psicologa cognitiva dell’Università di Parigi 13 e ricercatrice, la cui ricerca si basa sull’improvvisazione e la presa di decisioni dal punto di vista psicologico-cognitivo con particolare riguardo alle scienze dello sport.
Sarà quindi il momento di Paolo Asso, regista, insegnante di recitazione e di Metodo Feldenkrais, è condirettore della Rassegna Internazionale sulle Tecniche di Recitazione “Metodi Festival”. La sua ricerca pragmatica punta tra l’altro a capire come il Metodo Feldenkrais possa nutrire il lavoro dell’attore.
Concluderà la mattinata Victor Jacono, dottorando del Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo con un progetto di ricerca sulla pedagogia dell’attore e le teorie della complessità, e guida, in collaborazione con John Schranz, del gruppo maltese Gruppi.
Il pomeriggio verrà aperto da Marco De Marinis, professore Ordinario del DAMS di Bologna, coordinatore del Dottorato in Studi Teatrali e Cinematografici e membro permanente dell’ISTA. Proprio su iniziativa sua nella primavera del 2007 l’Università di Bologna organizzò un ciclo di seminari “Teatro e Neuroscienze” i cui atti, pubblicati nel n.16 della rivista «Culture Teatrali» (primavera 2007), sono immediatamente diventati una delle pubblicazioni di riferimento sul tema.
Sarà seguito da Horacio Czertok, attore, regista e fondatore del Teatro Nucleo di Ferrara. Fondatore del Centro per il Teatro nelle Terapie (CETT), docente a contratto della Sezione di Clinica Psichiatrica dell’Università degli Studi di Ferrara.
L’ultimo intervento sarà di Michele Cavallo, psicoterapeuta e direttore didattico del Master “Teatro nel Sociale e Drammaterapia” organizzato in collaborazione con la Sapienza Università di Roma.
Sarà quindi il momento della seconda tavola rotonda e delle conclusioni.
Come lo scorso anno, il convegno è preceduto dal laboratorio di indagine performativa Strutture e processi della creatività, destinato agli studenti della Sapienza Università di Roma. L’obiettivo del laboratorio è di ricercare nella pratica quei principi, quelle dinamiche, quelle relazioni che verranno poi analizzate da più punti di vista durante il convegno. Lo scorso anno il laboratorio ha dato vita al gruppo permanente di indagine performativa Laboratorio EmigratA, che presenterà il suo primo lavoro nel corso dell’anteprima del convegno.
Il Bando del Progetto Residenze Creative Indetto da Santibriganti Teatro al Teatro Garybaldi di Settimo Torinese di Santibriganti Teatro Associazione
Teatro Garybaldi – Settimo Torinese
Stagione teatrale 2010/2011
Il Teatro è al Garybaldi
Per la prima volta attraverso un bando aperto a tutti Santibriganti Teatro intende valorizzare e sostenere due giovani compagnie italiane (con particolare attenzione al Piemonte, alla Valle d’Aosta ed alla Liguria), offrendo loro l’occasione di esibirsi al Teatro Garybaldi di Settimo Torinese; i gruppi potranno utilizzare gli spazi del teatro per sette giorni, ripartiti tra prove, debutto ed eventuale replica.
Progetto Residenze Creative nasce nel 2007 e ha già dato opportunità a una dozzina di compagnie piemontesi, di teatro e di danza, di sperimentare “su palco”, in più giornate di lavoro, aspetti interpretativi, messa in scena, luci, suoni, confronti con addetti ai lavori e con il pubblico.
Il progetto, come è già accaduto negli anni scorsi, sarà inserito a tutti gli effetti nella stagione 2010/2011 Il teatro è al Garybaldi curata da Santibriganti Teatro.
Modalità di partecipazione al bando
-compagnia professionistica (dotata di agibilità Enpals ed in regola con i permessi Siae) i cui componenti non superino i 35 anni
-spettacolo da presentare come debutto assoluto indicativamente nei mesi di aprile e maggio 2011
-non ci sono limiti di generi o argomenti, l’unico vincolo è l’effettiva novità, perché queste Residenze siano davvero Creative
Materiale da allegare
-documentazione relativa al progetto (schede artistiche e tecniche, eventuali immagini – dvd e/o fotografie – di studi o prove)
-curriculum vitae della compagnia e fotocopia carta identità dei suoi componenti
-dvd, fotografie, schede artistiche e tecniche di almeno uno spettacolo precedente (non necessario in caso di debutto assoluto della compagnia)
-copia dello statuto e atto costitutivo
Condizioni del bando
il contratto prevede:
-uso gratuito della sala
-disponibilità di un tecnico di palcoscenico
-per le serate di repliche gli incassi saranno assegnati alla compagnia al netto dei costi Siae
-durante la permanenza in loco vitto e alloggio sono a carico delle compagnie (si prevedono convenzioni particolari con ristoranti ed alberghi).
-eventuale colloquio precedente al 30 giugno 2010, data della scadenza del bando
Santibriganti Teatro si riserva di valutare le proposte che perverranno entro il 15 maggio 2010 in forma cartacea presso gli uffici di via Palestro 9 cap 10024 Moncalieri (TO); per ulteriori informazioni tel. 011.643038 (lu. – ve. 14 – 18). A tutti sarà risposto; le compagnie selezionate saranno informate entro il 30 giugno 2010 affinché si possa procedere alla stesura del contratto e fissare le date.
Santibriganti Teatro nasce come cooperativa nel 1992. Nel 2002 la cooperativa si trasforma in Associazione Culturale.
La Compagnia rivolge una particolare attenzione alla drammaturgia contemporanea, alla ricerca e al teatro di tradizione popolare.
La compagnia collabora da anni, costantemente, con teatranzartedrama-Centro di Formazione per le Arti della Scena, in particolare per l’Accademia Teatrale del Piemonte - Scuola professionale d'Arte Teatrale.
Santibriganti Teatro ha prodotto dal 1996 al 2001 il Laboratorio Permanente di Ricerca sull'Arte dell'Attore, curato da Domenico Castaldo, con cui ha conseguito nel 1999 il Premio Giuseppe Bartolucci per la ricerca teatrale.
Dal 1997 al 2003 la compagnia è parte del direttivo del Coordinamento Moncalieri Teatro, nel cui ambito Maurizio Bàbuin ha curato la direzione artistica del Teatro Civico Matteotti e di Theatropolis – Festival Internazionale delle Arti Teatrali.
A partire dal 2002 nasce il progetto di Laboratorio Permanente sulla Commedia dell’Arte e il Teatro di Tradizione Popolare - Formazione, Ricerca, Produzione; la direzione artistica è di Mauro Piombo. In sintonia con questo percorso la compagnia promuove dal 2005 il festival nazionale MascheraFest.
Santibriganti Teatro è titolare, dal 2005, della Residenza Regionale Multidisciplinare di Caraglio e Valle Grana, presso il Teatro Comunale di Caraglio, con iniziative di stagione, produzione e formazione.
In collaborazione con il Comune di Settimo Torinese la compagnia cura la direzione artistica della stagione 2006-2007-2008 del Teatro Garybaldi. Da aprile 2008 Santibriganti Teatro assume la gestione artistica e organizzativa del Teatro Garybaldi di Settimo Torinese.
Il Teatro Garybaldi a partire dal 1987 è stato, con il Laboratorio Teatro Settimo, punto di eccellenza nella scena nazionale e fulcro di esperienze artistiche e creative. Dal 2008 è diventato la casa di Santibriganti Teatro, un luogo che continua ad offrire opportunità culturali da inventare, da condividere, da vivere.
Il Bando del Premio Lia Lapini Presentato da Voci di Fonte Festival di Siena di Premio Lia Lapini
terza edizione del
PREMIO SCRITTURA DI SCENA LIA LAPINI
La Scrittura di Scena – La poetica del Premio
Il premio, dedicato alla memoria di Lia Lapini1, intende raccogliere l'eredità del suo sguardo attento e lungimirante sul presente del teatro, cercando giovani artisti per aiutarli a sviluppare la propria progettualità e a portare il proprio talento all’attenzione del pubblico e della critica.
Il Premio Scrittura di Scena Lia Lapini vuole essere uno strumento di indagine su come i giovani artisti scolpiscono il tempo della scena e ricercano le visioni più intense e gli spunti più innovativi.
Il premio è interessato a promuovere i percorsi di ricerca teatrale che considerano il lavoro sulla scena come il momento centrale della creazione artistica.
AVVISO DI SELEZIONE
Premessa
Voci di Fonte - Festival di Siena, organizzato dal Comune di Siena e da laLut - Centro di ricerca e produzione teatrale, presenta la terza edizione del Premio Scrittura di Scena Lia Lapini.
È un premio di produzione finalizzato alla realizzazione di nuovi spettacoli che Voci di Fonte si impegna a sostenere nel percorso produttivo della durata di un anno (dalla selezione al debutto). A tal fine garantirà per la realizzazione dello spettacolo un contributo economico (finanziario e beni e servizi) alle spese di produzione fino ad un massimo di 10.000 €.
Il Festival aiuterà inoltre i vincitori nella ricerca di altri co-produttori e nella distribuzione dello spettacolo ed assisterà alla ‘vita’ dello spettacolo stesso oltre il suo debutto.
Modalità di partecipazione
Per partecipare al concorso è necessario compilare il modulo on-line e spedire la documentazione richiesta (Allegato A) esclusivamente via e-mail all’indirizzo premio@vocidifonte.org specificando in oggetto “PREMIO SCRITTURA DI SCENA LIA LAPINI” entro e non oltre il 1 Aprile 2010.
La direzione del Festival invierà via e-mail un avviso per confermare ai partecipanti l'avvenuta ricezione del materiale e l'ammissione a partecipare al Bando.
Si fa presente che ogni artista/gruppo potrà partecipare al bando con un solo progetto.
Documentazione richiesta
- modulo on-line, compilabile alla pagina www.vocidifonte.org.
- allegato A, allegato al presente bando (scaricabile alla pagina www.vocidifonte.org) per la
presentazione del progetto (massimo 3 cartelle) comprendente i seguenti punti:
• esposizione dell’idea artistica;
• autori e testi di riferimento del progetto;
• metodologia di lavoro e ipotesi di allestimento;
• collaborazioni con enti istituzioni pubbliche e private attivabili o già attivate per il progetto;
• curriculum sintetico dell’artista/compagnia.
Ai quattro progetti selezionati sarà richiesta:
Scheda tecnica dettagliata per la dimostrazione di lavoro (esigenze luci/fonica, tempi indicativi di
montaggio e smontaggio, spazio scenico), [confronta paragrafo selezione lettera C]. La presentazione
avverrà in uno spazio max 6m x 4m.
Selezione
La selezione dei progetti si articolerà nelle seguenti fasi.
a) dal 15 Febbraio al 1 Aprile verranno raccolti tutti i progetti;
b) entro il 15 Maggio: verranno selezionati 4 progetti finalisti. Il referente di ogni progetto selezionato potrà essere contattato dalla commissione esaminatrice per la partecipazione ad eventuali incontri a Siena (le spese di viaggio, vitto e alloggio sono a carico del Festival);
c) I progetti finalisti parteciperanno all’edizione 2010 del Festival Voci di Fonte (giugno) con una dimostrazione di lavoro/prova aperta della durata massima di 15 minuti (le spese di viaggio, vitto, alloggio ed una scheda tecnica base sono a carico del Festival fino ad un massimo di 300 euro);
d) Il progetto vincitore scelto tra i quattro finalisti verrà co-prodotto con un sostegno economico
fino ad un massimo di euro 10.000 a copertura delle spese di produzione (organizzazione, allestimento, promozione, compensi). Da parte sua, la compagnia vincitrice dovrà garantire due repliche dello spettacolo nell'ambito della ottava edizione del Festival Voci di Fonte, giugno 2011 (debutto toscano).
e) Gli altri progetti selezionati potranno essere oggetto da parte della Commissione della “Menzione Lia Lapini” finalizzata all’ospitalità4 dello spettacolo nella successiva edizione del Festival (giugno2011).
Menzione Speciale “SienaTeatri”
La commissione si riserva, inoltre, la possibilità di assegnare una menzione speciale al miglior progetto di artisti/gruppi del territorio di Siena. L’allestimento dello spettacolo sarà ospitato nell'ambito dell'edizione 2011 del Festival Voci di Fonte, senza uno specifico contributo economico alla produzione - a meno di non essere il progetto vincitore del premio. La menzione è realizzata in
collaborazione con SienaTeatri Opt.
Valutazione
La commissione esaminatrice è composta da esperti in relazione alle diverse aree del sistema teatrale (creazione / produzione / critica / distribuzione / fruizione), fra i quali verrà individuato un presidente.
La Commissione vaglierà i materiali pervenuti selezionando gli artisti da sostenere privilegiando il livello qualitativo dei progetti, in riferimento al loro carattere innovativo e alla loro attuabilità.
I criteri che saranno adottati nella prima fase di selezione, sono, in ordine di priorità:
• la pertinenza con la Scrittura di Scena e la qualità dell’idea artistica (da 0 a 10 punti)
• la sostenibilità e fattibilità economica del progetto (da 0 a 5 punti)
• le collaborazioni già attive (da 0 a 5 punti)
• i curricula dei proponenti (da 0 a 5 punti)
La commissione si riserva il diritto di richiedere materiale integrativo fotografico e video – relativo a
precedenti lavori, a prove in corso etc. - che dovrà essere visualizzabile su web (es. Youtube, Flickr etc.).
Nel caso dovesse rendersi necessario, il presidente - insieme ad un responsabile del Festival – farà una preselezione e stilerà una lista ristretta di progetti da sottoporre al vaglio della Commissione.
Il giudizio della commissione esaminatrice è insindacabile.
La commissione si riserva inoltre la possibilità di non premiare alcun progetto nel caso in cui non dovessero pervenire proposte giudicate soddisfacenti.
Regole di partecipazione
Il bando è rivolto ad artisti emergenti che abbiano compiuto almeno 18 anni. Possono partecipare gruppi o singoli artisti, tramite la proposta del regista/responsabile del progetto.
- Sono escluse le formazioni di teatro ragazzi e le compagnie amatoriali. Si selezionano progetti inediti, che non abbiano ricevuto altri premi alla data di presentazione della domanda.
- Il vincitore sarà tenuto a fronte del sostegno economico, a garantire due repliche nell'ambito dell'edizione 2011 del Festival.
- Successivamente alla data di presentazione della domanda è ammesso che il progetto sia presentato o realizzato in parte, sotto forma di studio.
- Fra la premiazione e la replica all’edizione successiva del Festival, vi potranno essere presentazioni di lavoro, studi ed eventualmente il debutto, purché al di fuori dalla Regione Toscana. Tale regola è in relazione alla possibilità che il progetto vincitore sia co-prodotto o sostenuto insieme ad altri soggetti che ne richiedono il debutto. In nessun caso il debutto potrà avvenire prima di tre mesi dalla data di premiazione, pena la revoca del sostegno economico.
- Le compagnie che intendono partecipare possono aver percepito per le proprie produzioni finanziamenti dallo Stato e/o Regioni per un limite annuo di euro 20.000.
La partecipazione al bando è gratuita.
- Il progetto vincitore dovrà recare in tutti i materiali la dicitura “Progetto vincitore Premio Lia Lapini
2010” e “co-prodotto da laLut/Festival Voci di Fonte”.
Produzione dello spettacolo
Il Premio Lia Lapini è un premio di produzione. Pertanto il Festival, per il tramite del Centro di Ricerca e Produzione Teatrale laLut, sarà il produttore del progetto di spettacolo selezionato che si realizzerà nell’arco di un anno attraverso il sostegno economico (finanziario, beni e servizi) fino a un massimo di 10.000 euro lordi. In dettaglio:
1 - COMPENSI
Paga minima sindacale e contributi per prove e repliche del personale artistico e tecnico coinvolto max € 5.000
2 – BENI E SERVIZI
Beni e servizi forniti direttamente dall'organizzazione del Festival per un valore massimo di altri 5000 euro per la copertura dei costi sotto indicati:
Residenza: sala prove presso Sala Lia Lapini e alloggio a Siena per ca.10 gg (a seconda del numero dei membri della compagnia) € 1.350
utilizzo materiale scenico e costumi del Festival € 150
Replica: costi di ospitalità scheda tecnica per la replica dello spettacolo (edizione 2011 del Festival)
€ 1.000
ufficio stampa, promozione e organizzazione € 2.000
ufficio promozione
segreteria di produzione, costi di amministrazione (buste paga, commercialista etc.) € 500
Collaborazioni e ringraziamenti
Il Premio Lia Lapini è promosso da laLut e dal Comune di Siena e con il sostegno della Regione Toscana all'interno del progetto di residenza del Festival Voci di Fonte. Il Premio è in collaborazionecon l'Associazione SienaTeatri Opt.
Un particolare ringraziamento va ai familiari della Professoressa Lia Lapini.
Info e contatti
Elena Lamberti
Direzione organizzativa premio Lia Lapini
e-mail: premio @vocidifonte.org
mob: 349 5655066
Festival Voci di Fonte
sito web: - e-mail: info@vocidifonte.org
laLut
Centro di Ricerca e Produzione Teatrale
Via della Quercia n° 7, 53035 Monteriggioni, Siena
sito web: www.lalut.org - e-mail: info@lalut.org
Associazione Culturale laLut - Libera Università del Teatro
via della Quercia 7, 53035 Monteriggioni (SI) P.I. e C.F. 00880280524
info@lalut.org - www.lalut.org
BP2010 Il teatro può e deve essere il luogo dove l’umano ritrova se stesso Evviva il Teatro dell'Elfo-Puccini di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani
Sabato prossimo si inaugura (finalmente) il Teatro dell’Elfo-Puccini. Sarà una grande festa, trovate tutte le indicazioni sul sito del Teatro dell’Elfo.
Un grande abbraccio a tutti gli Elfi da www.ateatro.it!!! (n.d.r.)
È stato ripetuto tante volte, sia da noi che da molti altri, ma forse in una logica troppo difensiva, sotto l’attacco di questa specie di appiccicosa e asfissiante ondata populista e antisociale che ci sta sommergendo. Mai come oggi è essenziale alla sopravvivenza di tutti noi, che crediamo in un teatro vivo, la consapevolezza di incarnare un pensiero e una pratica fondamentali per il futuro della nostra civiltà. Mai come ora è chiara la necessità di convincere tutti i nostri interlocutori di questa funzione essenziale dell’arte teatrale.
Il teatro contiene in sé la straordinaria capacità di mostrare come si possa restituire la comunicazione a se stessa: ma occorre far uscire il teatro dal regno dei segni da decodificare, in cui ancora si culla, e farlo tornare a quello dell’incontro tra esperienze, individuali e sociali. Il teatro è al tempo stesso terreno di scontro e luogo di incontro. Sappiamo che il teatro è una piccolissima scheggia in un mondo che ragiona per cifre iperboliche, per masse. Solo ciò che fa massa, oggi, riesce a contare qualcosa.
Restituire alla comunicazione una funzione sociale di aggregazione e dialogo costituisce un atto di grande disobbedienza civile, un atto di dissenso che ha un’enorme rilevanza in sé, se viene portato al grado massimo di consapevolezza. Tutti devono contrastare la tendenza a conformare la più naturale delle attività umane, il comunicare, ad un solo modello, quello mediatico. Tutti: artisti, critici, organizzatori, tecnici, pubblico…
Il teatro deve fare di tutto per spazzare via da sé le tentazioni di quel modello – anche nelle forme della sua promozione - e riaffermare la sua essenza e la sua capacità di essere luogo sociale per eccellenza, un luogo avanzato, un luogo all’avanguardia: intendendo la sua capacità di essere avanguardia sociale e non solo estetica. I superamenti, oggi, non possono più essere solo e puramente formali, ma devono agire anche sul piano della realtà, perché è lì che si gioca la grande partita, il vero scontro di civiltà.
BP2010 Creole Performance Cycle Prize Il bando di selezione di Voci di fonte
Creole Performance Cycle Prize
AVVISO DI SELEZIONE
Invito Speciale Festival VOCI DI FONTE
data pubblicazione: 15 febbraio 2010
PLAYING IDENTITIES: MIGRATION, CREOLISATION, CREATION
Progetto finanziato dal Programma Cultura 2007/2013 dell'Unione Europea
Capofila: Scuola Superiore Santa Chiara dell'Università di Siena
1. IL PROGETTO
“Le «Tout-Monde», c’est le monde actuel tel qu’il est dans sa diversité et dans son chaos.
Pour moi, le chaos n’est pas seulement le désordre, mais c’est aussi l’impossibilité de prévoir et de régir le monde.
La relation signifie un rapport de transversalité et non pas de causes à effets”
Edouard Glissant
Questo progetto è nato con l'obiettivo di interpretare i fenomeni di migrazione come istanze della creolizzazione.
L'aspetto originale di questo progetto risiede nell'intuizione di prendere in prestito la visione poetica di creolizzazione fornita da Edouard Glissant e applicarla a due diversi processi di creazione scegliendo due diversi ambiti:
• da un lato le Arti Performative – e in particolare il teatro – con lo scopo di produrre una performance in cui artisti con differenti ambiti di provenienza e con una diversa formazione siano in qualche modo “costretti” ad una negoziazione sui rispettivi codici espressivi, i significati, le modalità di lavoro. In questo senso la “creolizzazione” delle pratiche teatrali diventa un elemento essenziale dello spettacolo stesso.
• dall'altro le Scienze Umane e Sociali, con lo scopo di sviluppare nuovi strumenti concettuali e strutture metodologiche per l'analisi dei fenomeni di migrazione, attraverso lo scambio tra aree di studio e di ricerca con differenti approcci teoretici e metodologici.
Mettendo insieme le caratteristiche dei due processi di creazione – il primo inteso come la costituzione di un'identità interculturale, il secondo come l'elaborazione interdisciplinare di una metodologia analitica – vorremmo indicare le potenzialità di un “approccio creolizzato” ai fini di una migliore interpretazione delle dinamiche interculturali volte all'integrazione culturale e sociale dell'Europa.
2. IL CONCETTO DI “CREOLIZZAZIONE”
Il progetto Europeo “Playing Identities: Migrazione, Creolizzazione, Creazione” intende testare nella pratica teatrale il concetto di “creolizzazione”, ovvero sia il processo attraverso cui qualcosa diviene “creolo”.
Sviluppata dapprima nella linguistica e nell'antropologia sociale, l'idea di creolizzazione riguarda questioni culturali di ordine comunicativo. Lo sviluppo delle lingue creole ha luogo all'interno di un contesto di contatto e interazione tra differenti culture, comunità o gruppi sociali, caratterizzati da differenze di status (potere economico e politico). Le lingue creole creano una nuova sintassi ed una nuova grammatica che sono autonome da quelle delle lingue originali.
La creolizzazione concerne principalmente le modalità attraverso cui una cultura subalterna utilizza e ricontestualizza codici esistenti appartenenti alla cultura dominante con cui è in contatto. Una cultura creola è dunque spesso una cultura della rivendicazione, sia essa sociale, politica o culturale. I processi di creolizzazione riguardano quindi la costruzione di un'identità individuale o di gruppo. I contesti di immigrazione sono il luogo in cui più facilmente si può verificare una creolizzazione, dal momento che è in questi contesti che nasce con più urgenza la necessità di sviluppare un codice condiviso di comunicazione. In questo senso, i processi di creolizzazione sono esattamente l'opposto dei cosiddetti “processi di integrazione”. Questi ultimi, infatti, mirano al controllo dei fenomeni sociali di contatto: tentano di imporre una omologazione per creare equivalenza tra termini comparabili appartenenti a sistemi culturali differenti. La creolizzazione, al contrario, mostra in tutto ciò che produce la fatica della traducibilità, conservando i segni e le tracce delle distanze culturali e delle identità attraversate. La creolizzazione non ha un bersaglio definito, ma è il risultato di un continuo processo di interazione strategica.
La creazione artistica è il luogo più adatto per riprodurre un processo di creolizzazione, nella misura in cui essa miri alla costituzione di un sistema di mezzi espressivi che riorganizzino o reinterpretino le regole di precedenti atti creativi. Ne consegue, inoltre, che in un contesto di creolizzazione la “creatività” non è più una qualità della visione dell'artista o dell'autore, ma una qualità prodotta dal processo stesso. In questo progetto, l'idea artistica dovrà “migrare” attraverso differenti paesi dell'Unione Europea, adattandosi e modificandosi lungo il percorso.
In tale contesto, possiamo individuare due momenti di creolizzazione artistica. Il primo si situa nel processo di creazione in cui l'autore si confronta con il suo nuovo ambiente. Il secondo momento è quello della performance e del cambiamento di prospettiva che essa provoca nel pubblico.
La creazione artistica è sempre un processo “creolo”, in quanto riorganizza i mezzi espressivi in un ordine inatteso. Nel processo di creazione teatrale che proponiamo, ciascun intervento dei partecipanti alla performance si mescola con l'idea dell'autore, nascondendo e trasformando gradualmente i segni della sua identità artistica originale. Il ruolo dell'artista o artisti da selezionare non sarà quello di imporre la propria “visione artistica”, ma di mediare tra l'idea iniziale, le idee degli artisti locali e le condizioni del luogo in vista delle differenti performance. L'artista non dovrà puntare ad “essere creativo”, quanto piuttosto a “familiarizzarsi” con le condizioni locali e a confrontarsi con l'ambiente che lo ospita. In questo senso, la performance teatrale creola va pensata come qualcosa che riguarda il processo di messa in scena stesso oltre che i contenuti messi in scena.
Se consideriamo più da vicino il significato della creolizzazione nella pratica teatrale, dovremmo immaginare qualcosa che sfida le forme istituzionali o classiche del linguaggio teatrale e coinvolge anche il pubblico in quanto partecipante alla costituzione e alla negoziazione del significato. Qualcosa che dovrebbe mirare ad influire sulla relazione tra scena e pubblico, tanto da provocare uno scambio tra le culture ed un cambiamento nella comprensione del pubblico.
Con “Playing Identities” speriamo di far sì che le identità coinvolte cambino grazie al loro mettersi in gioco.
3. IL CREOLEPERFORMANCECYCLE
La forma
Per Creole Performance Cycle si intende una performance teatrale che si trasforma e si sviluppa attraverso le tappe del suo divenire, sulla base delle condizioni imposte in ogni “porto” (inteso nell'accezione di Glissant): l'incontro con i luoghi, le diverse lingue, gli artisti e le loro poetiche. Non si tratta di una produzione definita e ripetibile ma, al contrario, di una performance in continuo mutamento. Ha origine dall'incontro di artisti che operano con differenti modalità e attraverso processi creativi diversi: questi artisti lavoreranno insieme per un breve periodo di tempo con l'obiettivo di costruire una performance dall'identità complessa e multipla, e dagli esiti imprevedibili.
L'obiettivo
L'obiettivo del Creole Perfomance Cycle è investigare l'identità del lavoro teatrale. Il risultato finale non è importante quanto il modo e il processo che saranno adottati per raggiungerlo. Le collaborazioni internazionali ed interculturali sono comuni e frequenti: non ci interessa dimostrare che artisti di Paesi diversi possono lavorare insieme in virtù del 'comune linguaggio dell'arte'; mettere in gioco l'identità del lavoro teatrale significa per noi mettere in relazione poetiche diverse in un contesto di “urgenza”, proprio come avviene nel processo di creolizzazione della lingua: essa si trasforma e si rinnova naturalmente sulla base di un'effettiva necessità.
Meteodologia, tappe e organizzazione
Il Creole Performance Cycle sarà condotto da un singolo artista (“Creole Performance Cycle Director”) o da un piccolo nucleo di artisti e/o operatori – eventualmente, ma non necessariamente, formalmente costituiti (“Creole Performance Cycle Core Team”).
Il Director/Core Team sarà selezionato tramite una “call for proposals”.
Alcuni degli artisti saranno invitati a presentare le loro proposte, tuttavia verranno accolte anche proposte innovative di altri artisti che potranno partecipare con autocandidature.
Creole Performance Cycle Director e Core Team
Il Director/Core Team selezionato non sarà l'unico autore del lavoro: il loro ruolo consisterà nel condurre un processo di creazione teatrale. Il progetto vincitore sarà proposto ai gruppi di artisti locali individuati dai diversi Paesi Partner che ospiteranno la performance. Ogni Partner che ospiterà il Creole Performance Cycle sarà infatti responsabile dell'organizzazione delle attività previste in questa fase. Gli artisti locali - sulla base del progetto originario e delle risorse disponibili – proporranno le loro idee su come realizzare la tappa della performance.
Il Director/Core Team dovrà essere disponibile ad adattare/modificare la sua idea alle proposte degli artisti locali, alle diverse condizioni e ai diversi luoghi con cui si relazionerà. Ciò significa che il risultato, ad ogni tappa, scaturirà dall'apporto di tutti gli artisti coinvolti e non unicamente dall'applicazione della singola idea di messa in scena del progetto originario.
Incontri preparatori
Gli incontri preparatori tra il Director/Core Team e gli artisti locali, della durata di minimo 5 giorni ognuno, avranno luogo in date da definire nel periodo luglio/settembre 2010.
Durante gli incontri preparatori il Director/Core Team incontrerà gli artisti e lo staff del luogo, sceglieranno insieme gli spazi per l'allestimento, cominceranno a lavorare alla performance.
Residenze artistiche
Durante le residenze il Director/Core Team lavorerà indicativamente con 3 artisti locali (tra registi, attori, musicisti, danzatori, coreografi, scenografi, costumisti ecc.) - cfr. par. “considerazioni tecniche” per l'eventuale aumento del numero di artisti partecipanti.
Le residenze artistiche, nel numero di 5, avranno la durata di almeno 10 giorni ciascuna, si concluderanno con un momento spettacolare pubblico, e dovranno svolgersi nell'arco di tempo compreso tra il 1° ottobre 2010 al 30 giugno 2011.
I periodi e le date del ciclo di residenze e performances saranno concordate tra il Director/Core Team e i Partner dei Paesi ospitanti.
Il calendario delle residenze del Creole Performance Cycle sarà il seguente:
1. Romania – Man.In.Fest
2. Ungheria, festival/teatri/ da definire
3. Polonia, festival/teatri/da definire
4. Francia – Conques, Festival Errances
5. Italia- Siena Festival Voci di Fonte
È previsto un evento finale in sede da definire (in Italia o all'estero) in cui verrà presentato l'intero Creole Performance Cycle.
Considerazioni tecniche
- In virtù del concetto, della metodologia e della logistica alla base del Creole Performance Cycle non sarà possibile avere una scenografia “ingombrante” che viaggi con il Director/Core Team, e gli allestimenti di ogni tappa dovranno essere il più possibile leggeri ed agili.
Sarà cura di ogni Partner ospitante fornire un tecnico (luci/fonico/macchinista) per la relativa tappa del Creole Perfomance Cycle.
- La copertura dei costi relativi al compenso dei 3 artisti locali coinvolti nelle diverse tappe del Creole Performance Cycle è garantita dal budget di progetto. Tuttavia non si esclude la possibilità di aumentare il numero degli artisti locali - e/o di aumentare il totale dei giorni dedicati alla residenza - nel caso in cui il Partner locale, valutando il progetto, sia in grado direttamente o indirettamente di coprire i costi relativi al maggior numero di artisti/giorni impiegati.
- Il numero dei componenti del Director/Core Team potrebbe aumentare ulteriormente, qualora il gruppo/gli artisti coinvolti contribuissero a coprire i costi fuori-budget relativi ai compensi/ospitalità delle persone in più, ossia decidessero di co-produrre il Creole Performance Cycle (cfr. par. successivo)
Condizioni economiche
Il budget del Creole Performance Cycle Prize ammonta a una cifra compresa fra 18.000 e 25.000 euro (a seconda delle caratteristiche del progetto vincitore), a copertura dei compensi, lordi complessivi datore, per l'interno lavoro del Director/Core Team:
• da un minimo di 3.000 euro a un massimo di 10.000 euro: compenso per l'ideazione, per gli incontri preliminari (indicativamente un 1 mese di lavoro complessivo) e per la concezione dell'evento finale - i costi di tale evento verranno comunque valutati e concordati sulla base del progetto e della sua evoluzione in corso d’opera.
• da un minimo di 15.000 euro a un massimo di 22.000 euro: compenso che sarà corrisposto per le 5 residenze artistiche.
Vitto, alloggio e spese di viaggio del Director/Core Team saranno a carico dei Partner del progetto.
Il budget previsto per la copertura di queste spese ammonta ad un massimo di 14.000 euro.
Nel caso in cui il numero dei componenti il Core Team sia tale da eccedere il budget disponibile, le spese fuori budget saranno a carico del Core Team stesso, o stornate dal budget del Creole Performance Cycle Prize di cui al punto precedente, o coperte tramite una co-produzione con fondi altrimenti reperiti dal Core Team.
4. MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE
Per partecipare gli artisti dovranno compilare il relativo modulo (application A) fornendo tutte le informazioni richieste e seguendo i criteri di elegibilità.
Il modulo, compilato in tutte le sue parti, dovrà essere redatto in lingua inglese e non dovrà superare le 4 cartelle. Dovrà essere inviato via email all'indirizzo prize@playingidentities.eu, entroenonoltreil20marzo2010.
Le domande incomplete e le domande pervenute successivamente alla data di scadenza non saranno prese in considerazione.
Il presente bando e il modulo sono disponibili sul sito www.vocidifonte.org
Criteri di elegibilità
Possono partecipare alla call:
• le compagnie/gli artisti invitati.
• compagnie/artisti non invitati, residenti in uno qualsiasi dei Paesi della Comunità Europea. Gli artisti dovranno avere almeno 5 anni di esperienza nella loro area artistica (es. teatro, danza, regia, scenografia, drammaturgia ecc.) e dovranno avere esperienza in allestimenti di performance di tipo teatrale.
Regole di partecipazione
Per partecipare, gli artisti dovranno accettare tutte le condizioni che regoleranno il Creole Performance Cycle precedentemente descritte.
L'artista/gli artisti vincitori dovranno:
- tra luglio 2010 e luglio 2011: prendere parte ai 5 incontri preliminari e alle 5 residenze presso i Paesi ospitanti dove allestire le performance, e prendere parte all'evento finale che consisterà nella presentazione dell'intero Creole Performance Cycle
- essere disponibile a mettere in discussione il proprio progetto con i gruppi di artisti locali che incontrerà durante le diverse tappe in modo da garantire un equo contributo da parte di tutti i partecipanti;
- essere pronto a confrontarsi con situazioni di “urgenza” in termini di risorse (es. tempi stretti di lavoro; luoghi, persone e lingue differenti ecc.)
I progetti dovranno essere originali e mai utilizzati per allestire una performance.
Documentazione richiesta
Gli artisti dovranno compilare il relativo modulo comprendente:
• una dichiarazione di motivazione;
• l'idea artistica alla base del progetto;
• eventuali autori e testi di riferimento;
• una o più ipotesi di lavoro (es. metodologia, artisti da coinvolgere, idee per l'allestimento...);
• un breve cv con chiaro riferimento alle lingue parlate e a precedenti esperienze internazionali.
Eventuale documentazione video e fotografica non reperibile online può essere inviata all'indirizzo:
laLut Centro di Ricerca e Produzione Teatrale
c/o Siena Teatri OPT, vicolo degli Orbachi 4,
53100, Siena, ITALY
5. VALUTAZIONE E SELEZIONE
I progetti saranno valutati da un'apposita Commissione di Valutazione formata da membri di diversi Paesi sia interni che esterni al progetto Playing Identities.
I criteri adottati nella fase di selezione sono, in ordine di priorità:
• la pertinenza con il concetto alla base del Progetto Playing Identities;
• la qualità dell'idea artistica e la sua originalità;
• la sostenibilità e la fattibilità economica del progetto;
• il profilo degli artisti proponenti;
• eventuali apporti di coproduttori/enti a sostegno del progetto presentato.
La Commissione si riserva la possibilità, qualora lo ritenesse necessario, di richiedere incontri di approfondimento con gli artisti che parteciperanno alla Call.
Il progetto vincitore sarà comunicato a tutti i partecipanti e pubblicato sul sito entroil15aprile2010.
Creole Performance Cycle Prize
Durante la settima edizione del Festival Voci di Fonte (Siena), in giugno 2010, sarà presentato il il progetto vincitore.
L'artista/gli artisti vincitori potranno decidere come presentare il proprio progetto: es. attraverso foto, video, bozzetti di scena e di costumi ecc. Qualora lo ritenessero necessario, potranno anche avvalersi dell'aiuto di attori (che saranno eventualmente forniti da laLut).
Il vitto, l'alloggio e le spese di viaggio dell'artista/artisti saranno coperte dal Festival.
La Commissione di Valutazione si riserva il diritto di selezionare altri progetti ritenuti di valore tra quelli pervenuti; l'intento è quello di pubblicarli (tra i materiali e sul sito del progetto Playing Identities) e di invitare gli autori dei suddetti progetti alla cerimonia di premiazione che si terrà al Festival Voci di Fonte nel giugno 2010.
7. I PARTNER DEL PROGETTO PLAYINGIDENTITIES<br>
Università di Siena - Scuola Superiore Santa Chiara (Capofila) (IT)
Centro de Estudios ComparatistasUniversidade de Lisboa (PO)
University of Humanities and Economics in Lodz (PL)
University of Ljubljana (SL)
Monash University of Melbourne (AUS)
Consejo Superior de Investigaciones Científicas (EP)
Fondazione Teatro Due di Parma (IT)
Errances Teatro / Festival Errances (FR)
Teatrul Imposibil / Festival MenInfest (RO)
laLut – Centro di Ricerca e Produzione Teatrale / Festival di Siena Voci di Fonte (IT)
Comune di Siena (IT)
Provincia di Siena (IT)
Comune di Conques (FR)
Poleski Art Center (PL)
Elicona Servizi Culturali (IT)
Laterna Magica Production (HU)
BP2010 TEATrO & LEGALiTà IX anno di Virus Teatrali
‘Virus Teatrali’
direzione artistica | Giovanni Meola
Il progetto ‘TEATrO & LEGALiTà’ nasce nove anni fa sull’onda di alcuni laboratori teatrali scolastici. Per la prima volta sul territorio regionale campano prende vita quindi un progetto teatrale organico che prevede la proposta di più spettacoli legati da una tematica comune, realizzati e proposti da ‘Virus Teatrali’ attraverso una sua articolazione,
composta da giovani attori/non attori della provincia a nord di Napoli;
la ‘Compagnia della Legalità’ ha messo in scena e rappresentato nel corso degli ultimi sei anni gli spettacoli :
Rappresentazioni serali, partecipazioni a festival o rassegne, mattinate scolastiche per scuole medie e medie superiori del territorio per un totale di diverse migliaia di spettatori coinvolti in più di 130 rappresentazioni finora.
Un numero ragguardevole tenendo presente la natura non professionale,
ma nemmeno amatoriale, del progetto.
E inoltre, letture drammatizzate, incontri e convegni, laboratori e rappresentazioni all’interno delle scuole di un monologo, “L’INFAME”, che nasce con questo progetto per approdare poi al teatro professionale con più di 100 repliche all’attivo in tutta Italia negli ultimi sei anni.
‘TEATrO & LEGALiTà’ è il risultato dei numerosi anni di lavoro di GIOVANNI MEOLA, autore e regista degli atti unici in questione e che da tempo sviluppa temi forti, sia nelle produzioni professionali che quando coinvolge i giovani studenti come nel caso del progetto pensato e realizzato solo e per le scuole, “L’INCENDIO”.
Dopo l’esperienza di operatore e formatore teatrale maturata presso il carcere minorile di Nisida, MEOLA ha condotto e conduce da undici anni laboratori teatrali in svariate scuole superiori della regione.
A precedere ed accompagnare questi spettacoli, la messa in scena di altrettanti lavori (rappresentati in numerosi teatri a livello nazionale) sull’argomento con attori professionisti :
“LO SGARRO”
“IL CONFESSORE”
“L’INFAME”
“FRAT’ ‘e SANGHE”
I quattro spettacoli del progetto nonché quelli sopra citati sono legati ai temi della legalità in quanto sviluppano vicende ‘border line’ del sottobosco sociale, della vita di periferia e di provincia, raccontando storie di personaggi estremi ma anche riconoscibili come appartenenti a questi tempi turbolenti.
Messinscene frutto di una ricerca attenta sui segni e sul linguaggio.
Gli undici anni di laboratorialità scolastica, per finire, hanno creato un rapporto con centinaia di studenti sparsi in tutta la regione e la realizzazione di decine di dimostrazioni di lavoro il più delle volte basate sui temi di questo progetto.
Questi, alcuni dei titoli dei lavori ‘scolastici’ proposti e realizzati anche in più di una scuola, come con “L’INCENDIO”, realizzato in quattro istituti diversi di Arzano, Afragola, Sarno e Sant’Agata de’ Goti:
“LA LEGGE DEL PIU’ FORTE”
“L’INCENDIO”
“FIGURE & FIGURINI”
recenti riconoscimenti e premi nazionali
PREMIO ENRIQUEZ 2008 per la drammaturgia nonché per lo spettacolo “L’INFAME”.
2007-XIII ed. Premio GIRULÀ-Teatro a Napoli
‘Miglior Progetto di Teatro per Ragazzi e con in Ragazzi’
“TEATrO&LEGALiTà” dir. art. Giovanni Meola
PREMIO NAZIONALE di DRAMMATURGIA ‘Città di Valenzano’ 2006 per “LO SGARRO”.
In produzione e distribuzione nazionale per la stagione 2007-‘08 :
“L’INFAME” e “FRAT’ ‘e SANGHE”
PRIMO PREMIO ‘PescaraCortoScript’ 2007
per la sceneggiatura “ANDATA AL CALVARIO”
Filiazione diretta dal progetto in questione, per temi e persone coinvolte, il CORTOMETRAGGIO sceneggiato e diretto da Giovanni Meola,
"IL PINOCCHIO CAROGNONE",
vincitore finora, in un anno di vita, di 5 PREMI NAZIONALI e altrettante menzioni speciali nelle 30 finali di concorsi nazionali raggiunte.
note del direttore artistico
“Già dalla realizzazione di BAR BRAZIL ho immediatamente percepito l’impatto dirompente di questo percorso.
Giovani dalle grandi potenzialità ma condannati all’ignavia per mancanza di stimoli culturali hanno trovato nel teatro un enorme mezzo espressivo che ci ha permesso di creare storie più vere del vero anche se ovviamente trasfigurate dal mezzo teatrale.
Per questo forse ancora più efficaci.
E l’incontro con un pubblico altrettanto affamato e composto spesso da giovani e giovanissimi come loro ha rappresentato un ulteriore momento di conferma: quando dei ragazzi vedono altri ragazzi riuscire a raccontare e suggestionare, scatta quell’immedesimazione che è alla base della magia del teatro, quella che ti fa uscire dalla sala con qualcosa in più dentro, quella che non ti lascia indifferente e mette in moto corde segrete della nostra interiorità.
Ne ‘O SCARTO, quarto capitolo di questa TETRALOGIA, questo progetto continua rinnovandosi, con sempre nuovi innesti per sostituire non chi è andato via ma chi, perché ha cominciato a lavorare o perché emigrato, sta faticosamente trovando la sua strada nella vita, arricchendosi anche dell’amichevole presenza di un talentuoso attore del nostro teatro nazionale, Enrico Ottaviano.
Con L’INCENDIO, a guidare i passi è stata l’esperienza con i ragazzi del ‘Liceo Scientifico’ di Arzano, un altro dei territori di confine dove si è cercato di far misurare i ragazzi con tematiche attuali, piuttosto che proporre loro testi sganciati da una quotidianità che invece li ha coinvolti in maniera esponenziale spingendoli a una presa di coscienza sul chiedersi sempre il perché fare o dire una determinata cosa o battuta in scena, accrescendo con ciò la loro capacità analitica.
Il piacere del loro ‘giocar-teatrando’ può permettere a questi ragazzi, per la prima volta sulla scena, di trattare temi difficili con acutezza e leggerezza allo stesso tempo, sganciati dall’obbligo del rigore attoriale pur attenti a comunicare nella maniera più diretta ed efficace possibile.”
G.Meola
sinossi spettacoli in repertorio “L’INFAME”
(monologo-durata 55’)
Un pentito di camorra tradisce i compagni di malavita
e paga con una tremenda vendetta trasversale le sue dichiarazioni.
‘Strana storia chella d’ ‘e contranomme : mo’ nun ero cchiù Mazza ‘e Scopa, mo’ ero addiventato l’INFAME ! E tutto pecché avevo cagnato clan.’
La vicenda di un camorrista ‘minore’ che svela ad un magistrato anni di trame malavitose convinto di poter continuare a ‘fumare’,
il suo vizio ma anche, a suo dire, il suo unico grande pregio.
Un illuso.
Mazza ‘e Scopa racconta di un mondo di violenza nel quale tutti hanno un soprannome più o meno eccentrico, più o meno minaccioso, più o meno ridicolo.
“BAR BRAZIL”
(durata 50’)
Tutto può accadere all’esterno di un bar di periferia.
Anche di vedersi agitare davanti un coltello dalla lama troppo affilata.
Bar Brazil è la vicenda di sette ragazzi cresciuti maledettamente troppo in fretta
e troppo in fretta entrati in contatto con la droga al punto da diventarne Baby-Corrieri.
Ragazzi senza più alcuna illusione se non quella di una vita dai facili guadagni, senza un’idea di rispetto per gli altri, attirati dal potere che dà il maneggiare un’arma.
“LA TRASFERTA” (durata 1h10’)
Da una parte i ‘CANILLI ARRAGGIATI’, frangia estrema di tifosi-teppistelli pronti a tutto ; dall’altra Gigetto e i suoi amici, appassionati di Eduardo e del suo teatro. Partiti tutti assieme per una TRASFERTA lunga e pericolosa, il ‘dio-pallone’ ci mette lo zampino, pretendendo il suo periodico, brutale e rituale sacrificio umano. Di permanente attualità, LA TRASFERTA prova a calarsi nel mondo di ordinaria follia di un viaggio senza ritorno verso un destino violento e ingiustificato,
del quale spesso si muore senza nemmeno sapere il perché.
“ARCANGELO S., OMICIDA”
(durata 1h10’)
L’omicidio gratuito di un giovane da parte di un altro, malavitoso in erba,
in una città che non sa dare più il giusto valore alla vita umana.
Morte che innesca un desiderio di vendetta in chi, il miglior amico del morto, si sente privato di un bene assoluto, scatenando così un meccanismo di ‘giustizia-fai-da-te’ che a poco a poco conquista anche chi di tale processo non ne vuole sapere.
Il tutto in un’atmosfera che passa senza soluzione di continuità dal dramma alla farsa, come è delle cose della vita, con in più che ad interpretare vittima ed assassino è la stessa persona.
“’O SCARTO”
(durata 50’)
Un tentativo di rapina ad un piccolo supermarket in una zona dove una guerra tra clan ha portato al potere giovanissimi CAMORRISTI, al punto che il tirapiedi del nuovo boss,
‘O PREVETE, è un adulto che esegue gli ordini di uno che ha la metà dei suoi anni.
L’imposizione di prodotti e marche da vendere e il controllo su ragazzi succubi della droga che, pur di avere i soldi necessari a procurarsi piacere ed oblio, sono disposti a tutto, rende pressocché illimitato il potere di questa nuova ‘classe dirigente’ che basa sulle sostanze stupefacenti e sulla sopraffazione il controllo del territorio e delle persone.
“FRAT’ ‘e SANGHE”
(durata 55’)
La Napoli che cambia, la Napoli che non cambia mai.
31 Dicembre 1999 ; in strada la ‘munnezza’ a cumuli, in cielo il sole che batte come fosse estate e un militare che torna a casa dalla missione nei Balcani in cerca di affetto e sostegno dai due fratelli maggiori.
Tre fratelli diversi, poco fratelli in tutto, compreso i ricordi,
come se il sole avesse liquefatto il sangue che li lega.
Tre fratelli che non si vedono da anni.
“LO SGARRO”
(monologo-durata 50’ | lettura-durata 25’)
La vicenda di un BOSS di provincia spietato e malinconico.
I boss sono uguali dappertutto ma in provincia devono essere anche degli architetti in grado di costruire una loro propria morale, farne il codice di tutti e farla rispettare a qualunque costo. E chi ‘sgarra’...paga, anche se si tratta dei compagni di giochi o dei propri fratelli.
E così un uomo resta solo, anche se amava fare il Pulcinella, con la sua costruzione di potere in grado di dare la morte per un minimo errore.
Ma tutto questo vale solo fino a quando il BOSS resta nei confini di ciò che gli appartiene, perché fuori dalla sua provincia questo ‘signor boss’ è un emerito ‘signor nessuno’.
E anche lui, fuori dai confini, se ‘sgarra’...paga !
“IL CONFESSORE”
(monologo-durata 50’ | lettura 25’)
La vicenda di un parroco anti-camorra di provincia che fa della sua missione lo strumento per poter far parlare (attraverso la confessione) i ‘mostri’ armati e violenti che popolano la desolazione di tutti gli entro-terra infestati, devastati e avvelenati dal morbo della
MALA-VITA, che è innanzitutto MALA-CULTURA e poi MALA-MORTE.
Picchiato selvaggiamente perché scomodo, la sua reazione di chiudere la porta della casa di Dio in faccia a chi ipocritamente la abita tutte le domeniche, senza rinunciare al proprio mestiere di morte, gli farà pagare dazio anche con la Chiesa, che lo sospende
‘a divinis’, privandolo della sua dignità, prima ancora che della sua forza.
Estratti RASSEGNA STAMPA “L’INFAME”
VII ed. festival internazionale ‘THEATROPOLIS’ Moncalieri-TO
Cartellone Teatro ARSENALE-MI
Festival TAM TAM-Cassano all’Ionio-CS
“La scrittura di Meola plasma personaggi che graffiano l’anima, come il pentito Mazza ‘e Scopa (il bravissimo Luigi Credendino) che, in un intensissimo e serrato monologo, ripercorre davanti ad un immaginario magistrato le tappe della sua personale discesa negli inferi della malavita.”
(NAPOLIPIU’)
“Un mondo surreale (o iperreale ?) dove nessuno ha un nome e un cognome, ma ‘nu contranomme : il testo di Meola è il racconto antico di un dramma moderno, nel quale Credendino incede con i movimenti di una marionetta, di un ‘Pulcinella’ cacciato dalla commedia dell’arte.”
(il GIORNALE di CASERTA)
“Spettacolo forte, ricco di contenuti, che pone l’uomo al centro della scena e ne svela le debolezze, ma anche il bisogno di dialogo e di riconciliazione con se stesso per essere considerato prima di tutto un essere umano e non solo un mezzo di prova.”
(BARI SERA)
“La regia si libera dagli stereotipi dettati dal buonismo ipocrita e mette in scena una realtà dettata dalla disperazione, liberata dal più profondo del corpo magro e scarno del pentito, interpretato dallo struggente Luigi Credendino, che sorride teneramente quando parla del fratello fornaio, estraneo al mondo malavitoso, ma poi ferocemente eliminato.”
(PUGLIA live)
“BAR BRAZIL”
PREMIO ‘miglior regia’|‘miglior progetto legalità’
VI ed. conc. naz.le ‘PULCINELLAMENTE’
“Una testimonianza di come, attraverso il teatro, si possa incidere sulle coscienze delle future generazioni e aprire un discorso per scardinare la cultura dell’illegalità. I giovani andati in scena hanno facce e storie di confine che solo il teatro può riscattare. E per questo raccontano meglio di qualunque attore professionista una storia di violenza e dolore, sopraffazione e rabbia repressa.”
(il MATTINO)
“I personaggi di Meola sono poco più che ombre scure che varcano i confini della scena e finiscono per parlare di altro, di una rassegnazione che non paga più, di un immedicabile dolore, della tragedia ironica di una vita che ti stritola ; i baby-corrieri di “Bar Brazil” sono adolescenti schiacciati dal peso insostenibile della camorra che li usa e ne abusa.”
(NAPOLIPIU’)
“LA TRASFERTA”
I ed. ‘FESTIVAL SPORT OPERA’
“’La Trasferta’ emoziona, conquista e rende palese la parantela tra le periferie di mondi diversi, dove Pasolini, Maradona, Eduardo, Centocelle e Nisida diventano luoghi dell’anima, dove ‘la disperata vitalità’ dei ‘Canilli Arraggiati’ (i tifosi-teppisti protagonisti in negativo della piéce) e quella degli altri personaggi si mischia, provocando un nodo alla gola emozionante ma anche angosciante.”
(ROMA)
“Nella storia semplice, ma potente e incisiva come solo le cose semplici sanno essere, dei ‘Canilli Arraggiati’ e di un gruppo di coetanei che passa serate a citare brani delle commedie di Eduardo, il regista mostra come un sistema di ricordi diventi mitologia, liturgia, religione e morale attiva, motore etico delirante.”
(NAPOLIPIU’)
“FRAT’ ‘e SANGHE”
III ed. ‘NUOVI SENTIERI’
Cartellone Teatro ROYAL-BARI
"’Frat’ ‘e Sanghe’, come spesso accade con i testi di Giovanni Meola, ci racconta quello che sempre più nessuno vuole raccontare, quelle parti di città, di società, che si cerca di nascondere sotto il tappeto per non guastare il ‘salotto buono’ e i suoi maneggi.”
(METROVIE-il manifesto)
“Attraverso una scenografia essenziale e un vocabolario dialettale scelto, si svolge la vicenda di tre fratelli, drammatica nella sua ordinarietà, in una Napoli che all’alba del 2000 fa i conti con se stessa, il proprio passato, le tradizioni, la sfida sul futuro che l’attende, che la vuole cambiare, che non parla più la sua lingua.
Con le contraddizioni sociali che la lacerano ma la tengono assieme, anime distanti ma unite e rappresentate dai protagonisti.”
(ROMA)
“Sasà, Giovanni e Pippo, i tre fratelli, sono volti diversi di una stessa città, dolce e amara nello stesso tempo, che si rispecchia nelle parole di rabbia, nostalgia e dolore dei tre.
E tutto ciò trova il momento di massima espressione in un finale drammatico, la morte del più piccolo, con gli altri due che continuano imperterriti a litigare, senza accorgersi della dipartita con la quale cala il sipario sul teatro della loro vita.”
(NAPOLIPIU’)
“LO SGARRO”
PREMIO nazionale drammaturgia ‘Città di Valenzano’ 2006
XXI ed. ‘BENEVENTO CITTA’ SPETTACOLO’
“Di forte impatto il lavoro di Meola su un uomo cresciuto in una ‘provincia nera’ dove, se ‘boss’ devi essere, devi esserlo fino in fondo, duro, impietoso,spietato.
E lo spettacolo trova nell’interprete un’aderenza dal tono e il linguaggio crudi,
senza pentimento, ma con l’amarezza di una vita bruciata.
(il MATTINO)
“Un monologo lancinante come il dolore della coscienza umana, quello di Meola, un grido sconsolato in un mondo contorto dove anche i sentimenti più profondi devono soccombere dinanzi all’assurdo potere di chi è costretto a seminare morte.
Triste, malato di solitudine, il boss protagonista de “Lo Sgarro” ride disperato, piange, si lamenta, si ribella e vorrebbe tornare invano a fare ‘Puclinella’, come da piccolo.”
(CRONACHE di NAPOLI)
“Il testo, in un dialetto duro e sferzante, si combina con la regia stilizzata e, soprattutto, con la ‘disperata vitalità’ del protagonista.”
(IL CORRIERE DELLA SERA/CORRIERE DEL MEZZOGIORNO)
“Un testo affascinante che mette in risalto la provincia napoletana più profonda ;
l’esame di coscienza di un giovane boss che, dopo un’irresistibile e velocissima scalata al potere, si ferma a riflettere e ricordare poco prima di subire la punizione che lo attende per uno sgarro da lui stesso compiuto nei confronti di un boss più grande.”
(CORRIERE di CASERTA)
“Il monologo è un susseguirsi di climax ad effetto,sottolineati dalla regia dell’autore, dalle musiche, dai contrasti di luce.”
(IL SANNIO)
contatti ‘Virus Teatrali’
virusteatrali@gmail.com
Il lungo viaggio di Emilio Pozzi Dignità, coraggio, generosità, ironia: i tratti distintivi del suo profilo umano e professionale di Vito Minoia (*)
Emilio Pozzi a Cartoceto nell'ottobre 2010 (foto di Franco Deriu).
E’ scomparso senza clamore a Milano il 22 aprile all’età di 83 anni Emilio Pozzi, “attento interprete del ruolo insostituibile del teatro pubblico”. Così lo hanno ricordato al Piccolo Teatro di Milano, quella istituzione alla quale aveva dedicato particolare attenzione “per scelta professionale e civile”. Sono parole, pubblicate nella sua opera I teatri di Milano (con Domenico Manzella, Mursia 1985). Giorgio Strehler che volle scrivere l’introduzione ai due volumi disse “E’ un libro di noi teatranti”, con larga accezione. In quelle pagine, infatti, oltre alla ricostruzione erudita di duemila anni di storia dello spettacolo meneghino, riecheggiano le vicende di drammaturghi, musicisti, commediografi, ballerini, coreografi, attori, cantanti, registi, scenografi, costumisti, direttori d’orchestra e altri ‘addetti ai lavori’.
Una passione, quella dello storico del teatro, che Emilio ha iniziato a coltivare in modo più organico quando Paolo Grassi gli chiese di comporre insieme e accanto a lui il volume sui suoi 40 anni di palcoscenico. Grassi impose all’Editore Ugo Mursia quel giornalista “di cui stimo da almeno trent’anni la probità professionale e la disponibilità umana, e di cui coltivo da sempre una sincera, affettuosa amicizia”. Eravamo nel 1977 e per la prima volta il fondatore del Piccolo Teatro, insieme a Strehler e Nina Vinchi, dopo essere stato sovrintendente della Scala dal 1972, eletto Presidente della RAI, rifletteva con coerenza sull’idea centrale di un teatro d’arte a gestione pubblica, scelta frutto di ricerche e studi e naturale traguardo di una posizione ideologica socialista.
Emilio lavorava in RAI già dal 1945, occupandosi particolarmente dei problemi dello spettacolo e - in intense pause di concentrazione nelle domeniche dell’autunno milanese - utilizzò un registratore per raccogliere dialoghi e monologhi non soltanto di Grassi, ma anche di chi aveva contributi di memoria da offrire ed opinioni da esprimere. Riuscì dunque a comporre un mosaico di episodi, di riflessioni e di spunti, adatti a cogliere il profilo di una personalità e di una vicenda umana, individuale e pubblica. E da conoscitore delle tecniche di recitazione, al termine di ogni capitolo, ha fatto parlare il protagonista come negli “a parte” del teatro tradizionale, attraverso quei corsivi su se stesso e gli altri che aprono un dialogo estremamente confidenziale con la platea dei lettori. Il libro fu tradotto in diverse lingue (fino in Unione Sovietica).
Alla RAI ha dedicato una buona parte della propria attività giornalistica cominciando al Giornale radio come radiocronista a Milano, poi a Roma, anche con la direzione della Ricerca e sperimentazione programmi, e infine a Torino, dal 1980, dove ha diretto la sede regionale piemontese per dieci anni. Ha realizzato molti documentari radiofonici. Memorabili le sue interviste ai personaggi più noti dello spettacolo degli ultimi sessant’anni, tra le quali ricordiamo quelle a Maria Callas o a Renata Tebaldi (notoriamente molto riservata) o quella ai tre De Filippo (Eduardo, Peppino e Titina) riuniti in uno studio radiofonico nel momento in cui si erano divise le loro strade professionali.
E’ stato anche corrispondente della radio Svizzera di Lugano per la quale ha raccontato, da Milano, gli anni della strategia della tensione.
Franco Abruzzo e l’Ordine Nazionale dei Giornalisti di Milano (di cui è stato anche segretario) lo hanno ricordato come “memoria storica del giornalismo radiofonico e televisivo” e come formatore di una intera generazione di allievi dell’istituto di formazione regionale Carlo De Martino, già vicepresidente dell’Associazione Walter Tobagi che lo gestisce (prima scuola di giornalismo italiana, della quale Emilio ha curato nel 2002 il racconto delle vicende del suo primo quarto di secolo).
Tornando ai problemi della storia del teatro e dello spettacolo, disciplina che ha insegnato negli ultimi venticinque anni alla Facoltà di sociologia dell’Università di Urbino, è da segnalare la direzione della collanaQuaderni per la memoria (Edizioni Quattroventi) con monografie dedicate a Carlo Terron, Giovanni Testori, Vittorio Gassman, Luciano Pavarotti, Saverio Marconi, Antonio Ghiringhelli, Mina Mezzadri, Valeria Moriconi. Del 1990 è un’altra preziosa opera: I maghi dello spettacolo. Gli impresari italiani dal 1930 a oggi (Mursia): un volume che ricostruisce la vita e le opere dei più significativi impresari definiti scherzosamente “abili demiurghi dietro le quinte, a volte felici rabdomanti di talenti o estrosi giocolieri tra i bilanci” dentro e fuori i limiti della definizione classica.
Del 1992 invece è Sociologia dello spettacolo teatrale (Cisalpino Editore, con Bernardo Valli), dove ha esplorato i filoni di una vocazione sociologica del teatro, a partire dall’espressione politica di Piscator e Brecht, fino ad Antonin Artaud.
A Urbino l’ho conosciuto anch’io nel 1988, condividendone da subito le idee e intraprendendo, con complicità, un percorso di approfonditi studi e ricerche.
Tra i suoi corsi universitari ai quali ho collaborato ricordo i significativi percorsi monografici dedicati a “I Teatri stabili”, “La donna e il teatro”, “Teatri di frontiera”, “Il Teatro-cabaret”, “Il Teatro in televisione”, “Eduardo raccontato dagli altri” (ricordiamo su questo argomento la pubblicazione del volume Parole mbrugliate, Bulzoni editore 2007, raccolta di 153 voci selezionate sul campo) fino ai corsi dedicati alle tematiche afferenti ai “Teatri delle diversità” a seguito dell’esperienza che ci ha uniti profondamente: la partecipazione alla fondazione e direzione, dal 1996, della rivista trimestrale europea omonima (fino al ‘99 denominata “Catarsi”).
In questi anni ci ha legato il grande impegno per una informazione, una ricerca, una riflessione critica finalizzata al tentativo di organizzare un’ eco del lavoro teatrale magmaticamente in essere, che ha come scopo l' identificazione dei metodi che aprono le strade dell' integrazione, attraverso l'acquisizione – con pari dignità - della cultura della convivenza. In due tesi, la prima di Laura Renna all’Università di Ferrara (2003) e l’altra di Francesca La Gala all’Università statale di Milano (2008), è raccolta un’ampia documentazione sul lavoro sviluppato con i primi 50 numeri della rivista. In un Quaderno del Consiglio regionale delle Marche - di prossima pubblicazione – è invece contenuta una selezione degli atti dei dieci convegni promossi a Cartoceto (Pesaro e Urbino) dal 2000 al 2009.
Di questi anni per le Edizioni Nuove Catarsi sono i nostri due volumi Di alcuni teatri delle diversità (1999) e Recito, dunque so(g)no (2009). Il secondo a fondamento del suo ultimo corso universitario dal titolo “Teatro e carcere 2009”: un volume dedicato a Claudio Meldolesi, compagno di viaggio nell’avventura della rivista e con il quale abbiamo condiviso lo studio dei fondamenti della ‘scena reclusa’.
Alla base del grande interesse di Emilio per il mondo penitenziario o del suo mal di “carcerite” (come amava dire usando un neologismo) vi erano anche altre due ragioni profonde: una significativa attività di volontariato, svolta insieme a sua moglie Luciana negli ultimi venti anni con attività di formazione al giornalismo e di lettura, scrittura, cinema, poesia rivolte a detenuti e detenute nel carcere di San Vittore (dove ha ideato e organizzato negli ultimi anni anche la Giornata della memoria); il ricordo indelebile di essere stato arrestato dai nazisti e detenuto politico durante la Resistenza nello stesso carcere con il “numero di matricola 941”, a diciasette anni, per aver partecipato alla guerra di liberazione nazionale (1943/45) come combattente partigiano del Fronte della Gioventù.
Nel suo testo “Arti e Resistenza” con l’introduzione di Aldo Aniasi, presidente della Federazione Italiana Associazioni Partigiane (MB Publishing, 2005), Emilio suggerisce una definizione della Resistenza, senza retorica, citando il filosofo Dino Formaggio:
“La Resistenza è un atto di vita, una scelta etica ed un rifiuto opposto alla distruzione dell’uomo, infine un’offerta di liberazione che l’uomo offre, a costo anche della propria vita, all’altro uomo. Un atto di questo genere non si commemora né si celebra, si può viverlo insieme, come può insieme essere vissuta l’indicibile essenza dell’uomo”.
Sento molto attuali queste parole in un’epoca di imperante Neoliberismo che ci allontana sempre più dai valori umani, educativi e sociali del teatro e delle arti della comunicazione.
Abbiamo perso un maestro, che nel suo ultimo libro di memorie Quando non c’erano i gossip (Editore Greco & Greco, di prossima pubblicazione), chiuso nelle ultime settimane di vita grazie all’aiuto di sua figlia Barbara, in una piccola nota biografica scrive di se stesso: “ha imparato molto, professionalmente e umanamente, da Norberto Bobbio, Enzo Biagi, Dino Buzzati, Orio Vergani, Edoardo Anton, Primo Levi, Giovanni Testori, Paolo Grassi, Roberto De Monticelli, Enrico Mascilli Migliorini, Cesare Zavattini. E dai mille e mille esseri umani, incontrati nella vita, sulle strade del mondo: donne, uomini, bambini, anche extra comunitari e rom”.
Ci sono tante vie d’accesso all’indicibile essenza di Emilio Pozzi, un lascito ancora tutto da esplorare, a cominciare dalla rilettura di quanto in più di sessanta anni ha scritto o fatto. Ad esempio in pochi sanno che è stato anche autore di due testi di letteratura per ragazzi (L’eroe di un giovedì, 1980 e Cigno bianco e cigno nero, 1982 - entrambi per la Società Editrice Internazionale) o che Vittorio De Sica lo ha invitato a doppiare il protagonista del film Miracolo a Milano del 1951, tratto dal romanzo Totò il buono di Cesare Zavattini, vivendo al contempo una singolare esperienza con i barboni del film.
Ancora un’altra preziosa testimonianza, per non dimenticare un uomo di cultura come Enzo Ferrieri, è la pubblicazione di La radio! La radio? La radio! (Greco & Greco 2002) con un saggio introduttivo di Maria Corti.
Nello scrivere questo ricordo su Emilio mi sono identificato in lui al momento dell’invito di Paolo Grassi per 40 anni di Palcoscenico: “Mi sono trovato come il ragazzo che voleva trasferire con il cucchiaio l’acqua del mare in una piccola buca sulla spiaggia”.
Caro Emilio, ‘dignità’, ‘coraggio’, ‘generosità’, ‘ironia’, sono solo alcune delle caratteristiche che hanno contraddistinto il tuo essere. Con un esercizio di Memoria ti ricorderemo in apertura del Convegno del 16 e 17 ottobre 2010 a Cartoceto, nel tentativo di organizzare un coordinamento nazionale delle esperienze di Teatro e carcere, come a te sarebbe piaciuto, e in compagnia di Claudio Meldolesi e la sua idea di Immaginazione contro emarginazione, diventato anche nostro motto.
Altri contributi saranno pubblicati su www.teatridellediversita.it e su www.teatroaenigma.it
(*) Condirettore della rivista europea “Teatri delle diversità”
Docente di teatro di animazione all’Università di Urbino “Carlo Bo”
Da Tenco alle foibe, dal rock musical a Beverly Hills Una intervista a Paolo Logli, autore teatrale e sceneggiatore di Anna Maria Monteverdi
Paolo Logli a Beverly Hills.
Incontro a Milano al Teatro degli Arcimboldi Paolo Logli, richiestissimo autore di teatro, autore di noir, sceneggiatore televisivo e cinematografico di successo, spezzino di nascita ma romano di adozione. La sua produzione, che comincia alla fine degli anni Ottanta, è assai vasta e attraversa vari generi: tra i suoi script per il grande pubblico: Natale a Beverly Hills, Il commissario Manara, Il bambino della domenica e Don Matteo, e inoltre la recentissima riscrittura a quattro mani con l’inseparabile Alessandro Pondi, della commedia musicale inglese di Carlton (The Return of the Forbidden Planet), che in Italia è diventato il rock musical Il pianeta proibito, ispirato alla Tempesta skakespeariana con Lorella Cuccarini (Miranda) ed esplosiva non solo di musica pop e rock ma anche di citazioni, giochi di parole, parodie e richiami a film d’avventura e di fantascienza; grandi effetti di luci, scenografie e videoproiezioni per un musical che vuole portare a teatro gli spettatori dei talent televisivi: il regista infatti è Luca Tommassini e ha voluto nel cast i ragazzi di X-Factor.
Nell’ambito del teatro d’autore, che è poi il terreno in cui Paolo Logli si trova più a suo agio e che gli ha dato le soddisfazioni e riconoscimenti, è da ricordare Dunque lei ha conosciuto Tenco, monologo vincitore nel 2003 del premio "Per voce sola" patrocinato dall'Eti, rappresentato da Luca Violini e ancora in tournée. Dopo Tenco, altri testi a sfondo musicale: Un fannullone senza talento, dedicato a Giacomo Puccini andato in scena nel 2008, per la regia di Enrico Maria La Manna, con la partecipazione di Katia Ricciarelli; Parlami d'amore Mariù, sempre con Enrico Maria Manna, una fantasia sulle canzoni di Cesare Bixio, un pretesto per rivisitare scene e quadri di un secolo italiano attraverso la canzonetta, e l'autore che più di altri la rese nobile. Da ricordare anche la collaborazione con l’Accademia di Santa Cecilia per l’estate romana per la quale Logli ha scritto quattro testi originali, in forma di monologo, su Haydn, Mendelssohn, e sulla fruizione della musica classica, letti da Gianfranco Jannuzzo, Laura Lattuada, Stefania Casini, Daniela Terreri in un chiostro cinquecentesco, accompagnati da un quartetto d'archi. …Quell’enorme lapide bianca è invece un testo teatrale del 2004, scritto per ricordare la tragedia delle foibe (come dice Logli “in tempi non sospetti, cioè prima che la memoria divenisse segno di schieramento con questo governo”).
Puoi "tracciare" un tuo profilo d'artista? ovvero: la tua formazione, le prime proposte artistiche; quali dei lavori degli inizi ricordi con maggiore piacere e quale ti ha dato la notorietà?
Mi sono formato prima come spettatore e lettore, come credo in fondo sia giusto. Sono stati fondamentali le stagioni teatrali del Teatro Civico, e il Cineforum “Controluce” del Don Bosco, alla Spezia. Nei primi anni dell’Università ho fatto parte di una piccola compagnia amatoriale, “La compagnia delle Briciole” di Lerici. Mettevamo in scena testi di teatro dialettale, per lo più temi goviani riveduti e corretti. Credo che l’inalazione di polvere del palcoscenico che ti inocula il virus per sempre sia avvenuta lì. Ma sono dovuti passare molti anni prima che potessi vedere un mio testo realizzato in teatro e portato in tournée.
Nella mia vita artistica e professionale scrittura e musica hanno sempre avuto un ruolo altrettanto importante. Quindi non credo sia un caso se il primo lavoro teatrale a livello nazionale sia stato Segni d’amore, uno sghembo recital musicale con Ivan Graziani che scrissi e realizzai come regista alla fine degli anni Ottanta. Sempre in quegli anni vinsi il premio Europa Cinema 1990 per la regia del miglior cortometraggio europeo, con un filmato musicale di una decina di minuti (si intitolava Hey Joe ed era una via di mezzo tra un corto e un videoclip interpretato da Sam Moore, Francesco di Giacomo e dal Banco del Mutuo Soccorso). Se ripenso agli inizi, queste due cose sono quelle che mi danno maggiori emozioni, anche se le guardo con tenerezza per le molte ingenuità e velleità. Ma le rifarei...
Quanto alla notorietà, confesso che l’idea di essere “noto” mi fa un po’ sorridere, non mi sento tale. Ma di certo ci sono miei lavori degli ultimi anni che mi hanno fatto notare. In campo televisivo, probabilmente due film: Il bambino della domenica con Beppe Fiorello per la regia di Maurizio Zaccaro e L’uomo che cavalcava nel buio con Terence Hill per la regia di Salvatore Basile. Sono questi due lavori, di cui ho firmato la sceneggiatura assieme ad Alessandro Pondi, da qualche anno mio partner fisso, che hanno attirato l’attenzione su di me, perché hanno avuto grandi numeri in termini di ascolti. Dopo questi, è iniziato un periodo in cui, finalmente, sia io che Alessandro abbiamo cominciato a poterci permettere di scegliere.
I testi per il grande e grandissimo pubblico cinematografico e televisivo ti vengono commissionati direttamente dalla produzione (De Laurentis, Rai) o dai registi?
Solo da qualche anno provo il piacere di essere “chiamato”. Prima, ovviamente, c’era un ostinato lavorìo per imbucarmi, e ogni metodo era valido. Ora in linea di massima le cose vanno nelle due direzioni, ci capita di proporre soggetti come che ci vengano proposti, ma raramente gli interlocutori sono i registi.
Quando scrivi le sceneggiature per il cinema o per le serie tv sai già quali saranno gli interpreti?
Non sempre, ma sto cercando di lavorare il più possibile sul protagonista, privilegiando lavori in cui ci siano le idee chiare in partenza sull’interprete. E’ stato così con Beppe Fiorello, con Terence, e con Gigi Proietti, per il quale io e Alessandro abbiamo scritto un tv movie in via di realizzazione: Il signore della truffa.
Puoi raccontare come hai lavorato per Vacanze a Beverly Hills?
Natale a Beverly Hills è stata un’esperienza bellissima. Non nascondo che prima di cimentarmi con un cinepanettone guardassi il genere con sospetto. Questo anche perché, lo ammetto, non mi ero mai preso la briga di vedere uno di quei film con attenzione per capire. Invece cimentarsi con la farsa pura è stato divertentissimo e anche liberatorio. Il clima sul set è stato splendido, grazie alla grandissima umanità e professionalità di Neri Parenti, che sa creare un gran clima anche con gli altri sceneggiatori: Alessandro Pondi, Alessandro Bencivenni, Domenico Saverni.
Questo ultimo cinepanettone è stato criticato perché un film esplicitamente commerciale ha ricevuto finanziamenti pubblici: quale è la tua riflessione sulle attuali produzioni cinematografiche commerciali che girano in Italia?
La polemica, per quanto possa capirne alcune ragioni, mi è parsa strumentale. Intanto è impreciso dire che il film abbia avuto finanziamenti pubblici, ha goduto del tax credit, che come è noto è uno sgravio fiscale. In secondo luogo credo che la polemica abbia radici altrove, nell’inveterata tendenza da parte di certa cultura, soprattutto di sinistra purtroppo, a guardare con sospetto e snobismo tutto quel che è “popolare”. Plauto, non ho paura a chiamarlo in causa, scriveva gli stessi intrecci e usava gli stessi doppi sensi scollacciati. Non suoni come un modo per difendere De Laurentiis che non ha bisogno del mio aiuto, ma Aurelio investe il suo, e credo sia giusto che venga sostenuto. Ma il problema, ripeto, è altrove. Troppo facile continuare a far film finanziati totalmente, che non incassano, e guardare gli altri dall’alto al basso. Credo che ai cinepanettoni non si perdonino gli incassi, come se i film “intellettuali” dovessero avere le sale piene per diritto divino: non è così.
A proposito di teatro: ci sono artisti con i quali ti senti particolarmente in sintonia sul piano lavorativo e c'è qualche regista o interprete teatrale con cui vorresti lavorare o che vorresti interpretasse/dirigesse qualche tuo testo?
Rispondo senza neppure pensarci: sì, ci sono, ed ho in cantiere di lavorare con loro. Ovviamente Luca Tommassini, con il quale credo ci sarà una seconda impresa comune, Gianfranco Jannuzzo, con il quale comincerò a lavorare a breve, un grande attore ma anche un grande amico, e Gigi Proietti, con il quale si è da poco aperta una cordialissima collaborazione che spero porti lontano.
Come è nata l'idea di Pianeta proibito e come hai lavorato per "tradurre" la corrispondente commedia inglese?
Do a Cesare quel che è di Cesare: l’idea è totalmente di Luca, che ha proposto a me e ad Alessandro di lavorarci. Ovviamente abbiamo accettato subito, e per me personalmente è stato fantastico coniugare William Shakespeare, un grande amore di gioventù mai sopito, e il rock, altro amore che è impossibile dimenticare. Abbiamo lavorato inizialmente sulla traduzione letterale del testo di Bob Carlton, pensavamo di adattarne una buona parte, ma ci siamo resi conto che molti tic, ammicchi, giochi di citazione e di allusione che erano perfetti per il pubblico anglosassone, qui da noi si sarebbero persi. Abbiamo preferito a quel punto riscrivere da capo e non ti nascondo che per me è stato molto ma molto più gratificante.
La tecnologia messa in campo da Tommassini è stata un aiuto o una limitazione?
Senza alcun dubbio un aiuto. Da Luca ho imparato il pragmatismo che lui porta con sé dagli States: ciò che serve per realizzare quel che hai in testa. L’idea ed il risultato sopra ogni cosa. E poi un contesto cosi citazionista, referenziale, pieno di rimandi e allusioni è proprio il mio, io stesso sono così, chiama anche una ridondanza di mezzi visivi. Nel testo abbiamo citato di tutto, esplicitamente o sotterraneamente. Dai Vangeli a Blade Runner, dal Signore degli Anelli a De Andrè… io mi sento a casa, sono io stesso un patchwork di riferimenti diversi!
Pensi che la Cuccarini abbia valorizzato al meglio il testo scritto da te e da Alessandro Pondi?
Lorella è deliziosa. Punto. E’ deliziosa la sua energia, la sua attenzione, la sua puntualità a contribuire a tutto. Ci faceva telefonate rispettosissime: “Che ne dite se questa battuta la dico così?” E’ stata fondamentale, la conoscevo e la stimavo, ma non ci avevo mai lavorato. Ora che ci ho lavorato, la adoro.
Tu sei un autore particolarmente prolifico: come riesci a conciliare tutte queste attività per il teatro e il cinema e per l'editoria?
Me lo chiedo spesso anch’io, e non ho una risposta se non forse che (lo dico senza presunzione) per me scrivere è davvero facile. Non mi è mai capitato di rimanere a fissare il foglio bianco. Mi viene naturale, come ad altri una qualsiasi altra cosa. Mi innamoro delle idee e mi butto. Starei per dire: prima scrivo, poi valuto se ne vale la pena. Ho i cassetti pieni di cose iniziate, cose da limare, idee…
Attualmente, oltre al cinema di cui ti ho parlato, sto finendo di editare il mio primo romanzo, Quis ut deus, un noir - diciamo così - mistico, che uscirà per Ad Est dell’Equatore, e sto lavorando alla pubblicazione di un testo teatrale su Casanova.
Che posso dirti? Non credo di aver passato una giornata della vita senza scrivere. Forse la risposta è questa.
Tu sei molto legato al teatro e la tua scrittura teatrale è spesso ispirata alla musica.
Sì, come dicevo la musica è l’altro grande amore della mia vita. A volte ridendo dico che avrei voluto fare la rock star e poi mi sono rassegnato. Ho scritto moltissimo sulla musica. Molti monologhi teatrali a sfondo musicale – che spero di riunire in un volume, prima o poi, e un romanzo che sto terminando di scrivere Concerto per opossum: un affresco del mondo dei diciottenni innamorati del rock così come lo ricordo io. E’ una storia che ho tenuto nel cuore per anni e che finalmente sto realizzando. Non so ancora dove approderà, non ci ho pensato. So che c’è molto del mio cuore, lì dentro.
Ci sono progetti ancora inediti che vorresti portare in scena o progetti che ritieni che non abbiano avuto la giusta valorizzazione?
Uno su tutti: Lei ha conosciuto Tenco?, un monologo con il quale ho vinto il premio teatrale “Per voce sola” bandito dall’Ente Teatrale Italiano tre-quattro anni fa. L’ho messo in scena in realtà locali, ma credo che meriterebbe un palcoscenico più grande.
Un altro testo che ha riscosso grande clamore mediatico, ma che ancora non ha avuto la collocazione che si merita è …quell’enorme lapide bianca, sul dramma delle foibe. La lapide è un testo che amo molto, perché eretico, non allineato. Sia per il fatto di aver parlato di un tema che la sinistra ufficiale ha a lungo evitato, sia per avere "invaso" un orto in cui la destra si è volentieri pasciuta. Fatto sta, il testo è ininterrottamente rappresentato da Luca Violini da cinque anni, e l'anno scorso ho avuto l'onore - primo autore italiano da due decenni - di essere rappresentato a Montecitorio per i gruppi parlamentari. Ne sortì un lungo dibattito sui giornali, con interventi di Luciano Violante, Fini, Scalfari, e indegnamente anche del sottoscritto, invitato ad esprimersi sul “Riformista”.
E’ stato adottato come testo integrativo in alcune scuole del Friuli, ha ottenuto il patrocinio di tutte le associazioni degli esuli Istriani, Giuliani e Dalmati, e ha scatenato una polemica sui giornali dopo il fantastico e intellettualmente onestissimo commento che ne fece Luciano Violante… ma per ora secondo me non ha ancora spiegato le ali come potrebbe.
Cosa ne pensi del teatro di ricerca italiano? Ci sono delle compagnie o degli autori che prediligi?
Penso sinceramente e senza polemica che esista il teatro, punto. Non amo le etichette e non comprendo la necessità di affiancare un aggettivo, classico, sperimentale, musicale o quant’altro. Penso quindi che esistano belle storie, begli allestimenti, e begli spettacoli. In questi anni ho apprezzato molto alcuni registi con cui ho lavorato, Luca ed Enrico Maria la Manna sopra tutti.
Quali sono i nuovi progetti in cantiere o attualmente in tournée?
In questo momento ho “in giro”, in tournée, tre miei testi realizzati sotto forma di monologo da Quelli che con la Voce, una realtà marchigiana con cui collaboro da tempo, e interpretati da Luca Violini: La lapide bianca, Tenco e un terzo testo messo in scena da poco, Eneide la profezia del pendolo. Forse, ma per ora solo forse, ci sarà la prima di un mio testo al Festival di Tropea: Schegge di vetro di Murano (il testo appunto su Casanova).
Per il cinema, sto scrivendo il nuovo cinepanettone, che sarà ambientato in Sudafrica, un’altra commedia prodotta da Rita Ruzic, e un film musicale per Rai Cinema, tutti a quattro mani con Alessandro Pondi.
Sempre con lui, sto scrivendo per la tv Il cavaliere di Cristallo e la biografia di Trilussa, mentre un terzo TV movie, Il signore della truffa, sta per iniziare la produzione.
Inoltre, insieme ad Alessandro Pondi, Riccardo Irrera e Mauro Graiani ho fondato una factory creativa, che si chiama 9mq (novemetriquadri), e a breve si batterà il primo ciak per il cinema del nostro film “manifesto” che si intitola appunto Novemetriquadri.
E se devo dirti un sogno che mi manca, da realizzare, sono due: una regia teatrale e una cinematografica.
Totodimissioni: Bondi o Nastasi? Il ministro, il suo capo di gabinetto e la "cricca" di Redazione ateatro
Scoperchiando l'appalto per i cosiddetti Nuovi Uffizi (29 milioni di euro), e in particolare la direzione dei lavori di restauro affidata dal MIBAC guidato da Sandro Bondi a tale Riccardo Miccichè (area di competenza: negozi di parrucchiere e piante officinali), da ieri i giornali hanno tirato di nuovo in ballo Salvo Nastasi, riportando le intercettazioni e le conclusioni del Ros.
Il Ros "ritiene che l'affidamento dei lavori degli Uffizi sia gestito in una più ampia cornice di interscambio di favori, con la conseguenza che l'importante direzione dei lavori venga affidata a un tecnico che, da un lato non sembra essere un soggetto di elevata e comprovata responsabilità e dall'altro ha contatti con soggetti iscritti in un contesto di condizionamento mafioso".
Sarà una coincidenza, ma l'attivissimo Nastasi, in quanto pluri-commissario straordinario (la recente gestione del ministero usa il commissariamento con grande facilità) o come capo di gabinetto del ministro, continua immancabilmente a fare capolino nelle varie indagini (protezione civile/Maddalena-G8) che hanno in qualche nodo toccato il MIBAC (Bari, Napoli, Firenze). Nel caso degli Uffizi, il suo ruolo attivo (e intercettato) è consistito nel tranquillizzare rispetto a questa nomina le diverse parti in causa (funzionari o professionisti come Balducci, De Santis, insomma servitori dello stato e professionisti con pelo sullo stomaco certificato).
In queste ore, le difese difese d'ufficio del ministro Bondi, si sono sprecate. Ma cominciano anche a emergere gli attacchi al suo solerte dirigente: non sono opera di www.ateatro.it, ma arrivano direttamente dal cuore del PDL...
Stamattina, per esempio, l'onorevole Stracquadanio del PDL, ospite del caffè di Corradino Mineo su RaiNews 24, ha ricordato (dati ISTAT alla mano) che la corruzione della pubblica amministrazione riguarda per il 90 o 95% la burocrazia e solo in minima parte la politica. Nel caso in questione, ha aggiunto, è evidente che Bondi non può essere a conoscenza di tutto quello che capita nel suo Ministero e che si fidi del capo di gabinetto: è lui l'intercettato, è lui che si fa garante della nomina di Miccichè eccetera. Inoltre, ha spiegato l’onorevole Stracquadanio, il ministro Bondi ha tenuto Nastasi per garantire un minimo di continuità con il periodo Rutelli, il quale era sindaco ai tempi del Giubileo, quando si è formata la "cricca". Insomma, dicono i difensori di Bondi, la colpa forse è di Nastasi, di certo di Rutelli ("non vorrei querele ma vale la penda di indagare"). Bondi non c’entra nulla.
Forse Stracquadanio non ricorda quanto il Ministro si sia battuto per la nomina di Nastasi a vita e dimentica che il giovane funzionario dalla fulminante carriera è arrivato al Ministero ai tempi di Urbani: la sua non è stata dunque di sicuro una nomina in quota centro-sinistra.
A questo punto il povero Salvo Nastasi, stra-intercettato e pluricoinvolto, rischia di fare la fine del capro espiatorio. Per certi aspetti era prevedibile: quando le ascese sono troppo rapide, le cadute rischiano di essere particolarmente rovinose. Ma dando tutta la colpa a lui, si rischia di non cogliere il punto essenziale. La cultura italiana si merita davvero un ministro che avvalla o subisce sistematicamente i tagli delle risorse, che insulta l’intero settore, che commissaria a destra e a manca (di fatto anche il 150° dell'Unità d’Italia), che censura il festival di Cannes, che "salva" la lirica emanando uno dei decreti più contestati della storia recente?
A questo punto, possiamo aprire una nuovo round del totodimissioni. Si dimetterà per primo Salvo Nastasi, beccato più di una volta in situazioni piuttosto imbarazzanti? Ma a questo punto il ministro Bondi non avrebbe il dovere morale e politico di dimettersi? Si parla da tempo della sua sostituzione per decisione del presidente del Consiglio, ma adesso che queste dimissioni sarebbero doverose – visto che Bondi è rsponsabile per lo meno di omesso controllo sulle attività del suo dicastero – rischiano di diventare un caso politico e di aprire una voragine nella compatezza del governo.
Insomma, chi dovrebbe dimettersi? E chi si dimetterà (o verrà dimesso) per primo?
107.3Qualche domanda di sinistra Il Festival Nazionale, il patto stato-regioni, Fus e extra-Fus, le commissioni ministeriali, la legge, gli stabili, la formazione di Redazione ateatro
76.6La lettera aperta al dottor Nastasi Presentata al convegno sulle Buone Pratiche il 6 novembre di Franco D'Ippolito, Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino Franco Quadri Michele Trimarchi
75.6Commissario o drammaturgo? Perché Sabina Negri farebbe meglio a dimettersi dalla Commissione ministeriale di Mimma Gallina
71.81Quale futuro per l'ETI? Una giornata di incontro a Roma di I rappresentanti aziendali del Sindacato Lavoratori Comunicazione e della Funzione Pubblica CGIL dell’ETI
Megaloop! I trent'anni del Tam in mostra a Padova di Anna Maria Monteverdi
E’ il 1980 quando Michele Sambin, Pierangela Allegro e Laurent Dupont - unendo le rispettive professionalità nel campo delle arti performative, della musica e della videoarte sperimentale - danno vita alla compagnia Tam Teatromusica con sede a Padova. Nella mostra che celebra il trentennale della compagnia, Megaloop a cura di Riccardo Cardura, aperta fino all’inizio di giugno, va in scena la memoria, in un allestimento generoso, ricco e curatissimo che rende onore al coerente lavoro artistico, intermediale per eccellenza, del TAM. Attraversando lo spazio, lungo le diverse stanze, vengono letteralmente alla luce i fili del tempo, quasi inseguendo la raffinata traiettoria di immagine-suono che ha contraddistinto il gruppo sin dagli esordi.
In mostra i video degli spettacoli ma anche i progetti, gli oggetti di scena, gli strumenti musicali modificati ad arte, le tracce visive che altro non sono che originali story board a firma del poliedrico Michele Sambin (musicista e artista visivo), simili a partiture musicali e a pregevoli bozzetti di scena in cui prevale il tratto pittorico ad acquarello. Incontriamo Sambin e la Allegro che ci guidano in questo percorso sinestetico dentro la memoria del Tam. La prima stanza ospita il “pre-“, vale a dire l’attività di Sambin tra il 1976 e il 1979, quando all’interno dell’Università Internazionale dell’Arte di Venezia sperimentava opere concettuali con un Videotape AKAI ¼”, memore di Cage, Moholy-Nagy, Norman Mac Laren, Oskar Fischinger. E’ in questi anni che inventa la tecnica del loop applicata sistematicamente a video performance vocali e musicali (da qui anche il titolo della mostra): unendo la bobina di registrazione a quella di lettura, prende vita un anello infinito di immagini video che scorrono e si deteriorano nel tempo, restituendo nel vecchio monitor Sony Trinitron un corpo che si sdoppia all’infinito, che parla con sé stesso. Il video diventa davvero macluhaniamente un’estensione del corpo del performer.
All’interno del sito del Tam ma soprattutto all’interno del volume antologico uscito per l’occasione da Titivillus che raccoglie minuziosamente tutto il percorso degli artisti con molte foto a colori e dvd allegato, è possibile avere una testimonianza di queste pionieristiche prove di videotape d’arte, unanimemente riconosciute come il debutto dell’arte elettronica in Italia (vedi il catalogo di Bruno di Marino, Elettroshock. Trent’anni di video arte in Italia e il catalogo Invideo 2003 dedicato a Michele Sambin).
Nella prima sala, quella della “preistoria” troviamo le tracce di quel fertile periodo degli anni Settanta a Venezia, in cui la sperimentazione artistica aveva creato fecondi intrecci tra le arti, comprendendo la cinepresa prima e poi il videotape, complici alcune storiche Gallerie d’arte come quella del Cavallino di Paolo Cardazzo: in un’opea emblematica come “Playing in 4,8,12” (1977) troviamo il concetto chiave di “monitor come partitura” per un’esecuzione musicale e performativa. Ai quattro lati di una stanza sono collocati altrettanti performer che guardando il monitor “interpretano” lo strumento che viene di volta in volta inquadrato, seguendo ritmi e intervalli ben definitivi ma con una possibilità di margine improvvisativo e di spazio al “caso”. Il video maker (Michele Sambin) fa movimenti in verticale e in orizzontale con la camera e assembla il tutto con un mixaggio in diretta che divide in quattro lo spazio del monitor: “L’idea è che segni visivi e sonori creino una struttura inscindibile e il principio è dare una comunicazione che non distingua aspetti sonori e visivi creando una perfetta orchestrazione”.
Dal video come partitura alla video performance: con “Looking for listening”, commissionato dall’Archivio della Biennale di Venezia ASAC, il video diventa un’estensione delle possibilità creative del corpo. “Il tempo consuma”, l’opera più tautologica e concettuale di Sambin, significativamente apre (e chiude a loop) la mostra: si tratta di un’opera cerniera con cui Sambin consegna al Tam il proprio bagaglio sperimentale di arte che tratta il tempo, lo manipola, lo inverte e lo rende infinito: “Nella necessità di indagare queste molteplici possibilità di espansione espressiva–dice Sambin- indago l’idea di infinito, cioè un processo generato dal performer che il dispositivo moltiplica senza fine, e così facendo rifletto anche sulla caducità della scrittura elettronica e del supporto che la ospita”.
Sambin ricorda così il passaggio dalla video performance al teatro, un passaggio in qualche modo obbligato: "Il mio passare al teatro è dovuto - grazie o purtroppo - alla Transavanguardia di Achille Bonito Oliva. In quegli anni c'era una grande esplosione di performatività. Ho vissuto con gioia gli intrecci delle arti, gli incontri con Laurie Anderson e Marina Abramovic, personaggi che hanno tracciato una linea di non pittura, di non scultura, lontani dal mercato. La Transavanguardia ha spezzato queste utopie degli anni Settanta, che mettevano in crisi il sistema dell'arte (i video non si potevano vendere). Bonito Oliva ha riportato l'arte alla disciplina: pittura e scultura. E soprattutto la restituisce al mercato»
“Armoniche” (1980), creato per Palazzo dei Diamanti di Ferrara (all’interno della Sala Polivalente) diretto all’epoca da Lola Bonora, è il primo lavoro del Tam: segna anche il passaggio di Sambin dalla videoarte alla performance. Una griglia di intervalli musicali definiti da alcuni tracciati disegnati a terra che componevano le figure del quadrato, della retta, delle parallele e della stella, stabiliva le coreografie base dei performer; questi inspiravano ed espiravano attraverso un’armonica a bocca dandosi il tempo; sui loro corpi venivano proiettate inoltre linee geometriche.
“Noi non pensiamo mai a un lavoro di letteratura ma sempre a uno spazio in tempo reale che ospita delle azioni. In “Armoniche” tutto è ricondotto al corpo come punto focale, alla primarietà di un corpo in movimento, a un respiro reso musicale dalle armoniche che i performer usano per amplificare l’inspirazione. Tutto viene poi messo in relazione allo spazio e al tempo dell’azione, arricchito da piccole variazioni compositive ritmiche, liberate dallo schema iniziale”.
Per restituire al meglio il percorso della memoria di un’arte effimera per eccellenza e non riproducibile come il teatro, il Tam ha previsto per alcune serate in occasione della mostra, una sintesi performativa dei lavori con l’interpretazione di alcuni giovani collaboratori della compagnia e l’accompagnamento live della musica di Sambin al sax o al clarinetto basso. Così la mostra (e la memoria) è realmente teatralizzata. La storia di ieri arriva sino ad oggi senza soluzione di continuità. A loop.
Ogni stanza ha un titolo e un tema che la contraddistingue, e ospita una selezione di opere teatrali in video e videoinstallazioni con relativa colonna sonora-visiva, rappresentata dai colorati story board, spesso suggestioni di colori messe in una sequenza da time-line che denotano un’attenzione per una nascita sincronica e sinestetica dell’opera e che, come precisa Sambin, “Servono per immaginare l’opera e comunicarla al performer, sono possibilità di immaginare certe situazioni sulla carta ma non vogliono dettagliarle. I disegni non prevedono mai una scrittura testuale: mi è più vicino il linguaggio dell’immagine”.
Il riferimento agli story board teatrali di Robert Wilson (in particolare quello per Einstein on the Beach e per il più recente Hamlet) è quasi automatico, anche se in Sambin l’elemento musicale da partitura, spartito, sempre visivamente presente, conferisce a questi disegni preparatori un’originalità assoluta; creati ad acquarello in formato 50x35 cm, gli story board hanno la qualità e la dignità di pitture, vere opere d’arte a sé, come del resto lo erano i bozzetti di Caspar Neher per Brecht.
Una delle stanze più affascinanti è senza dubbio “Il corpo come strumento” dove, a partire da Mauricio Kagel e della sua opera “Repertorie”, il Tam inizia un lavoro di rifondazione del linguaggio corporeo. In mostra le forme poliedriche aperte in alluminio che ospitavano le performance del Tam intorno a uno strumento a fiato, imitandone la forma e relazionandosi nello spazio. Approdano così a una reinterpretazione originalissima e concettuale dell’oggetto-strumento, soprattutto il violoncello, in un gioco di similitudini ironico ed erotico insieme che porta a uno sdoppiamento, a una corporeità sonora, a una umanizzazione dello strumento musicale e delle sue forme sinuose che sarebbe piaciuto moltissimo a Nam June Paik, che proprio all’umanizzazione dell’elettronica aveva dedicato la serie di “Tv Bra” con Charlotte Moormann al violoncello che indossava piccoli video come reggiseno. Il gioco di rimandi tra corpo e strumento raggiunge il suo apice con “Perdutamente” ispirato al “Violon d’Ingres” di Man Ray e “Se San Sebastiano sapesse”, spettacolo-manifesto del Tam ispirato all’iconografia del martirio di San Sebastiano, dove a essere trafitto, ma dagli archetti, erano il violoncello e il corpo sensuale che lo replica. “Blasen” è forse l’opera simbolo di questo percorso concettuale, in cui un’affascinante Pierangela Allegro suona il trombone muovendo la coulisse e generando la variazione di luce di un faretto collocato all’estremità dello strumento: avvicinandosi e allontanandosi dal suo volto, la illumina o la tiene in ombra. Impossibile non ricondurre queste esperienze ai contemporanei lavori di Laurie Andersen, in particolare al famoso Tape-bow violin, con una testina da registratore al posto delle corde e un nastro magnetico inciso sull'archetto.
Il percorso continua nel segno di una “drammaturgia sonora” in cui l’ispirazione viene da opere letterarie, cinematografiche e musicali preesistenti. E’ il caso di “Il sogno di Andrej Rublov” ispirato al film di Tarkowski e alla sceneggiatura del regista russo: “Ci siamo ispirati al tema della contrapposizione tra sacro e profano del film”, ricorda Sambin: “dipingere per Dio o dipingere per gli uomini? Dopo aver usato supporti tecnologici siamo tornati a una performance con materiali, con la pittura, con pigmenti di colore, con segni tracciati in tempo reale. Successivamente abbiamo realizzato una videoinstallazione, “Aperto al sogno”, prendendo tutte le tele che erano state realizzate durante la lunga tournée dello spettacolo, mettendole insieme a formare un labirinto da attraversare che finiva a una Sancta Sanctorum dove tre video della dimensione 1:1 proiettavano le immagini dello spettacolo dove quelle tele venivano colorate. Era come vedere il risultato (la tela) e tornare alla sorgente (il momento in cui la tela viene pitturata)”.
In questo caso la dimensione e la forma pensata originariamente per la videoinstallazione riproponeva la forma sacra del trittico.
Con l’allestimento di “Barbablù” (da Béla Bartok), “Ages” (da Bruno Maderna) e “Children’s Corner” (da Debussy), il Tam si misura con una dimensione diversa da quella degli inizi, legata soprattutto alle gallerie d’arte e ai circuiti dell’arte visiva contemporanea: il repertorio del teatro d’opera e del teatro musicale e le commissioni da parte delle grandi istituzioni come la Scala o la stessa Rai Orchestra, il grande pubblico e i grandi palcoscenici danno al gruppo la possibilità di confrontarsi con una tecnologia (audio, video, e luci) adeguata alle proprie esigenze, permettendogli di raffinare e sperimentare tecniche sempre nuove, grazie anche a giovani collaboratori che cominciano a partecipare all’avventura TAM. Studiate spazializzazioni sonore, straordinari progetti luce, grafica video e animazioni d’effetto in scena (come in “Anima Blu” ispirata al mondo pittorico di Chagall) diventano sempre più la cifra dominante della loro estetica teatrale-musicale. La cabina di legno insonorizzata che ospita una cuffia binaurale può permettere al visitatore della mostra di immedesimarsi per qualche momento nell’idea scenica-musicale del Tam, che in Barbablù sperimenta un’elaborata distribuzione del suono (la computer music creata appositamente da Alvise Vidolin), nello spazio per creare effetti drammatici e di tensione.
Impossibile ricordare tutte le opere in mostra e le tracce che vengono affidate allo spettatore: un capitolo a sé meriterebbe per esempio, il lavoro video teatrale in carcere con i detenuti del carcere Due Palazzi, un lavoro immenso che porta il teatro nel territorio del sociale, nell’ambito delle istituzioni totali, un territorio su cui tutti, anche coloro che credono che il carcere non sia un loro problema, dovrebbero riflettere. Se Giacomo Verde firma “Tutto quello che rimane” dal progetto Medit’azioni, toccante videoopera teatrale ispirata agli affreschi della Cappella degli Scrovegni e interpretata dai detenuti, negli anni successivi il Tam realizza laboratori d’arte teatrale che confluiscono in un piccolo capolavoro video ispirato all’Otello di Shakespeare e ai personaggi di Pasolini (Videotello, 2005) realizzato con inquadrature strettissime e primi piani sui detenuti-personaggi che raccontano la storia come fosse una tragedia dei tempi d’oggi il cui sottotesto sono le storie personali drammatiche ma anche fortemente autoironiche dei detenuti.
In contemporanea all’attività di ricerca il Tam attiva a Padova laboratori di teatro-musica: la volontà di confrontarsi con le nuove generazioni e con la versatilità dei mezzi digitali li porta ad allargare la collaborazione con la brava artista video Raffaella Rivi per le animazioni e la postproduzione, e con East Rodeo, un gruppo di allievi musicisti d’area balcanica che diventano l’anima sonora di alcuni tra i più importanti progetti del Tam di questi ultimi anni tra cui “Stupor mundi” allestito in un site specific di grande impatto nel castello Maniace di Siracusa nel 2004 per il Festival di Ortigia. Il pubblico, itinerante per otto stazioni lungo gli spalti, dall’alto delle balaustre vedeva frammenti video ispirati all’iconografia medioevale e a Federico II di Svevia, ritagliati su alte bandiere portate in spalla dai musicisti, oppure videoproiezioni aderenti alle superfici architettoniche, ai pavimenti. Il Tam comincia a usare per questo spettacolo e per “Da solo a molti” la tavoletta grafica come ulteriore contributo visivo, pittorico in tempo reale sulla scena: “La pittura digitale per me è una sorta di conquista che mi consente in tempo reale di lavorare sull’immagine. Tutta la mia formazione di pittore si travasa nel mezzo tecnologico. Tavoletta grafica, Photoshop e videoproiettore sono i miei nuovi strumenti: uso la finestra di Photoshop come boccascena”.
In “Tutto è vivo” (2006-2008) e “DeForma” (2009), dal testo di Beckett “Nohow”, che nasce dall’idea della forma e della possibile deformazione che i nuovi mezzi permettono dal punto di vista sonoro e grafico, i corpi in silhouette dei performer-musicisti vengono tracciati letteralmente da Sambin con la tavoletta grafica e reinventate in diretta, e il segno realizzato - che ricorda molto la modalità usata da William Kentridge per i suoi “drawing for projection” - viene proiettato proprio sopra di loro in scena; ma una volta sgusciato via l’uomo, tutto quello che rimane sono la pittura e la luce nel fondale, in una sorta di rigenerazione infinita della forma. “Deforma” che conduce il percorso della mostra verso la fine, accoglie significativamente in scena le immagini de “Il tempo consuma”. E il cerchio della memoria, come un loop, non si chiude. Ricomincia.
La mostra porta a compimento anche uno straordinario modello di archiviazione artistica del TAM confluito in un libro (Megaloop, a cura di Fernando Marchiori con numerosi contributi di studiosi, edito da Titivillus) e in tre robusti cofanetti di dvd acquistabili che raccolgono non solo le video testimonianze storiche della compagnia ma anche le prove, gli story board, la rassegna stampa, i testi, le partiture, le fotografie. L’archivio diventa quindi, preziosa materia (digitale) per studiosi e ricercatori del teatro contemporaneo e un ottimo modello di mappa concettuale per quelle mediateche che stanno cominciando a raccogliere, organizzare e rendere disponibile la memoria della videoarte.
Ma adesso dobbiamo anche difendere l’Eti? La "macelleria culturale" della manovra 2010 di Oliviero Ponte di Pino e Mimma Gallina
Forse la manovra che si discute in questi giorni non è “macelleria sociale”, ma di certo è “macelleria culturale”. Perché a fare le spese del rigore è stata e sarà prima di tutto la cultura, con la minacciata soppressione dell’Eti (l’unico soggetto di natura culturale presente nell’elenco dei 27 istituti pubblici, principalmente a carattere scientifico e di ricerca, che la manovra intende sopprimere) e con i “definanziamenti” (ovvero l’azzeramento o il drastico taglio dei contributi statali) annunciati a 232 enti, fondazioni e istituti culturali (anche se poi l’allegato con l’elenco dettagliato pare sia stato stralciato: tuttavia la prevista riduzione delle spese per il settore non è cancellata, ma sarà affidata alla valutazione del Ministro dei Beni culturali Sandro Bondi). Di quei tagli indiscriminati si è scandalizzato perfino Francesco Alberoni (al certice del Centro Sperimentale di Cinematografia) sulla prima pagina del “Corriere”.
Noi di ateatro ci battiamo da sempre perché l’investimento nella cultura diventi strategico per lo sviluppo del nostro paese. La seconda sessione delle Buone Pratiche del teatro, a Mira, aveva come parola d’ordine: L’1% del PIL alla cultura. Successivamente abbiamo segnalato con preoccupazione che il tema della cultura era via via scomparso dai programmi dei partiti, quelli di destra ma anche quelli di sinistra. Nella campagna elettorale del 2008, la parola “cultura” era diventata tabù.
Su ateatro abbiamo anche ripetuto fino alla noia che l’investimento in cultura - e nello specifico nel teatro - si poteva giustificare e rilanciare solo uscendo dai meccanismi delle clientele e delle parrocchiette, riformando strategicamente i meccanismi di decisione e di spesa, oltre che i metodi di selezione del personale dirigente. Un po’ ci abbiamo scherzato (con il gioco pettegolo del Totonomine), un po’ abbiamo denunciato gli scandali più evidenti (dalla cricca della commissione ministeriale che spartisce il FUS alle penose pastette di Arcus spa, senza dimenticare gli “ingrandimenti” sull’attivissimo Salvo Nastasi, di recente protagonista delle cronache giudiziarie ma inamovibile). Soprattutto, attraverso ateatro abbiamo cercato di mettere sul piatto proposte concrete: provando a ridefinire il ruolo del teatro pubblico e a rilanciarlo, per esempio, e attraverso il censimento e la diffusione delle Buone Pratiche.
Abbiamo anche sottolineato, più di una volta, la necessità di una riforma dell’Eti, e per riforma intendevamo una riflessione di fondo sulla sua possibile funzione nel sistema e una coerenza fra missione e spesa: l’Ente Teatrale Italiano si è sempre nascosto dietro una foglia di fico - ovvero le briciole destinate al nuovo e alla ricerca attraverso vari progetti speciali, una mancia su un bilancio di oltre 11 milioni di euro - per poi restare di fatto il braccio esecutivo del ministero (dai cui indirizzi dipende) e dei diversi ministri (da cui dipendono le nomine dell'intero consiglio d'amministrazione). Due "riforme" in anni recenti, tutte interne ai governi di centro-destra, non ne hanno modificato il dna: al di là della buona volontà dei singoli (direttori e operatori), l'ETI non si è mai allontanato troppo dall'antica politica clientelare da carrozzone parastatale (e sprecone), gestito per anni in palese conflitto di interessi, tanto da essere per questo commissariato per quasi un decennio.
Oggi - visto che l’Eti non ha fatto in sostanza nulla per riformarsi - diventa molto difficile difenderlo. Di più, pare fatica sprecata: siamo pronti a scommettere che l’Eti finirà proprio tra gli enti “salvati” dal patteggiamento tra il “feroce” Tremonti e il “mite” Bondi (mentre di abolire Arcus spa non parla nessuno). Perché le vere clientele sono le più dure a morire. Perché chiudere l’Eti crea più problemi che tenerlo aperto (se non fosse così, l’ente avrebbe già da tempo dismesso i suoi teatri). Perché magari si deciderà di svuotare il FUS per salvare l’Eti
(anzi, già se ne parla proprio nell'ultimo "Giornale dello Spettacolo": il contributo ETI, che nel 2008 è stato assegnato "extra Fus" tornerebbe nel calderone: come dire, per salvare l'ETI, stringerà la cinghia o salterà qualcun'altro).
E poi l'ETI verrà salvato perché tanto in Italia gli enti inutili non si chiudono mai.
Al di là del destino dell’Eti (e di quello dei suoi dipendenti, l’unico aspetto della questione che ci sta davvero a cuore), quello che inquieta è il “metodo Tremonti”: la cancellazione per decreto, senza alcuna discussione (nemmeno con il ministro responsabile, che si è dichiarato all’oscuro di tutto), di un ente con circa 150 lavoratori che ha segnato, nel bene e nel male, decenni di storia del teatro italiano (e che ancor oggi continua a costituire uno degli assi portanti dei progetti di legge sul teatro per il quale si stanno impegnando da tempo alcuni nostri volonterosi parlamentari di destra e di sinistra, in uno sforzo bipartisan).
Una “macelleria” del genere è possibile solo in un clima di generale imbarbarimento e involgarimento della vita politica e culturale (vedi anche le sparate contro il "culturame" e i lavoratori dello spettacolo dei ministri Brunetta e Bondi, ma anche le provocazioni alla Baricco). Di queste scelte non si discute né in Parlamento né al consiglio dei ministri. Qualcuno decide e basta. E poi, se proprio diventa necessario, si giustificano le scelte, a posteriori.
Il 31 maggio, sempre sul “Corriere della Sera”, Pigi Battista si è nuovamente scagliato contro le sovvenzioni pubbliche alla cultura. Forse sarebbe il caso di riflettere su quello che significa “sostegno pubblico” alla cultura. La cultura è - e deve essere - un patrimonio di tutti i cittadini, e una opportunità offerta a tutti per il bene di tutti. Il fatto che poi siano i cittadini che approfittano di queste opportunità di “consumi culturali” (le biblioteche, i teatri, i musei, gli archivi) siano tanti o pochi è un aspetto secondario: per il bene della collettività, è bene che queste vitamine e quesi anticorpi culturali restino attivi e a disposizione di tutti.
In secondo luogo, per fortuna e da sempre, i veri artisti in generale non hanno con i loro committenti un rapporto necessariamente servile. I creatori non sono dei pubblicitari a libr paga. Anche se il potente di turno ordina all’artista: “Io ti pago per dire questo e per non dire quest’altro” (diciamo per fare la più banale propaganda), il rapporto è sempre un poco più complesso. Michelangelo lavorava per contro del papa, Shakespeare e Molière avevano come committenti e finanziatori la regina Elisabetta e Luigi XIV. Lo stesso Stalin si prendeva la briga di telefonare personalmente a Bulgakov (che censurava). Pensare che gli artisti siano semplici esecutori, agit prop prezzolati dal potente di turno, speechwriters per coizi e battutari per apparizioni televisive, prima ancora che umiliante per gli artisti è una solenne baggianata. Anche se naturalmente opportunismi e piaggerie cortigiane si sprecano e si sprecheranno sempre. Anche se qualcuno cercherà sempre di imporre un’arte ufficiale. In una società democratica, la dialettica tra il potere e gli artisti (teatranti compresi) è ancora più ricca e articolata: lì le mille sfaccettature del corpo sociale e le sue contraddizioni possano trovare espressione, visibilità e oggettivazione.
L’identità collettiva si plasma e si sedimenta grazie a questa dialettica. Applaudire i tagli alla “cultura di stato” e poi lamentarsi che nessuno si preoccupi delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia è una contraddizione sciocca. Oggi i luoghi dove si preserva la memoria collettiva (i teatri lirici o le fondazioni Gramsci, Basso, Sturzo, Feltrinelli, Mondadori, eccetera, i centri studi, gli archivi, il Centro Sperimentale di Cinematografia e di conseguenza la Cineteca Nazionale..., e anche le università) vengono sistematicamente sviliti e affossati. Anche così diventa più facile inventarsi storie revisioniste e mitologie farlocche. Così si cancella la memoria, ma si azzera anche il futuro. (vedi anche l’articolo di Gianfreanco Capitta sul “manifesto” del 30 maggio).
I grandi uomini (anche quelli pessimi nella loro sadica grandezza) hanno sempre avuto l’ambizione di donare qualcosa alla loro comunità e ai posteri: qualcosa da destinare alla collettività, per lasciare imperitura memoria di sé. Una chiesa, una biblioteca, un teatro, un museo...
Il nostro piccolo leader è invece ossessionato dalle proprie ville, e dal mausoleo che – complice Bondi – si è fatto costruire nel giardino di una di queste ville. Agli italiani, al popolo da cui vuole con tanta insistenza farsi amare, non vuol lasciare nulla. Non gli viene in mente di lasciare nulla, malgrado le sue immense ricchezze. E’ per questo che può solo provare a cancellare quello che altri, più generosi e più colti di lui, hanno voluto lasciare agli italiani.
L’Eti su ateatro
108.2 Come cambia l'ETI
L'atto di indirizzo 2007
di Francesco Rutelli - Ministro per i Beni e le Attività Culturali (con le dichiarazioni del direttore Ninni Cutaia)
71.81 Quale futuro per l'ETI?
Una giornata di incontro a Roma
di I rappresentanti aziendali del Sindacato Lavoratori Comunicazione e della Funzione Pubblica CGIL dell’ETI
66.18 Una proposta del sindacato sul futuro dell'ETI
Una riflessione sulle ragioni dell’esistenza di un organismo pubblico nazionale per la promozione del teatro italiano in un contesto europeo
di CGIL Funzione Pubblica
64.33 Le ragioni del radicchio
Ancora sull'ETI
di Silvio Castiglioni, Direttore artistico Santarcangelo dei teatri
63.10 Quali funzioni per l'ETI
Riflessioni sugli interventi di Luciana Libero e Domenico Galdieri
di Paolo Aniello
Presidente Tedarco
62.11 L'ETI oggi: un ente inutile?
da Retroscena: il sistema teatrale italiano nell'era Berlusconi in "Hystrio" 1/2004
di Mimma Gallina
62.12 Who's Who (all'ETI)
da Retroscena: il sistema teatrale italiano nell'era Berlusconi in "Hystrio" 1/2004
di Redazione "Hystrio"/Retroscena
Cascina: la Città del Teatro festeggia i suoi vent'anni con un libro Mentre debutta il Festival Metamorfosi (2-5 giugno) di Anna Maria Monteverdi
Non poteva che cominciare con una nota di Giuliano Scabia il bel libro di Titivillus edizioni che racconta la lunga avventura della Città del Teatro di Cascina, affidato alle amorevoli cure di Renzia D’Incà, collaboratrice storica della Fondazione Sipario Toscana, nonché giornalista e autrice teatrale; la nota di Scabia racconta l’impegno che tutti dovrebbero avere a costruire il Paradiso, che sia un teatro o una piazza non importa: è necessario che “nascano tanti luoghi come il portico di Atene ai tempi di Socrate” e la Città del Teatro di Cascina (come il Centro di Pontedera o Armunia) è, a detta di uno dei maestri del teatro italiano, uno dei “possibili luoghi di passaggio e sosta, di meditazione e levitazione: luoghi dove si entra e si fa qualcosa – non solo si guarda uno spettacolo, ma si abita un po’, ci si spoglia, si balla, si discute”. Le persone che hanno dato vita a questa agorà teatrale e relativo immenso spazio di rappresentazione, il Politeama, riconosciuto dal Ministero come Teatro Stabile d’Innovazione, sono Alessandro Garzella con l’attuale gruppo di progettazione e ricerca artistica: Fabrizio Cassanelli, Emiliana Quilici e Letizia Pardi in seguito affiancati da un ragguardevole numero di collaboratori che si occupano di produzioni, di programmazione, di residenze, di laboratori e di distribuzione spettacoli e che mi piace ricordare con i loro nomi: oltre a Renzia D’Incà, Claudia Zeppi, Ornella Pampana, Antonella Moretti, Mundino Macis, Roberta Ruocco. Donatella Diamanti è stata l’autrice di moltissimi testi rappresentati dalla compagnia mentre nel 2006 entra come collaboratore per la drammaturgia Francesco Niccolini.
Difficile per me, che per lungo periodo quel luogo l’ho “abitato” come dice Scabia, non solo da spettatrice ma anche da artista in residenza e da collaboratrice, essere imparziale. Mi è troppo familiare quella insolita architettura e quella cupola che a me ha sempre ricordato ancora adesso che la vedo in copertina, una gigantesca caffettiera: sicuramente come mi è sempre successo, ancor oggi entrerei dalla parte sbagliata e riuscire a perdermi nei suoi labirintici spazi. Posso dire che l’ho visto letteralmente rinascere dalle fondamenta all’inizio del 2000, sulla base di un’idea di teatro fortemente radicata con il territorio, diventando negli anni successivi un vero modello residenziale teatrale al pari dei cantieri Koreja a Lecce o al Kismet di Bari, come ricorda nel libro Lucio Argano.
L’acqua si diverte a uccidere da Beniamino Joppolo.
La Città del teatro nasce da una passione autentica e da un’occupazione del gruppo fondatore che è ancora lo stesso di tanti anni fa; un’occupazione pacifica, “autorizzata” ma pur sempre coraggiosa. Lo spazio abbandonato e lasciato nel più totale degrado dalla Coop che lo costruì ma poi ci ripensò, una piccola compagnia teatrale (all’epoca si chiamava il Teatro delle pulci) che sogna in grande, un Comune (e un sindaco) nell’entroterra pisano che vede nel progetto culturale di Garzella un investimento concreto per un territorio non particolarmente vivace, non particolarmente ricco di attrattive. Negli anni la compagnia diventa cooperativa e poi Fondazione (Sipario Toscana) e arriva il riconoscimento regionale e nazionale che le dà la possibilità di creare progetti stabili e un Centro studi (diretto da Fabrizio Cassanelli), di gestire produzioni e programmazioni diversificate quanto a cartelloni stagionali.
Renzia D’Incà si focalizza sull’immagine simbolica del messaggio nella bottiglia per raccontare la lunga storia della Città del Teatro nata sulla scorta di una passione maturata intorno a quel teatro degli anni Settanta che faceva capo alle grandi compagnie delle avanguardie internazionali arrivate in Italia e nello specifico in Toscana: da Grotowski al Living Theatre. Il progetto Residenze del 1971 ad opera della Regione Toscana crea le basi per la nascita di un discreto numero di Centri Teatrali. Ha ragione la D’Incà ha elencare le compagnie pisane e della provincia ancora operanti e che sono nate e cresciute in questi decenni sull’onda lunga di quel progetto di residenza, perché forse può dare la dimensione di un fenomeno maturato (non solo ma) anche grazie agli spazi e alle opportunità produttive (e alla passione e alla volontà) di quei famosi centri teatrali nel frattempo consolidati e ingranditi: dai Sacchi di sabbia, al Giallo mare minimal teatro, alla Compagnia della Fortezza alla compagnia (e relativo teatro a Buti) di Dario Marconcini, al Teatrino dei Fondi di Andrea Mancini (a San Miniato), oltre alle compagnie create proprio intorno allo spazio di Pontedera e di Cascina. Se dal 1980 si può già parlare di un “sistema teatrale pisano” è perché si comincia un lavoro di recupero e messa in rete di piccoli teatri grazie al progetto regionale a cui la Città del Teatro partecipa come protagonista. E attualmente con la regione c’è una convenzione triennale che comprende i diversi soggetti del territorio che formano il sistema teatrale toscano insieme con la Città del Teatro: il Metastasio di Prato, teatro Era di Pontedera, Armunia di Castiglioncello, Fabbrica Europa e il Teatro Studio di Scandicci.
Il re è nudo!!!.
Puntuale l’analisi della D’Incà del fenomeno di un teatro che va a radicarsi in un’area quanto meno anomala e poco esposta alle correnti dell’innovazione scenica, trovando nel tempo una sua identità e unicità:
“L’identità artistica dell’attuale Città del Teatro è fondata sul postulato che i metodi produttivi poggiano su due presupposti sostanziali intrecciati tra loro: il laboratorio e la scrittura scenica. Il laboratorio è spazio di ricerca e di ascolto che affianca ogni tematica di produzione coinvolgendo spesso, assieme ai professionisti della scena, anche testimoni portatori di specifiche esperienze o dimensioni di vita, definite in base anagrafica, territoriale o comportamentale. Oltre che uno straordinario strumento di aggregazione, è un cantiere di studio agito, un’antenna percettiva sulle urgenze e i cambiamenti del sentire in relazione agli squilibri civili, un luogo di esplorazione dei rapporti che intercorrono tra artisti e comunità , tra testimoni sociali e creatori”.
La D’Incà ha partecipato anche come operatrice culturale e drammaturga, oltre che come osservatrice critica, al lavoro della compagnia ed è sicuramente la fonte “più attendibile” per ricostruire le tappe più significative di questo specialissimo luogo teatrale.
Ma sono le parole di Garzella e di tutti i collaboratori a ricostruire tessera dopo tessera le ragioni personali e collettive insieme, di una speranza che ha accomunato tanti fondatori di centri teatrali di quegli anni. Così Garzella: “Per quella generazione di artisti che ha combattuto (e in gran parte perso) le battaglie culturali svolte tra il vecchio e il nuovo millennio, l’arte è un atto spirituale di natura politica, un paradosso esistenziale e sociale, una sorta di errore genetico provocato da un provvidenziale corto circuito tra gioia e dolore, realtà e misteri, immaginazione e lavoro”.
La Città del Teatro si è occupata del settore della disabilità e del disagio (con convegni, incontri e laboratori curati da Alessandro Garzella elaborando la metodologia di relazione definita “il gioco del sintomo”),della “valorizzazione sociale dell’infanzia” (come spiega nel suo intervento Fabrizio Cassanelli) e dell’innovazione e della ricerca (con il Festival Metamorfosi). Inoltre si è occupata della formazione professionale sui mestieri del teatro (dalla scrittura alla tecnica alla scenografia).
La convenzione con la Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa (per il corso di laurea in Cinema Musica Teatro e Produzione multimediale) porta annualmente a Cascina un bacino di utenti fortemente motivati che imparano facendo, attraverso seminari di approfondimento, stage immersivi, incontri; tra le iniziative rivolte a un pubblico specialistico va ricordato il laboratorio di pratica teatrale di Alessio Pizzech e il suo progetto di incontri Carro di Tespi e Scenari di regia contemporanea in cui sono intervenuti Enzo Moscato, Ascanio Celestini, Alfonso Santagata, Pippo Del Bono, Emma Dante, Alessandro Benvenuti. Nell’ambito della musica, Fosfeni è il progetto di electronic music e arti digitali a cura di Musicus concentus e Roberta Ruocco.
Ogni anno la Città del Teatro mette in cantiere produzioni teatrali ma anche multimediali e video, alla cui lavorazione partecipano attivamente gli studenti universitari grazie alla collaborazione con la cattedra di Sandra Lischi e grazie anche alla presenza di videomaker come Roberto Faenza, Giacomo Verde e Daniele Segre. Qua sono stati ospitati la Socìetas Raffaello Sanzio, Giorgio Barberio Corsetti, Motus.
E qua ho visto uno di quegli spettacoli di cui si conserva gelosamente la locandina per poterlo raccontare agli amici: il teatro de Los Sentidos di Enrique Vargas in un progetto unico, site specific creato per Cascina, El eco de la sombra.
Teatro ragazzi a Cascina: Chiara Pistoia.
La Città del Teatro raccoglie la bellezza di tre sale teatrali (da 100, 200 e 700 posti), sale prove, spazi conferenze e riesce ad ospitare contemporaneamente numerosi eventi e residenze. Dal 2003 hanno avuto ospitalità Adarte, Teatro sotterraneo, Katzenmacher, Babilonia teatri, Teatro del Montevaso. Anche la mia compagnia XLABFACTORY ha potuto avere una (l’unica a oggi…) residenza teatrale in quel gioiello che è il teatro Rossini di Pontasserchio di cui la Città del teatro cura la programmazione; là in un agosto di non ricordocheanno creammo il progetto cross mediale Fattoria degli Anormali dal testo di Andrea Balzola con Emanuela Villagrossi, mentre con Giacomo Verde mettemmo insieme l’ultima residenza con spettacolo finale di Storie mandaliche (testo di Balzola).
L’elenco delle produzioni è lungo, vogliamo ricordare in ordine sparso quelli a cui la compagnia della Città del teatro sono più legati: Alice per Marisa Fabbri, Bestemmiando preghiere da Pasolini, Fool Lear, L’acqua si diverte a uccidere (da Joppolo) tutti per la regia di Garzella, Diario segreto (Letizia Pardi), Ars amandi (Garzella sul testo di Renzia D’Incà), Nostra pelle (con la regia di Fabrizio Cassanelli e il testo di Niccolini), Crazy Shakespeare (Garzella e Cassanelli), Barber’s shop (regia di Alessio Pizzech). Poi il settore teatro-ragazzi a cui collabora Letizia Pardi, Fabrizio Cassanelli per la regia e Chiara Pistoia e Francesca Pompeo come interpreti. E infine il progetto Scream: sostenere i diritti dei bambini attraverso l’educazione, l’arte e i media di Francesco Niccolini e Fabrizio Cassanelli.
Faccio uscire questo pezzo in occasione del Festival Metamorfosi dove andrò come molti critici teatrali, giornalisti, operatori e semplici spettatori a vedere debutti importanti e progetti originali (Egum Teatro, Massimo Verdastro, Enzo Moscato, Sacchi di sabbia), o dove andrò, come dice Scabia, semplicemente ad “abitarci un po’, a discutere e a ballare”.
Mille auguri Città del Teatro, ci ritroveremo tra vent’anni.
L'autrice di questo testo sul set del video per La fattoria degli anormali con la protagonista Emanuela Villagrossi.
Le reincarnazioni del signor Rossi Paolo e la maga Carolina La prefazione a Paolo Rossi, La commedia è finita. Conversazione delirante con Carolina De La Calle Casanova, elèuthera, Milano, 2010 di Oliviero Ponte di Pino
Nell’arco di questi trent’anni sono stato testimone di numerose incarnazioni – o saranno state reincarnazioni? – di Paolo Rossi. E, sono certo, altre ne vedrò in futuro.
Paolo Rossi è l’ultimo dei comici lanciati dal mitico Derby Club in viale Monte Rosa, dove lo vidi una sera tra gli ultimi Settanta e i primissimi Ottanta (poco dopo lo chiamai a fare uno di suoi pezzi, Libano rosso, in una trasmissione che conducevo su Raitre: glielo feci fare in diretta, perché altrimenti non sarebbe andato in onda). Ma Rossi fu anche l’apripista della nuova leva dei comici dei locali della movida della “Milano da Bere”, facendo ridere in controtendenza. Poi fu il personaggio genio-e-sregolatezza di Comedians, spettacolo-manifesto di quella nuova leva, ma anche l’attore di un altro spettacolo-simbolo come Nemico di classe. Insomma, in quella vita era il “Lenny Bruce dei Navigli”, insuperato portavoce della poetica della sfiga, piccolo, incazzato e interista (nell’epoca felice in cui Evaristo Beccalossi sbagliava diversi rigori nella stessa partita). E naturalmente fu anche profeta: quando vide tra i primi (nel 1982!) il Pianeta Craxon, destinato ad autodistruggersi nell’esplosione di Tangentopoli dieci anni più tardi.
Nel frattempo, in quelle vite o in una vita parallela, è stato il monologhista che s’accorse per primo che la formula rischiava di diventare ripetitiva, e dunque si è reinventato “attore jazz” per intrecciare le sua parole con le musiche di una rock-pop-jazz-folk band. E’ stato “riattivatore” di capolavori, misurandosi con i classici della comicità: l’Opera da tre soldi (tradotta in “due lire” anche per motivi di copyright), e dopo Brecht ecco Molière, Rabelais, Jarry... A leggere questa sfilza di autori, sembra quasi che abbia studiato alle “scuole alte” e non all’istituto per diventare chimico, ma forse, in una precedente incarnazione... E’ stato il primo che in Italia s’è accorto dell’esistenza di un genio eccentrico e caustico come George Tabori e ha portato in scena Jubiläum, un testo dove si ride di Hitler ma anche degli ebrei.
Si è anche manifestato come star televisiva, in una trasmissione rivoluzionaria (per il linguaggio televisivo e per i contenuti) come Su la testa!, fiorita in un tendone da circo alzato a Baggio, un tempo leggendaria periferia sud di balordi e delinquenti (il tendone che ha lanciato Zelig, piazzato a Sesto San Giovanni, un tempo leggendaria periferia nord di operai e immigrati – dal sud –, è figlio di quel tendone). Finita quella stagione, diventato dunque una ex star televisiva che sa fare a meno della televisione, ha usato le tecniche dell’animazione – quelle nate per le scuole e le comunità del disagio, poi utilizzate per allietare le serate nei villaggi turistici – per rianimare un pubblico paralizzato da anni di televisione e recuperarlo alla partecipazione teatrale (rubacchiando qualche suggerimento a Shakespeare, se vi pare poco...).
Finché il guitto, il buffone, il “signor Rossi” non è sceso in campo con uno spettacolo in difesa della Costituzione. E’ stato il comico di successo che ha messo in scena il proprio fallimento in uno degli assoli più veri e belli degli ultimi anni, Sulla strada, ancora. E’ stato l’attore di richiamo che finisce per fare il protagonista – ma con il nome in locandina piccolo piccolo – della Cimice di Majakovskij, nei panni di un ubriacone (un altro? sarà una coincidenza...) che risorge (questa volta il personaggio, non Paolo) dopo essere rimasto a lungo ibernato e getta lo scompiglio in un mondo che vorrebbe essere perfetto. L’attore di nome che fa il protagonista nello spettacolo di una giovane compagnia semi-sconosciuta, Baby Gang, nei panni di un poeta ubriacone – e morto – in D'ora in poi, ispirato a Luci di Bohème di Ramon del Valle-Inclán (con la regia di Carolina de la Calle Casanova).
Ecco, queste sono solo alcune delle reincarnazioni, o se preferite delle morti e resurrezioni, di Paolo in questi anni, alcuni scampoli di una storia teatrale che sembra avere per motto “Solo chi cade può risorgere”.
Una delle sue reincarnazioni più recenti è per me la più magica. Perché Paolo Rossi si è reincarnato in un Maestro. In un Maestro di Teatro. E forse anche in un Maestro di Vita: in base al metodo scientifico, dove si impara “per prove ed errori” (e di errori ce ne sono molti), ma anche per colpi di genio.
E’ una reincarnazione sorprendente, perché quella di Paolo Rossi (che sarebbe anche la mia) è nata come generazione senza padri e senza maestri: li avevano già azzerati tutti, quelli buoni nel ’68 e quelli cattivi nel ‘77... Ci siamo dunque formati da soli, a prescindere da istituzioni e curricula, vagabondi tra le speranze e le rovine, in un orizzonte confuso e feroce ma pieno di energie.
E’ una reincarnazione sorprendente, anche perché uno dei primi gesti teatrali di Paolo – uno di quelli che fanno curriculum – è stato farsi espellere (o abbandonare) la scuola di teatro che frequentava: quando lo racconta fa molto ridere, così viene il sospetto che l’abbiano diplomato a pieni voti e che questo pseudo-fallimento sia un’invenzione.
(Una piccola parentesi: passato qualche tempo, questa generazione i Maestri se li è andati a cercare, se li è trovati, o se li è addirittura inventanti. Così, arrivato a una certa età, Paolo ha deciso che i suoi maestri sono stati soprattutto Dario Fo, con cui ha lavorato agli inizi, e Giorgio Strehler, che ha visto in lui l’Arlecchino del terzo millennio e per questo l’ha allenato. In queste pagine troverete più di una traccia della loro lezione, che non è un metodo, ma una costellazione di segreti che chi guarda in quel cielo può collegare in una costellazione).
Ecco, a un certo punto, come per miracolo – complice la durezza tutta femminile (e andalusa) della maga Carolina de la Calle Casanova – Paolo si è reincarnato in uno straordinario maestro di teatro. Anche se “straordinario” in realtà non lo si potrebbe ancora dire: un maestro non lo si giudica dalle lezioni, ma dai risultati dei suoi allievi, e adesso è ancora troppo presto... E invece no! Lo si può dire, che Paolo è diventato un maestro straordinario, perché è un Maestro molto diverso dagli altri.
In questi anni, lui e Carolina sventolano una bandiera, una piccola utopia, quella del Nuovo Teatro Popolare. E’ una pedagogia rivolta in primo luogo agli attori, ovviamente, ma anche al pubblico: non ci sono trucchi del mestiere da custodire gelosamente, solo piaceri da condividere, sfide da affrontare insieme. Oppure, se esistono segreti del mestiere, non rientrano nella parte esplicita di questa pedagogia: vanno piuttosto rubati – come insegna la lezione fondamentale di questo non-metodo.
Il Nuovo Teatro Popolare di Paolo e Caterina è un teatro d’emergenza. Anche se, a dire il vero, il teatro è sempre d’emergenza, sottoposto alle mutevoli fantasie dei potenti e ai mutevolissimi desideri dei signori spettatori. Ed è diverso ogni sera per i mille imprevisti che dalla vita vera (e dalla platea) tracimano sulla scena: così quella utopia ben temperata, dove tutto sarebbe previsto in anticipo (il testo, lo spazio, i gesti, le intonazioni, gli incroci di sguardi...), si può scombussolare in qualunque momento, obbligando gli attori a scivolare come surfisti sull’onda dell’improvvisazione.
Così anche il “non metodo” del Nuovo Teatro Popolare è pedagogia d’emergenza. Per un mestiere precario. Per un’epoca precaria, per una compagnia precaria (tanto che la pedagogia può contribuire alla sua sussistenza). Per un pubblico precario – al quale bisogna far capire ogni volta che cosa è il teatro (che non è televisione e non è cinema, e nemmeno internet! Il teatro è più vero, necessario e meglio...). E perché il teatro è magico. E perché il teatro li riguarda.
Proprio per le sue caratteristiche di “non metodo”, la pedagogia di Paolo e Carolina (che nel duetto incarna la sponda necessaria, è la voce della ragione, che obbliga Paolo a tessere il filo segreto della sua lezione di teatro e di vita) può essere somministrata in vari modi. Poi sta all’intelligenza, alla costanza e all’astuzia di ogni allievo prendere o rubare quel che gli serve. Del metodo fanno parte anche i seminari e i dibattiti, le lezioni e le conferenze (volendo), e poi le pubbliche dimostrazioni di lavoro, che diventano veri e propri spettacoli, divertenti e coinvolgenti.
Ma c’è anche un altro segreto, che è il seme di questo libro. Uno dei sistemi pedagogici più efficaci, in teatro, sono da sempre le chiacchiere dopo lo spettacolo tra gli interpreti, il regista, i tecnici, e magari qualche altro amico capitato lì apparentemente per caso.
Chiacchiere svagate, in cui si scarica l’adrenalina accumulata durante la recita. Chiacchiere spesso alcoliche, in apparenza divagatorie. A una prima lettura, quello che ci regalano in queste pagine il signor Rossi e la maga Carolina è solo un pezzo della loro vita: un pezzo addirittura un po’ segreto, intimo, pur trattandosi di gente di teatro, abituata a esibire in pubblico anche un po’ di privato. Entriamo a spiare in camerino mente si cambiano dopo gli applausi, origliamo mentre passeggiano verso il ristorante, ascoltiamo la loro conversazione dal tavolo accanto durante la cena...
In realtà questo è un piccolo dialogo teatrale (con qualche comparsa...) in cui due teatranti parlano di teatro. “Teatrale”, “teatranti”, “teatro”, che noia! Ma quella ripetizione in realtà nasconde un’ossessione... E nasconde un trucco che in scena funziona da sempre: usare il teatro per raccontare il teatro. Gli esempi si sprecano. C’è la celebre scena dei comici nell’Amleto di Shakespeare e, geograficamente più vicini a noi, Le due commedie in commedia di Andreini, Il teatro alla moda di Benedetto Marcello, Il teatro comico di Goldoni. E poi I sei personaggi in cerca d’autore e la sfilza delle divagazioni pirandelliane sulla poetica del “teatro nel teatro”, e magari Eduardo quando faceva Sik Sik l’artefice magico o La grande magia...
Da un lato dietro questa ossessione c’è il narcisismo dei teatranti, convinti che tutto quel che capita loro sia interessante. E che, già che ci sono, ne approfittano per regolare qualche conticino con i rivali e le malelingue (che nell’ambiente abbondano da sempre).
Ma c’è un’altra ragione, molto più importante, dietro questa necessità di mettersi in scena. Il teatro – meglio la dimensione teatrale, più o meno nascosta – da sempre fa parte della nostra vita quotidiana. Siamo tutti, insomma, “attori naturali”. Dunque questa “educazione teatrale” non serve solo per farci ridere quella sera delle sciocche invenzioni dei buffoni e delle loro buffe pene. Non serve solo per educare il nostro gusto teatrale (due nobili obiettivi, peraltro). Serve soprattutto, a noi spettatori, per insegnarci qualche meccanismo della nostra vita quotidiana, e magari per regalarci qualche trucco del mestiere.
Ecco, quel che ci raccontano Paolo e Carolina nel loro dialogo notturno, mentre s’avvicinano le luci dell’alba, è una lezione che, se rubiamo i loro segreti, ci può servire nella vita, in quel continuo gioco di maschere in costante mutazione. Perché questo gioco di maschere è, tra le altre cose, anche la politica - come sanno da sempre tutti i leader politici, con i loro exploit retorici, le loro uscite teatrali, i loro tempi ben calibrati.
Ci serve perché ogni società (compresa la nostra) ha il teatro che si merita (compresi Paolo e Carolina, per fortuna) – e spesso il teatro avverte e anticipa il bene e il male dell’evoluzione politica.
Però poi, per fortuna, malgrado questo sovraccarico di responsabilità, il teatro resta teatro. Per il bene di tutti. Resta quel gioco inutile e necessario dove il giovane diventa vecchio e viceversa. Dove l’uomo diventa donna, e viceversa. Per esempio, in questo dialogo il personaggio di Paolo è il vecchio che, dopo averne combinate di tutti i colori, ha raggiunto una sorta di paradossale e provocatoria saggezza. Maturo, cioè mezzo rovinato dalla vita. Esperto, per aver commesso mille errori. Il personaggio di Carolina incarna invece la giovane in parte affascinata – e forse sedotta – da quell’uomo più esperto e famoso. Al tempo stesso, la ragazza si fa forte delle proprie certezze, e della loro logica apparentemente inattaccabile, sempre curiosa e a momenti polemica. E’ graziosa e a tratti seduttiva, anche e soprattutto nella sua polemica irruenza – con quel pizzico inevitabile di petulanza. Un po’ ingenua, convinta di essere innocente, vogliosa di scrivere il libro del destino e del teatro.
Ecco, mi piacerebbe vederlo sulla scena, o al cinema, questo dialogo. Con il signor Rossi che interpreta il personaggio della maga Carolina, e la maga Carolina che interpreta il signor Rossi.
La carica dei 600. Il canone teatrale di Enzo Ferrieri da Enzo Ferrieri, rabdomante della cultura. Teatro, letteratura, cinema e radio a Milano dagli anni Venti agli anni Cinquanta, cur. Anna Modena di Oliviero Ponte di Pino
Invito per un corso di lezioni su «Parole di vita» tenuto da Clemente Rebora (1922-1923), conservato nell’Archivio Enzo Ferrieri presso Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.
Programma della prima rappresentazione (27 novembre 1924) dell’Uragano di Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij, conservato nell’Archivio Enzo Ferrieri presso Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.
Enzo Ferrieri, Novità di teatro, Milano, Garzanti, 1941.
Bozzetto di costume di Pier Luigi Pizzi per La Venexiana di Anonimo del ’500 (1954), conservato nell’Archivio Enzo Ferrieri presso Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.
Lettera di Gio Ponti a Enzo Ferrieri, 25 maggio 1923, conservata nell’Archivio Enzo Ferrieri presso Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.
Fotografia di Enzo Ferrieri fra gli attori della Compagnia del Teatro dopo il III Atto de Gli innamorati di Goldoni, conservata nell’Archivio Enzo Ferrieri presso Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.
Enzo Ferrieri.
Enzo Ferrieri al tavolo di lavoro.
Bozzetto di scena di Santambrogio per Musica di foglie morte di Pier Maria Rosso di San Secondo, [1925], conservato nell’Archivio Enzo Ferrieri presso Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.
Bozzetto di scena di Enzo Convalli per Il male corre di Jacques Audiberti [1956], conservato nell'Archivio Enzo Ferrieri, presso Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.
Costumi di Pier Luigi Pizzi per Il male corre di Jacques Audiberti [1956], conservato nell'Archivio Enzo Ferrieri, presso Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.
Lettera dell’Ente italiano per le audizioni radiofoniche (Eiar) per il conferimento dell’incarico di «Condirettore artistico» a Enzo Ferrieri, 27 luglio 1929.
Questo testo è pubblicato in Enzo Ferrieri, rabdomante della cultura. Teatro, letteratura, cinema e radio a Milano dagli anni Venti agli anni Cinquanta, a cura di Anna Modena, Carte Raccontate, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, 2010.
Nel 1929, quando diventa direttore artistico della neonata EIAR, Enzo Ferrieri ha meno di quarant’anni. Il suo biglietto da visita è l’esperienza milanese del “Convegno”, la “rivista di letteratura e di tutte le arti” il cui primo numero era uscito nel febbraio del 1920. Il progetto del giovane intellettuale milanese e del gruppo raccolto intorno a lui (per primi Carlo Linati e Eugenio Levi, e poi Cesare Angelini, Giovanni Titta Rosa, Ugo Bernasconi, Francesco Pastonchi, Clemente Rebora...) è delineato con sintetica efficacia nella prefazione di un’antologia della rivista, destinata a restare inedita:
presentare la nuova produzione europea, raccogliere testimonianze poetiche, scoprire autori che portavano alla ricostruzione di una nuova cultura e di un nuovo linguaggio. (1)
Queste poche righe non tracciano solo il progetto della rivista e del gruppo: disegnano anche – e forse prima di tutto – l’impegno che Ferrieri porta avanti per mezzo secolo. A caratterizzarlo è, in primo luogo, una decisa apertura internazionale, in contrapposizione alle regressioni provinciali della cultura italiana. In secondo luogo, si tratta di dare valore alla poesia e alla parola: un valore insieme eterno e attuale, perché “le opere veramente classiche” sono tali “appunto perché realizzando l’eterno realizzano anche l’attuale”. (2) Terzo elemento, la curiosità per il nuovo, che tuttavia – anche sulla base di questa consapevolezza – non cede mai alle tentazioni avanguardistiche, e dunque nemmeno di quell’avanguardia italiana ma di respiro internazionale che è il futurismo marinettiano (e filo-fascista), che certamente lo irritava anche per le accensioni retoriche.
Mancava però, nella lucida mission, quello che sarebbe diventato il fulcro dell’impegno culturale di Ferrieri, ovvero il teatro. Che era entrato assai presto nell’orizzonte del “Convegno”, in un progressivo e sistematico allargamento delle attività. Il gruppo infatti aveva subito dimostrato di avere un progetto di respiro più ampio di una semplice rivista, organico e assai ambizioso. Nel marzo del 1921 la casa editrice del gruppo, Il Convegno Editoriale, aveva esordito con un testo teatrale, Il risveglio di primavera, tradotto da Giacomo Prampolini: la tragedia scritta da Frank Wedekind nel 1891, scandalosa per i censori dell’epoca, era arrivata sulla scene tedesche solo quindici anni dopo grazie a Max Reinhardt. Ad affiancare la casa editrice (attiva fino al 1926) era stata aperta una libreria-galleria d’arte, inaugurata nel gennaio 1922 in via Montenapoleone; e poi il circolo ospitato in via Borgonuovo, nello splendido Palazzo Gallarati Scotti, dove nell’ottobre 1923 Ferrieri aveva iniziato a programmare concerti e conferenze: tra gli ospiti Paul Valéry, Stephan Zweig, Rainer Maria Rilke, e il ritroso Italo Svevo. Nel 1926 era nato il Circolo della Cinematografia d’Avanguardia e d’Arte, dove tra l’altro vennero proiettati i capolavori del cinema surrealista.
Nel frattempo l’impegno principale del gruppo era diventato un altro. Nel giugno del 1923 il numero 4-6 del “Convegno” era interamente dedicato al Teatro: le 122 pagine, dove si parla anche di Gordon Craig, Copeau, Reinhardt, ebbero tra l’altro il merito di introdurre in Italia il pensiero di Adolphe Appia, grazie anche a un intervento di Gio Ponti. Nel giro di qualche mese, Il Convegno Editoriale allegava al numero 10 della rivista un fascicolo, La messa in scena e il suo avvenire: era la prima traduzione italiana di un’opera del grande teorico svizzero del teatro. (3)
Il pensiero teatrale di Appia, con la sua tendenza all’essenzialità e all’astrazione, e il rifiuto tanto del realismo quanto del simbolismo (almeno nella sua versione più triviale), ebbe sicuramente un forte impatto sulla poetica teatrale tutta “in levare” di Ferrieri. Fondamentale pure la lezione di Jacques Copeau: fu lo stesso Ferrieri a presentare in quel numero il regista e il suo teatro, il Vieux Colombier, filiazione anch’esso di una rivista-casa editrice, la Nouvelle Revue Française. Copeau affascina Ferrieri per la “disciplina”, per una “moralità, diversa da quella dominante sul teatro” e per il suo “programma di lavoro: probo, costante, continuo”; inoltre “non si è troppo curato dell’elemento ‘messa in scena’, ma à cominciato col considerare unicamente il testo dell’opera, a rievocarne la forza nascosta e originale”. Nell’editoriale-manifesto di quel numero monografico sul Teatro, Ferrieri lanciava la sua impresa successiva: per l’appunto il Piccolo Teatro del Convegno, aperto nell’ottobre del 1924 in corso Magenta.
In quella sala, Ferrieri aveva insomma intrapreso un’altra carriera, quella di regista teatrale, in un paese ancora invischiato nella tradizione del capocomicato e dunque in ritardo rispetto ai canoni della regia moderna. Oltretutto il teatro offriva, per le sue stesse caratteristiche, una modalità per Ferrieri assai interessante di dialogo con la poesia, come espliciterà alcuni anni più tardi.
L’attore si trova, rispetto all’opera, nella stessa posizione in cui si trova il poeta rispetto alla materia greggia, che dev’essere trasformata in poesia. Ma mentre l’autore cava il “nuovo” dal nulla, l’attore lo scopre dall’incontro con la realtà poetica, che l’autore ha inventato. E in questo si avverte l’analogia della funzione dell’attore con quella del critico. (4)
Si tratta “di agire la realtà poetica del testo, di fingerla in atto, con tutti gli espedienti che trasformano il testo in uno spettacolo”. (5) Questo rapporto privilegiato con la parola e con le sue potenzialità poetiche (ovvero con la sua ricchezza di significati, ma anche con quel “punto di resistenza” che ogni testo offre alla lettura) porta Ferrieri a guardare con diffidenza (se non a rifiutare decisamente) agli aspetti e agli effetti più immediatamente “spettacolari” dell’evento teatrale, e agli attori che “fanno troppo”. Sintomatico è il giudizio sulla Commedia dell’Arte: sarebbe frutto soprattutto dalla sete di novità del pubblico e ancor più dell’attore “che si oppone all’odore di biblioteca, di acquario, di cimitero”, ma “poco o nulla conta come realtà poetica”. Anche quando si confronta con Goldoni e con il comico – un tema che l’affascina – Ferrieri lavora per sottrazione, accantonando volutamente la fisicità delle maschere e l’effetto fulminante delle battute, per concentrarsi piuttosto sul comico di carattere.
L’aspetto critico del lavoro teatrale trova la sua sintesi nel regista. Quella di Ferrieri è fin dall’inizio una “regia critica”, che si vuole rigorosa e rispettosa del testo fino all’ascetismo, si confronta la parola dell’autore e la interpreta, alla ricerca di “quel tanto di inedito, di attuale, di vivo che il testo contiene”. Nel delineare le necessità della regia, Ferrieri fissa (e dunque si fissa) limiti assai severi:
Diffidare di quei registi che si servono di un testo come di un trampolino alle loro fantasie, e discorrono di climi, di atmosfere, di ritmi, di valori puri. I valori puri (...) necessariamente conducono soltanto all’astratto, al pittoresco, al decorativo. (6)
Gli eccessi personalistici della regia lo faranno infuriare:
I due momenti dell’arte del teatro, il primo, il momento critico, si fa più avveduto, e il secondo, il momento realizzativo, si fa assai più vario, arzigogolato, bizantino, capillare, arbitrario. (7)
Al di là di queste idiosincrasie, il progetto del Piccolo Teatro del Convegno era in anticipo sui tempi lenti dell’affermazione della regia nel paese dei mattatori. Lo stesso Ferrieri, in un articolo dedicato all’Accademia d’Arte Drammatica (che Silvio D’Amico è riuscito a fondare a Roma nel 1935), ricorderà le mille difficoltà che aveva incontrato nella sua impresa:
Nel 1924 il primo teatro d’arte del Convegno, che fra le sue molte ambizioni comprendeva anche alcuni dei propositi della Regia Accademia, ha dovuto lottare contro ostacoli di ogni genere: nessuna sovvenzione, diffidenza di pubblico, resistenza animosa e allarmante di tutta la critica così detta ufficiale. Di quell’esperimento è rimasto vivo soltanto questo: la voglia di continuarlo, le fondamentali premesse e un repertorio a cui hanno spesso attinto le compagnie regolari, che hanno voluto presentare opere degne di un vero teatro. (8)
Nel frattempo, Ferrieri si stava inventando l’ennesimo mestiere. Lo ratificava l’uscita, proprio nel 1929, del volume Nord Sud. Conversazioni per la radio, che raccoglieva le trascrizioni – meglio, i testi – dei suoi primi interventi radiofonici. All’epoca l’audience della radio era ancora una ristretta élite (nel 1926 gli abbonati erano appena 40.000): dunque un pubblico colto, che però era necessario allargare, anche perché il regime aveva intuito le potenzialità della radio sul fronte della propaganda e della creazione del consenso.
In quel fatidico 1929, Enzo Ferrieri è dunque una figura unica, difficile da etichettare. E’ scrittore e giornalista culturale, in grado di spaziare tra letteratura, arti visive, cinema e naturalmente teatro. Ma è anche regista teatrale, animatore culturale, editore di una rivista e di una casa editrice... Conosce il medium emergente e, visto il successo come autore e in voce, vi si trova a proprio agio: ha saputo portarvi le curiosità, la competenza, la capacità divulgativa e un’affabile e a tratti ironica simpatia; secondo l’amico (e collaboratore del “Convegno”) Giacomo Debenedetti, le sue conversazioni hanno creato “un genere nuovo: sostenuto e amabile, intelligente e agevole, facile senza transazioni”. (9)
Ferrieri è dunque attivo su diversi versanti: quello direttamente creativo e quello critico, e poi la produzione e l’organizzazione culturale, la comunicazione, la gestione di un’impresa editoriale, l’impresariato teatrale. Possiede molteplici competenze e riesce a muoversi al di sopra delle divisioni tra le diverse arti e discipline, e tra le specializzazioni professionali. Non ha certo bisogno della famigerata “gita a Chiasso”, perché ha già intessuto una rete di rapporti internazionali ampia e ramificata, introducendo in Italia Joyce e Kafka. Per non parlare dei contatti e delle relazioni che intrattiene con molti scrittori e artisti italiani che gravitano intorno alle multiformi attività del “Convegno”: tra i suoi corrispondenti, Pirandello, Rebora, Saba, Ungaretti, Montale, Sbarbaro, Svevo, Bacchelli... (10) E’ assai aggiornato e attento al nuovo, ma in costante rapporto con i classici; resta sempre lontano da ogni forma di volgarità e non concede nulla al gusto più “facile”: il suo orizzonte è una cultura alta, che si misura con i grandi temi dell’esistenza. Quello del “Convegno” è un pubblico d’élite, ma si avverte sempre la necessità di ampliarlo, di coinvolgere in questo progetto di rinnovamento culturale fasce più ampie. Al centro del suo impegno c’è la volontà (politica e prima ancora morale) di far conoscere agli altri le opere e gli autori che ama e apprezza, nella fiducia (implicita) che una cultura migliore porti a una società migliore: è questo il nucleo profondo della sua vocazione pedagogica.
Per diversi aspetti, il progetto culturale dell’EIAR, fondata il 15 gennaio 1928 per volontà del Partito Nazionale Fascista per rilanciare la radiofonia, e le competenze di Ferrieri, con la molteplicità di competenze e le reti di conoscenze, sono fatti l’uno per l’altro. Tuttavia i problemi non mancano. Uno dei più complessi riguarda il rapporto con la Società degli Autori, che di fatto blocca per alcuni anni i diritti dei testi contemporanei per la radio. (11) La corrispondenza di quei mesi con Alberto Gasco (12) testimonia dei tentativi per aggirare questa l’ostacolo, oltre che dei complessi rapporti con scrittori italiani dal carattere difficile e dalle raccomandazioni potenti: “Molto meglio i... classici”, sospira il 28 aprile 1930; e il 4 maggio: “Meglio rinunziare alle produzioni moderne ‘protette’ e limitarsi a quelle antiche”. Ma non è l’unico ostacolo da superare. Nel “Promemoria” in cui esplicita le condizioni che pone prima di accettare l’incarico, Ferrieri chiede di “poter disporre di una pur minima compagnia drammatica”: così nell’ottobre 1929 debutta la Compagnia di Prosa di Radio Milano, diretta dallo stesso Ferrieri con Adriana De Cristoforis e Alessandro Ruffini come primattori. (13) Un’altra richiesta riguarda il controllo del progetto: Ferrieri ottiene una direzione centralizzata, da cui dipendano tutte le attività del settore. L’unico nodo destinato a restare irrisolto (e che tuttavia non esploderà mai in maniera drammatica) è il rapporto con il fascismo: un intellettuale come lui, raffinato ed europeista, appare come un corpo estraneo rispetto alla cultura del regime, e infatti in tutta la sua attività cercherà di “uscire dalla clausure fasciste”, conducendo una fronda colta e aperta, pur senza fare opposizione esplicita. (14)
Su queste basi – competenza, curiosità e indipendenza – si fonda il progetto di teatro radiofonico, che può finalmente dispiegarsi.
La sezione commedie era, come si sa, continuamente inceppata dai vincoli opposti dalla Società degli Autori. Risolta la vertenza con la SdA e ottenuto il consenso a trasmettere anche il nostro repertorio italiano moderno, ho già provveduto a costituire un cartellone di circa 70 commedie, la maggior parte in un atto e adatte, per la qualità e la moralità, alla trasmissione radiofonica che costituiranno la base della nostra produzione drammatica. (15)
Fin dagli inizi si delinea un’attività di ampio respiro, anche se in quel fatidico 1929 è difficile prevederne la durata e produttività. Perché alla fine l’impegno di regista radiofonico-teatrale di Ferrieri si rivelerà formidabile, irripetibile: tra il 1930 e il 1959, prima con l’EIAR e dal 1944 con la RAI, firma circa 600 regie di teatro radiofonico, all’impressionante media di una ventina di testi all’anno. I copioni che raccoglie nel corso della sua carriera formano il suo repertorio di regista non solo radiofonico, ma anche teatrale e poi televisivo, perché spesso affronta gli stessi testi passando da un medium all’altro. E’ una sorta di canone, quello che potremmo battezzare il “canone Ferrieri”. (16)
L’archivio dei copioni è un patrimonio di cui lui stesso era giustamente orgoglioso e che attirava l’attenzione dei giornalisti: il ritratto, affettuosamente rispettoso, che gli dedicherà nel 1958 il mensile “Sipario” si intitola appunto Ferrieri e i suoi 600 testi. (17) Come “regista critico”, rimane fedele a una visione dello spettacolo dove “il miracolo è sempre scritto in un testo”; (18) e ritorna, in quella che oggi potremmo definire una “logica intermediale”, agli stessi autori e testi. Rispetto alla labilità della spettacolo teatrale o della diretta radiofonica o televisiva, ciascuno di quei dattiloscritti costituisce, nella sua materialità, nelle annotazioni, nei tagli, una “prova documentale”. Nel loro insieme, quei copioni sono una traccia, il sedimento di una lunga carriera. Alcune decisioni possono essere state determinate dal caso o dalle contingenze, ma poi – nel rigore delle scelte, nella fedeltà al progetto anno dopo anno, regia dopo regia – delineano a posteriori un percorso coerente, nei filoni che segue, nelle inclusioni come nelle esclusioni.
Nel “canone Ferrieri” rientrano pochi e selezionati classici. I tragici greci, Gli uccelli di Aristofane e Plauto, ma anche due dialoghi platonici, Fedone e Morte di Socrate:
Platone dimostra che non è impossibile tradurre delle idee in forma drammatica, non già ponendole in bocca a dei personaggi che si contentino di enunciarle, ma dando loro per interpreti dei personaggi vivi. (19)
In qualità di Dramaturg, curerà egli stesso una Condanna e morte di Socrate che nel marzo 1959 porterà in scena al Teatro del Convegno di Milano per una diretta televisiva. Sono presenti anche numerose rivisitazioni “moderne” di miti antichi: La lunga notte di Medea di Alvaro, e poi la sequenza di Medee, Euridici, Edipi, Adromache, Cassandre, Apolli di Bellac, Anfitrioni 38, Pasifae secondo Anouilh, Gide, Giraudoux e Montherlant; l’unico testo di Brecht del “canone Ferrieri” è la rivisitazione dell’Antigone; miti moderni sono anche l’Amleto di Bacchelli e Don Giovanni involontario di Brancati (che allestisce entrambi anche in teatro). Da un lato si tratta di un filone ampiamente esplorato dalla drammaturgia contemporanea, dall’altro queste rivisitazioni provano a risolvere l’equazione tra “eterno” e “attuale”, così centrale nella poetica di Ferrieri.
Tra i classici del teatro figurano anche Shakespeare (soprattutto tragedie e drammi storici) e moltissimo Molière. E poi, immancabili, Machiavelli con Clizia, Goldoni, Alfieri e l’Adelchi manzoniano, e il Ruzante riscoperto negli anni Cinquanta.
Un altro filone è costituito dai grandi autori del dramma borghese tra fine Ottocento e inizio Novecento: Ibsen e Strindberg, Wilde e Shaw, Hauptmann, e naturalmente tutto Cechov. Anche se non lo allestisce mai in teatro, Cechov è probabilmente l’autore che Ferrieri avverte più affine; traduce Il gabbiano, (20) pubblicato nel 1944 nella Collana Teatro di Rosa e Ballo, diretta da Paolo Grassi; (21) e cura due anni dopo per Il Poligono un volume con Le tre sorelle, Il giardino dei ciliegi e Zio Vania.
Dalla Russia arrivano anche Puškin (Boris Godunov e Il convitato di pietra), molto Gogol’, e poi Ostrovskij (allestisce il suo Uragano come novità per l’Italia nel 1924), oltre a numerose riduzioni dei romanzi di Turgenev e soprattutto Dostoevskij.
Nucleo pulsante del progetto, e centrale nell’attività di regista teatrale di Ferrieri, è prevedibilmente la produzione drammaturgica di alcuni tra i giganti della poesia del Novecento: per primo Eliot, di cui allestisce in teatro nel 1947 e nel 1953 Assassinio nella cattedrale; e nel 1954 Riunione di famiglia; accanto a lui, García Lorca, di cui porta in scena Donna Rosita nubile nel 1951 e Yerma nel 1958. Poi Rafael Alberti e il russo Esenin con Le confessioni di un teppista, ma lasciando fuori il rivoluzionario Majakovskij.
Accanto agli Esuli di Joyce (un altro “testo-manifesto” di Ferrieri, che lo presenta sulla rivista nel 1920, nella traduzione di Carlo Linati, e lo allestisce nel 1930), fanno la loro comparsa anche gli irlandesi Synge, Yeats e Lady Gregory, che in quegli anni molta curiosità suscitano in Italia. Per gli autori di lingua inglese, si avverte la sete di aggiornamento culturale del dopoguerra: accanto a diversi testi di Graham Greene, c’è l’Osborne di Ricorda con rabbia, mentre dall’America arrivano il Premio Nobel Eugene O’Neill e Clifford Odets, e poi Saroyan (di cui allestisce nel 1948 Gente magnifica), lo Steinbeck di Uomini e topi (portato in scena nel 1958) e Tennessee Williams.
Tuttavia, per quanto riguarda l’apertura internazionale sul Novecento, Ferrieri guarda soprattutto verso l’area francese: oltre ai già citati Anouilh, Gide, Giraudoux e Montherlant, compaiono Achard, Audiberty, Cocteau, Crommelyck, Giono, Materlinck (Intermezzo, ma non L’uccellino azzurro), Péguy, Jules Renard, Salacrou,Vildrac, per arrivare fino a Adamov e alla Lezione di Ionesco (però tra i capofila di quello che all’epoca si definiva il “teatro dell’assurdo” manca Beckett). Ma forse tra i francesi predilige un autore oggi quasi dimenticato dai teatranti come il poeta Jules Supervielle, vicino per certi aspetti alla poetica surrealista ma refrattario ai settarismi e ai furori avanguardistici di Bréton e soci. L’interesse per la Francia si porta dietro anche diversi autori del romanticismo e di forte impatto popolare, da de Musset a Daudet, dal Ruy Blas di Hugo a Merimée, fino al Murger della Bohème; e qualche autore da boulevard (Barillet e Grédy, Feydeau, Labiche).
Dall’area di lingua tedesca, gli autori più presenti sono Arthur Schnitzler e Georg Kaiser (di cui negli anni Quaranta si discuteva con passione); poco presente Brecht, come si è visto; assente Wedekind e in generale l’espressionismo più aggressivo, che negli anni Quaranta incuriosiva il germanofono Paolo Grassi.
Molto nutrita è ovviamente la rappresentanza italiana, con un’ampia (e inevitabile) antologia dei drammaturghi attivi in quegli anni; vale forse la pena concentrarsi sugli autori che porta in scena a teatro, a cominciare da Pirandello, che inaugura nel 1924 il Piccolo Teatro del Convegno.
Nel 1931, dopo meno di due anni di lavoro all’EIAR, Ferrieri è già in grado di tracciare un primo bilancio e immaginare sviluppi futuri. Lo fa con uno dei primi (e più importanti) testi teorici dedicati alla radio, La radio, forza creativa, il “manifesto della radio” pubblicato su “Il Convegno” nel giugno 1931. (22) A stenderlo non è certo un funzionario intrappolato nei meccanismi burocratici della grande organizzazione, e nemmeno un artista dominato dal demone della creazione. E’ un intellettuale consapevole del proprio ruolo e del contesto in cui opera, che non si limita ad agire, ma sente la necessità di riflettere sul senso profondo del proprio lavoro. L’obiettivo è quello di tracciare le linee di sviluppo nuovo medium, e infatti al manifesto seguirà un’inchiesta tra gli intellettuali italiani sull’argomento. Ampio spazio viene dedicato al “Teatro per Radio”, in una delle prime riflessioni sull’intermedialità – ovvero il passaggio di un “contenuto” da un medium all’altro: in questo caso dal teatro (o meglio, dalla scrittura per il teatro) alla radio e alla televisione (di cui Ferrieri prefigura lo sviluppo, con più di vent’anni di anticipo). (23)
Il giudizio che per Radio le opere teatrali annoiano è falso.
Già tengono viva dappertutto l’attenzione per le opere del repertorio tradizionale, assai più la terranno le opere del nuovo teatro per Radio, che è tutto da creare. (24)
Si comprende bene come la poetica di Ferrieri abbia trovato nel “teatro per Radio” lo sbocco ideale: perché la radio consente – e quasi impone – di concentrarsi sulla “diversa individualità delle voci”, e dunque sulla parola e sul testo. Punto fermo è il rifiuto degli effetti ed effettacci che prevede anche la regia radiofonica:
Un’interpretazione fin troppo semplice ha fatto ritenere che le commedie da trasmettersi per Radio devono fondarsi il più possibile sui suoni, sui rumori, sui sibili, sui fischi, sui lamenti, ecc. ecc... Tutto questo è... la messa in scena auditiva di... cartapesta pari ad uno scenario di cattivo gusto. (25)
Si tratta piuttosto, spiega Ferrieri, di lavorare “sulla complicità del silenzio, come elemento di paurosa e grandiosa suggestione, e sul ‘senza limiti’ dello scenario”. Su queste basi nei successivi trent’anni Ferrieri esplorerà il vasto repertorio del teatro classico e contemporaneo. Con ferrea coerenza e una instancabile dedizione.
Anche se non mancheranno le facili ironie su quel “teatro per ciechi”: Leonida Repaci, dopo aver assistito a una replica di Ona famiglia di cilapponi(pur lodando la messinscena di “grande rigore stilistico” dello stesso Ferrieri), invita la protagonista Irma Fusi a lasciare
quel convento che è la radio, di dove le voci ci giungono sempre incorporee e remote, tanto da far dubitare che a quelle voci corrisponda per davvero un corpo umano, un corpo, com’è il caso della Fusi, troppo dotato per annientarsi nella clausura (...) Perché non lascia la Fusi la radio per affrontare nuovamente il teatro? (26)
Dalla sua “clausura”, Ferrieri difende con passione il teatro radiofonico. Racconta sulla rivista “Sipario” che nel 1946 “si sono trasmesse dalle diverse stazioni italiane complessivamente 203 commedie in tre atti e innumerevoli commedie in un atto”. La radio, ora che si è diffusa in tutto il paese, permette di raggiungere
la folla anonima dei cittadini che non possono pagarsi il teatro, la folla dei provinciali, che in luogo dei teatri si trova dei cinema, la folla dei paesani, dei montanari, dei poveri in canna, dei reclusi, dei religiosi, dei convittori, del vero giusto sacrosanto popolo che non può varcare le soglie del teatro.
La grande diffusione presso questi “tifosi del teatro” non pregiudica affatto la qualità del repertorio, anzi:
Ci accorgiamo che delle 200 opere attuali esce la lista più aristocratica che nessun teatro abbia mai presentato (...) capolavori di ogni tempo sono stati trasmessi per radio (...) nel campo degli autori moderni i suoi titoli non sono minori. Da vent’anni la radio fa conoscere sovente per la prima volta le scoperte più sorprendenti.
Ma non è solo questione di pubblico e di cartellone. Dalla difesa d’ufficio del suo “teatro dei ciechi”, Ferrieri passa al contrattacco, attaccando il teatro del corpo e della cartapesta, mettendone in discussione necessità ed eticità:
La radio ha sentito e direi patito, assai più del teatro, i più assillanti problemi morali ed artistici, quali si sono riflessi nelle opere drammatiche del nostro tempo. (27)
NOTE
1. Citato in Anna Modena, “La contrada dell’arte”, in Botteghe di editoria tra Montenapoleone e Borgospesso. Libri, arte e cultura a Milano 1920-1940, a cura di Anna Modena, Biblioteca di via Senato-Electa, Milano, 1998, p. 9.
2. Enzo Ferrieri, Novità di teatro, Garzanti, Milano, 1941, p. 7.
3. Estratto da “Il Convegno”, IV, 10, pp. 483-510; Il Convegno Editoriale, Milano, 1923.
4. Novità di teatro, op. cit., pp. 2-3.
5. Ibid., p. 10.
6. Ibid., p. 6.
7. Ibid., p. 10.
8. Ibid., p. 147.
9. Lettera a Enzo Ferrieri, Centro Manoscritti dell’Università di Pavia, Fondo Enzo Ferrieri.
10. Per rendersi conto della rete di rapporti intessuta da Ferrieri in quell’intenso decennio, basta scorrere l’elenco dei suoi corrispondenti nel fondo conservato al Centro Manoscritti dell’Università di Pavia, Fondo Enzo Ferrieri.
11. In Italia, il radiodramma ebbe un parto lento, pur essendo già entrato fin dagli anni Venti nella programmazione delle radio britanniche, francesi e tedesche. Dopo lo sperimentale Venerdì 13, tratto da un racconto di Mario Vugliano trasmesso il 18 gennaio 1927, il primo radiodramma italiano, L’anello di Teodosio di Luigi Chiarelli (uno dei più noti drammaturghi italiani dell’epoca), andò in onda solo il 3 novembre 1929, ben cinque anni dopo l’inizio delle trasmissioni. Nel 1954, la televisione italiana invece iniziò fin dal primo giorno di trasmissioni a programmare “la prosa”.
12. Conservata nel Fondo Ferrieri presso Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori
13. Vedi Enciclopedia della Radio, a cura di Peppino Ortoleva e Barbara Scaramucci, Garzanti, Milano, 2003, s.v. “compagnia di prosa”, “De Cristoforis Adriana”, “Ruffini Sandro”.
14. Sul rapporto di Ferrieri con il regime, vedi anche Paolo Di Stefano, Il Montale censurato, in “Corriere della Sera”, 13 giugno 1996, a proposito di una recensione del poeta (amico di Ferrieri e collaboratore della rivista) che a causa di alcune notazioni critiche nei confronti di Gentile non venne pubblicata. Ma vedi anche il promemoria a Dino Alfieri, in cui Ferrieri critica “tutta la politica del regime nel campo della radiofonia” per la bassa qualità della programmazione (vedi Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione, Marsilio, Venezia 1992, p. 68). Ferrieri sarà vicino al Partito d’Azione e nel 1946 collaborerà a Milano con il “centro patrocinato dall’ANPI e dal Fondo Matteotti, con la partecipazione didattica di Ferrieri (regia), Pandolfi e Strehler (recitazione), Grassi (storia del teatro), Jacobbi e Mario Landi” (Claudio Meldolesi, Fondamenti del teatro italiano. La genera
Una sottile e ironica anti-storia del teatro Una lettera aperta sull'Avaro delle Albe di Andrea Porcheddu
Cara Ermanna, Caro Marco
Sono passate settimane, dal vostro Avaro. E sono ancora qua a girare intorno, con la testa, a quelle immagini, a quelle suggestioni, a quelle parole che partivano da Molière, passavano per Garboli e arrivavano a noi grazie al vostro lavoro.
Come sempre il vostro teatro è, per me, un magma che resta dentro, ribollente, scomodo, affascinante. Qualcosa con cui non smetto di fare i conti, anche solo per una intuizione che mi regala, per una suggestione in più che mi svela – come scriveva Flaiano – la “mia autobiografia”, ossia quello che sono e che penso di essere nel momento in cui mi siedo in platea.
Allora, rileggendo il vostro Avaro, ho trovato una doppia strada, un percorso tra realtà e scena che mi ha portato e ancora adesso mi porta, a guardarmi e attraverso me guardare il teatro del nostro tempo.
Sbrigo subito il primo aspetto.
“Azzerare tutto” diceva Leo de Berardinis in una intervista molti anni fa, ora ripubblicata nel bel libro curato da un altro grande maestro come Claudio Meldolesi. Azzerare tutto per ricominciare, per concentrarsi, per capire dove stiamo andando. Allora io – parlo di me, scusate la digressione così personalistica – sto facendo aspramente i conti con il mio percorso umano e professionale: e ho guardato in faccia le ambizioni e i fallimenti. Un mestiere, quello del critico, sempre sull’orlo del baratro: e trovarsi - passati ampiamente i quaranta - a fare i conti brutalmente con quello che avremmo voluto essere e con ciò che siamo, è molto fatico. Forse rinfrancante, certo: che una dose di sana coscienza dell’inutilità del proprio essere “intellettuali” a fronte di una vita che chiede soldi, successi, praticità, politica, forse aiuta. Ma tant’è: sono “emigrato” al Nord – fuggendo da una Roma sempre più papalina, politichetta, borghesuccia, annoiata – più per ragioni di catastrofi private che non lavorative, ma una volta aperto lo spiraglio di questa feroce autoanalisi, nulla resta fuori. E la critica, quando si fa autocritica, è ancora più aspra. Allora ho azzerato, tutto. Svuotato me di me. Per ricominciare.
Ecco, dunque, che quella scena ordinata, bella, borghese, ma con monitor postmoderno che ci accoglieva in apertura dell’Avaro, è – per me – quella vita là, quella di prima. Poi, piano piano, arrivano i tecnici, e portano via. Azzerare tutto, perché il teatro ricominci. Togliere quegli elementi posticci, quei lughi comuni, togliere quelle suppellettili per pulire lo spazio, per lasciare il vuoto. E non aver paura del vuoto. Del nero, del buio.
Ecco, allora, l’altro elemento. La favola nera, direbbe qualcuno.
Di questo Avaro non mi interessa l’avarizia. Non mi interessa il denaro, il capitale, la storia come si dipana. Certo, c’è tutto Molière, con Ermanna straordinaria a tratteggiare quella specie di mostro.
Ma c’è altro, molto altro. Da un lato mi piace pensare al vostro lavoro come ad una critica serrata ai meccanismi di comunicazione. Al mondo di informazioni, notizie, che ogni giorno ci bombarda. L’arroganza del microfono: ecco cosa è l’Avaro. Qui è il suo potere, quel detenere uno scettro che fa la sua voce più forte. Gli altri - succubi volenterosi, smaniosi ribelli - cercano di entrare in quel microfono, cercano di competere sul territorio in cui lui è signore e maestro. Non sono che un coro di voci pallide, lontane, piccole. La tecnologia è di Arpagone: è lui che possiede i mezzi, gli strumenti del comunicare. È lui – piccolo B. d’antan – che cerca di tenere tutto e tutti sotto controllo. Il suo potere comincia a vacillare nel momento in cui gli altri, sfrontatamente, gli strappano lo scettro amplificato. Fosse così anche nella realtà, sapremmo cosa fare, per far crollare il potere di questo despota che abbiamo al governo…
E qui si svela un altro volo nel contemporaneo del nostro Molière-garboli: l’accumulo capitalista non è più solo di quell’oro caro ad Arpagone, quello non c’è neanche bisogno di vederlo, i capitali sono off-shore ormai. No, qui il denaro è un pretesto, una traccia, una scheggia del potere che si cela, e che invece per mostrarsi usa i mezzi della retorica.
Così scivoliamo, o arriviamo, all’altro tema, quel che più mi preme sottolineare del vostro spettacolo. Vi ho trovato, e non credo fosse una mia fantasia, come scorresse sottotraccia, come un fiume carsico, una sottile e ironica anti-storia del teatro. Affrontando il più dissacratore tra gli autori (molto più, caro Marco, del tuo amato Aristofane), è come se aveste messo in scena un viaggio a ritroso nel tempo e nelle possibilità del teatro. È come se lo spettacolo iniziasse con i “servi” di scena, con quel grado zero di rappresentazione-assenza, che poi si dipana in “maschere” (anche laddove maschere non sono) dei familiari di Arpagone. Maschere da commedia dell’Arte, tipi, caratteri forzati e a tratti isterici: adirittura macchiette nell’umana tragedia.
Poi c’è il grande personaggio, incarnato, reso vivo da Ermanna: personaggio totale, ambiguo, sfuggente, complesso, profondo e articolato. Nero abbiamo detto tutti: nero come lo spettacolo, nero come il testo, ossia oscuro, violento, macabro, cinico. Ma non si salva nessuno in questa commedia, no?
Il gioco scenico amplifica questa prospettiva: ad un certo punto ci troviamo dentro un bell’interno borghese, quasi da dramma primonovecento, con la scenografia ricostruita così, pian piano, con quegli elementi posticci che tornano a comporre il mosaico improbabile di uno spazio fintovero. È qui l’apoteosi del grande attore, del mattatore, del teatro di interpretazione, anche se subito si smonta nella ironia caustica, decostruttiva, dialettica che Ermanna e gli altri mettono nei loro personaggi. Allora il passaggio immediato, per proseguire in metafora, è da Scaramouche, a Stanislavskij a Brecht: in un gioco di raffinate citazioni, di improvvise sterzate, di volute affascinanti che avvolgono l’inconsapevole spettatore.
Ma eccoci al finale: a quel finale che Molière volle dichiaratamente appiccicato, consolatorio, stucchevole, come era già nel Tartuffe.
Assistiamo, sorpresi, all’entrata in campo del regista – più regista che personaggio, dunque! – incarnato da te, Marco. Ed è la conclusione momentanea del viaggio. Il regista dispone, trova una soluzione, si fa drammaturgo e poeta, suggerendo nuovi sviluppi per portare a termine lo spettacolo, altrimenti sospeso in un finale impossibile. E il regista ha il microfono, al pari di Arpagone…
Ci sono tutti: maschere, attori, regista. Tutti necessari, tutti con-presenti, vivi. Bene.
E il pubblico? Allora qui voglio domandarvi, chiedere se quella presenza del regista-autore-personaggio in platea, le luci di sala accese, la consapevolezza che noi – spettatori – fossimo lì con voi, non sia il segnale di una ulteriore possibilità. Quella comunità, affratellata (che bel termine ci ha regalato Pasolini, quando diceva: affratella e inginocchia..) nell’essere teatro, dentro e con il teatro, è forse la via di salvezza, di senso, di libertà del teatro inteso ormai come società, come vita quotidiana e collettiva. Ossia, finiti i giochi, le rappresentazioni, lo scontro per il potere-comunicazione, le soperchierie per il denaro o per il controllo degli altri, finito tutto, sgombrato tutto (ancora una volta, azzerato tutto), cosa ci racconta il teatro? Che questa grande e miserabile partita che giochiamo tutti i giorni - come primattori o comprimari, come maschere o intellettuali più o meno ridicoli – ha valore, senso, solo se fatta assieme, in comunità (parola antica, ormai passata di moda) o in tribù (anche questa una parola antica, ma che invece sta tornando prepotentemente d’uso).
Il teatro, a volte, ci regala il privilegio della comunità o della tribù. E a volte ci salva la vita.
Vi abbraccio
Andrea
Venezia, 26 maggio 2010
Nostalgia. Separazioni e ritorni Il progetto I ritorni a Cagliari di Remo Bodei
Il tema dei "ritorni" ha costituito il filo conduttore di un ciclo di laboratori promosso dal Teatro Stabile della Sardegna, e la suggestione per una riflessione sul teatro e sui suoi strumenti espressivi - dal racconto alla poesia, dalla musica al linguaggio del corpo - grazie all’incontro con docenti di formazione e generazioni diverse. I Ritorni: ovverosia le odissee antiche e moderne, dall’avventura mitica coi suoi ricorrenti motivi – naufragi, perdite, ritrovamenti – alla peripezia del viaggio, che fino ai nostri giorni ha caratterizzato ogni “ritorno a casa”. I ritorni, che di ogni viaggio costituiscono l’approdo necessario, la via nella quale tutte le strade percorse confluiscono, tracciando il sentiero che riporta a sé, alla propria origine, alla propria terra; dove la multiformità delle esperienze vissute si fa ricerca della propria identità, e quindi del proprio futuro.
Domenica 13 e martedì 15 giugno, presso il Teatro Massimo di Cagliari, Il Teatro Stabile della Sardegna, da pochi mesi diretto da Guido De Monticelli, con il patrocinio del Comune e la collaborazione della Regione (assessorato al Turismo, Artigianato e Commercio), presenta i primi esiti pubblici dei laboratori: con tre spettacoli-studio a cura di Franco Graziosi (Mille anni di poesia), Veronica Cruciani (Su ballu 'e is animas) e dello stesso De Monticelli (Storie a mare! Verso l'America).
Martedì interverrà anche Remo Bodei, uno dei massimi filosofi italiani, sardo, che "torna" a Cagliari dalla California dove insegna, riceverà dal Sindaco un simbolico "premio del ritorno" e terrà una conversazione sul tema Nostalgia. Separazioni e ritorni. www.ateatro.it ne anticipa lo schema.
La vita di ciascuno di noi sperimenta continuamente la separazione: dal corpo della madre, dai genitori, dagli amici, dalla propria città. L’esistenza individuale e sociale è un alternarsi di separazioni e ricongiungimenti, di fratture e di saldature, di addii del passato e di scoperte del nuovo. Siamo incessantemente come potati da noi stessi e dagli altri, dalla casa natale e dalla comunità di origine, isolati, levigati o resi aspri dal dolore del distacco (un aspetto che spesso si dimentica quando si pensa ai migranti, avendo in mente il nostro disagio e non il loro). Ci si sforza, per lo più, di abituarsi al distacco e di farsene una ragione, specie quando coincide con una perdita irreparabile Si sopravvive così alle separazioni elaborando diverse strategie, che permettono di svettare nuovamente al di sopra del sentimento luttuoso della perdita.
Un immane cumulo di dolore e di nostalgia si nasconde dietro ogni esilio o emigrazione, dietro gli innumerevoli distacchi dai luoghi e dalle persone che si amano. Vi sono esili e ritorni spaziali, geografici, ma anche temporali. Il mero trascorrere del tempo introduce in ogni individuo una frattura con il passato, crea un vuoto che lo aspira e rischia di farlo rinunciare alla pienezza del presente.
Tuttavia, una volta precipitati nei “flutti del tempo”, che senso ha macerarci per sempre nel melanconico sentimento della perdita, nella paura che tutto ci sfugga e precipiti nel nulla? Più saggio, ma senz’altro più difficile, è convincerci del fatto che, come diceva un filosofo francese, “colui che è stato non può più non esser stato: ormai questo fatto misterioso e profondamente oscuro dell’esser stato è il suo viatico per l’eternità” .
Nella nostra navigazione nel mare senza rotte prefissate dell’esistenza il passato si mostra come patria perduta e la memoria come veicolo per viaggiare a ritroso solo mentalmente. Come tamponare questa emorragia di vita? È pericoloso e autodistruttivo votarsi al lutto, non rielaborare il trauma della perdita di quel che eravamo nelle comunità precedenti che si sono dissolte: della famiglia come la conoscevamo da bambini e da adolescenti, dei compagni di scuola e di università, dei commilitoni, dei colleghi nel posto di lavoro che abbiamo lasciato. Ciò da cui ci si è staccati rimane certo custodito nel ricordo e anima passioni come la nostalgia, la malinconia, e il rimpianto, ma conserva anche la dolcezza, la tenerezza e la memoria di sprazzi di allegria.
Ma come comportarci davanti all’irrealizzabile desiderio di ritornare a quel passato da cui incessantemente ci allontaniamo? Una strategia consiste nel concentrarsi nel presente, nel far valere la saggezza di Goethe contro la nostalgia di ciò che è stato e le vacue speculazioni sul futuro: “Solo il presente è la nostra felicità”. Un’altra - possibile solo nello spazio, dove ci si può muovere in tutte le direzioni, e non nel tempo, la cui freccia si muove nella sola direzione dal passato al futuro - è quella del mirare al ritorno. Soprattutto in chi è vissuto lontano e sogna la sua Itaca, tale nostalgia traccia “una specie di geografia patetica”, al centro della quale si situa “la città natale, quella dove fuma, all’ombra del campanile, il cammino della casa materna”. Ma questa “nostalgia chiusa” è talvolta esposta alla delusione del ritorno, quando si scopre che non è la terra natia, in quanto tale, quella cui si aspira, ma qualcos’altro. La patria geografica si mostra allora come un pretesto, una forma di razionalizzazione di un desiderio inespresso. Esso, anche in relazione al passato, ha infatti a che vedere con l’impossibilità del ritorno: ciò che rende la nostalgia incurabile, è l’irreversibilità del tempo”.
Noi tutti siamo esiliati nello spazio, ma tutti lo siamo nel tempo. Attraverso la traballante passerella del presente transitiamo da un passato relativamente noto verso un futuro ignoto. Abbiamo quindi bisogno sia della memoria, per mantenere la nostra continuità, sia dell’oblio, per non restare attaccati al passato ed aprirci al nuovo. Dobbiamo quindi imparare a vivere, simultaneamente nelle tre dimensioni del tempo: memori del passato, vigili nel presente, proiettati verso il futuro.
Ciao, Ale! Ci ha lasciato Alessandra Giuntoni, studiosa e organizzatrice teatrale, collaboratrice di www.ateatro.it di Anna Maria Monteverdi
Alessandra ci ha lasciato per sempre, dopo una lunga malattia sopportata con coraggio e fermezza, vicino a lei Ettore, la piccola nipotina adorata Arianna e la famiglia tutta.
E’ voluta scomparire il più discretamente possibile. Come uno dei personaggi beckettiani che lei amava. Abbiamo costruito insieme tante di quelle cose che non ho il coraggio di ricordarle. I miei trent’anni li ho passati con lei, a discutere di teatro e arte, andando ai festival, facendo residenze artistiche e scrivendo su ateatro. Organizzando manifestazioni in cui lei era la mente e io solo il braccio esecutivo. Lavorò per un breve periodo come organizzatrice con me, Andrea Balzola, Giacomo Verde e Mauro Lupone all’epoca della residenza di Castiglioncello per Storie mandaliche.
Ragazza vivace, allegra, bellissima e piena di talento era una fucina di idee. I miei ricordi teatrali più forti sono insieme a lei: l’Amleto di Brook a Venezia, gli spettacoli delle Albe, quelli dei Motus, il Bread and Puppet, Ariane Mnouchkine, il Big Art Group, il Living, Armando Punzo che lei adorava più di ogni altra cosa e su cui scrisse un bell’articolo su I pescecani.
Raffinata esperta di Beckett aveva avuto delle intuizioni straordinarie collegandolo alla filosofia di Heidegger nei suoi studi mai pubblicati e rimasti in forma di tesi.
Parlavamo di teatro sempre, quando andavamo in palestra o mentre facevamo la coda al CUP di qualche ASL, in vacanza in Sardegna o sugli scogli della Palmaria a immaginarci quel Festival che mai siamo riuscite a organizzare proprio sull’isola che amavamo così tanto.
Alessandra aveva studiato con Magdalena Pietruska e Ingemar Lindh dell’Institutet for Scenkost; la sua predilezione nasceva da una frequentazione vera, da una condivisione del metodo e da un’ammirazione sincera per il gruppo. Ricambiata.
Quando decise di invitarli in Italia, alla Spezia, dopo la morte di Ingemar per diversi mesi giorno e notte ci mettemmo a studiare il luogo, gli spazi, come invitare tutti, ma proprio tutti, perché tutti dovevano conoscerli, conoscere il metodo mimico di Ingemar e Magdalena; fu un momento di grazia e di bellezza. Mi regalò Pietre di guado di Ingemar, era il suo libro da “comodino” mentre il mio era (ed è) La vita del teatro di Julian Beck. Alessandra li intervistò con una tale profondità che quell’intervista è entrata negli annali della compagnia svedese. E quel pomeriggio assolato una anonima città di Provincia divenne il luogo più ricercato del teatro, tutti accorsero lì perché Alessandra sapeva fare il suo mestiere. Invitammo poi Andrea Cosentino, Judith Malina, Roberta Biagiarelli e poi a Livorno i Sacchi di Sabbia. E un 25 aprile si mise in testa di portare a tutti i costi Bebo Storti, Mai morti occupando militarmente il Teatro della città anonima; era convinta che di fronte ai detrattori della Resistenza bisognasse opporsi con la cultura e l’arte: lavorò instancabilmente con le scuole e con i sindacati, grazie all’aiuto di una donna di ferro, Maria Giovanna Nevoli e della compagnia di teatro ragazzi di cui era promotrice da sempre, il Reatto. Fu ovviamente tutto esaurito, e fu unicamente merito suo. “Cambiare si può, vedi?” Mi diceva. Poi non è cambiato niente, e forse non cambierà niente. Ma lei sarà quella che ci ha provato, profondamente e intensamente. Associo lei agli anni più belli della mia vita, quelli spensierati, quelli della gioia di andare a teatro e anche di incazzarsi andando a teatro.
Anima bella, perché è toccato a te, così giovane. Morire di una malattia che nell’Occidente civilizzato, non nel terzo mondo, non dovrebbe più uccidere alcuno.
Te ne sei andata, il più discretamente possibile. Ti ricorderemo per sempre.
Le passioni del corpo e i sensi interni La Biennale Danza 2010 di Fernando Marchiori
Risvegliare una “passione corporale”, provocare emozioni fisiche collegando i “sensi interni” della memoria e dell’immaginazione ai “sensi esterni” della vista e dell’udito. Capturing emotions, settimo Festival Internazionale di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia, il quinto con la direzione di Ismael Ivo, ha proseguito una esplorazione affascinante della danza come “sentimento contagioso”, confermando le due grandi direttrici di interrogazione e sperimentazione già ben delineate nelle precedenti edizioni curate dal coreografo brasiliano. Da una parte l’idea della danza come fenomeno non isolato dal mondo esterno, rispetto al quale è chiamata invece ogni volta a cercare corrispondenza e necessità. Dall’altra la visione della coreografia come pratica di comunicazione che costituisce “un momento di unità all’interno del teatro”.
Tristi Tropici della Compagnia Virgilio Sieni è uno dei migliori esempi della possibile convergenza di tali direttrici. Un debutto atteso, quello di Sieni, che ha fatto il tutto esaurito al Teatro Piccolo Arsenale nelle due serate d’avvio di un importante tour europeo (Napoli, Lione, Belgrado, Berlino). Come a ricordarci l’insanabile lontananza di un’alterità perduta due volte (perduto il “selvaggio”, perduto lo sguardo su di lui), dopo il primo sipario colorato bisogna strapparne un secondo, bianco filtro alla quadratura lattiginosa dello spazio scenico, per inoltrarsi nell’esperienza di una visione dell’incontro mancato. Un incontro sfumato nei colori opalescenti, aranciati, verdastri in cui i corpi quasi scompaiono. Disturbato dai clangori (ronzii ossessivi, insetti, elicotteri) che screziano il paesaggio musicale ipnotico, vera scenografia emotiva, di Francesco Giomi. Sottratto alla visione dal tulle che riduce a ombra, dal controluce che disegna le silhouette.
In scena due danzatrici (Simona Bertozzi e Ramona Caia) disarticolano i loro corpi moltiplicandone tensioni e disequilibri. Microrganismi in continua trasformazione, le loro membra sembrano staccarsi e impastarsi in corporeità inventate a scatti, a strappi. Posture animali, movenze sulle mani, sugli avambracci, su un ginocchio. Archi improvvisi che avanzano come scorpioni. Oppure sono giochi, scherzi di natura, movimenti involontari nel sonno tropicale, accelerati. Corpi strattonati, portati inerziali di movimenti nati da impulsi che sembrano esterni ai corpi e li aggrovigliano, ne sezionano i gesti, ne fissano il bacino o le cosce mentre agitano scompostamente il resto.
Nel bel saggio che accompagna il volumetto dedicato allo spettacolo, Vito De Bernardi paragona la danza contemporanea alla pratica del bricolage, a sua volta utilizzata da Claude Lévi-Strauss per spiegare la natura del mito. Come nel laboratorio del bricoleur, il mito ricicla briciole di altri miti, le riassembla creando qualcosa d’altro, aggiungendo qualcosa di sé a ciò che conserva vita e significato residui. Così è anche il danzatore contemporaneo, capace di ri-usare i resti del patrimonio del balletto classico e moderno per articolare i segni di un nuovo linguaggio, svincolato dai codici tradizionali e capace di richiamare il gesto dell’origine.
Ma c’è anche, fortissima, l’impressione di una cesura consumata, in Sieni con profonda consapevolezza, nei confronti dei codici espressivi di quella tradizione e della evoluzione secolare dell’arte coreografica. “Addio selvaggi, addio viaggi”, concludeva amaramente Lévi-Strauss il suo struggente saggio, decretando la scomparsa di un mondo e nel contempo fondando un’altra prospettiva antropologica che da allora si nutre della lontananza, della nostalgia, della compromissione dello stesso sguardo dello studioso. “Addio danza”, sembra dire ancora una volta Sieni, riaffermando nel contempo, caparbiamente, la possibilità del gesto che indichi, del corpo che esprima. Che indichi ciò che si allontana. Che esprima quello che resta. “Un corpo che agisce attraverso un desiderio di gioia. Un corpo dove la gioia è esperibile attraverso la danza. Un corpo attraverso cui nutrire ancora un barlume di speranza verso la bellezza”, scrive Sieni. Un corpo che ha qui anche le vibrazioni Michela Minguzzi e le delicate esitazioni di una danzatrice settantaduenne (Elsa De Fanti), di una ragazza non vedente (Dorina Meta), di due bambine. A gruppi o tutte insieme avanzano lentamente portando sul collo degli animali, si siedono, ci guardano. Tornano a scomparire con il loro mondo in un tramonto che assorbe anche il nostro sguardo, il nostro mondo.
Un curioso leone d’oro
«Siate curiosi, ricordatevi di esserlo. E non abbiate timore di ammettere che non sapete delle cose. Siete fortunati a non sapere». In questi consigli ai giovani danzatori che una ragazza riesce a strappargli alla fine della conferenza stampa, c’è tutta la personalità, artistica e umana, di William Forsythe, il ballerino e coreografo statunitense che ha ricevuto a Venezia il Leone d’oro alla carriera. Nato a New York nel 1949, formatosi in America ma divenuto coreografo di fama in Germania, Forsythe curioso lo è sempre stato, uno sperimentatore a oltranza che ha lavorato dal di dentro il balletto classico decostruendone il linguaggio e ricomponendolo su linee di movimento originate da punti inattesi del corpo, la nuca, un tallone o un gomito. Cambiando così anche il nostro sguardo sulla danza classica. Un pragmatico innovatore, un «risolutore di problemi», convinto che «non ci sono regole» e che il vero successo non sia la recensione esaltante ma l’approvazione di chi lavora alla performance, dai danzatori ai tecnici.
Le opere realizzate con il Frankfurt Ballet – da Artifact (1984) a Alie/n a(c)tion (1992), da Impressing the Czar (1988) a Quintett (1993), a One flat thing reproducing (2000) – sono oggi rimontate dalle grandi compagnie internazionali. Ma la Forsythe Company, nata nel 2005, è ancora capace di sorprendere e sconcertare il pubblico. Al centro è sempre l’autonomia del danzatore, il rispetto del suo «fare» dentro una coreografia rigorosa che nasce spesso dal lavoro collettivo. Erede di Balanchine e lontano dal teatrodanza di Pina Bausch, Forsythe è uno dei grandi creatori dell’arte del movimento, portatore di un pensiero coreografico in continua evoluzione, nomade e strutturalista, oggi materializzato anche nei suoi «choreographic objects» presenti in molti musei (uno era esposto proprio alla Biennale Arte dello scorso anno). Oggetti che dimostrano come anche le “cose” possono essere animate in senso coreografico dallo sguardo di chi le guarda.
Ma ai suoi danzatori Forsythe ricorda che il soggetto è il lavoro, non la coreografia. Un lavoro comune, concreto, inquieto. Una continua esplorazione che dal corpo si può espandere allo spazio, alla voce, ai processi percettivi. Tra le richieste più recenti rivolte ai performer della sua compagnia, per esempio, c’è quella di memorizzare l’appartamento in cui vivono, ma di farlo bendati, obbligandoli a misurarsi con schemi mentali che non corrispondono alla “realtà”. Come se dovessero provare uno stile coordinativo, creando nella memoria un altro spazio che diventerà movimento.
I 19 minuti di N. N. N. N. presentati in occasione della consegna del Leone d’Oro sono un perfetto esempio, ironico e calibratissimo, delle possibilità esplorative che il «dispositivo Forsythe» consegna alle nuove generazioni.
Pedagogia
In questo senso è prezioso anche il Leone d’argento, il nuovo riconoscimento per le giovani realtà della ricerca, assegnato quest’anno a un centro di innovazione pedagogica come il PARTS (Performing Arts Research and Training Studios) di Bruxelles diretto da Anne Teresa de Keersmacker. L’attenzione alla formazione e alla creazione di opportunità per i giovani danzatori è del resto il cuore dell’Arsenale della Danza, un percorso di ricerca e scambio che, sotto la direzione di Ismael Ivo e con la presenza di maestri internazionali, ha rivitalizzato la Biennale.
Per quanto Oxigen, su coreografia dello stesso Ivo in apertura del festival, abbia mostrato i limiti di un’operazione che cercava visibilità per tutti i 22 allievi, la bontà del processo formativo è fuori discussione. L’Arsenale della Danza è un’esperienza eccezionale nel panorama italiano, che merita continuità e risorse.
Tra le molte novità presentate al festival veneziano, si segnala la prima europea di Le nombre d’or della compagnia di Marie Chouinard, un ambizioso lavoro con performer provenienti “da un futuro amichevole”, che sembrano muoversi tra animalità e commedia dell’arte. Corpi e capelli imbiancati, nudità inermi, visioni mediate da monitor verticali, mascheroni con volti di anziani (e in una scena anche di un inquietante Berlusconi serializzato). La danzatrice québécoise ha portato alla Fenice anche il suo intenso assolo Gloire du matin, che l’ha vista tornare in scena dopo vent’anni. Québéc e Canada da una parte (Chouinard, Daniel Léveillé, Les Grands Ballets de Montréal, José Navas, Wen Wei, Kidd Pivot), Canada e Australia dall’altra (Sidney Dance Comany, Ros Warby, Chunk Move, Lemi Ponifasio) sono state le altre presenze forti di questa edizione. Ma applauditissimo anche il ritorno in Laguna di Bill T. Jones con la sua compagnia multietnica e politicamente scorretta per uno spettacolo appositamente creato per le Tese dell’Arsenale, Another evening: Venice.
Re Ubu e i suoi Scarti Il capolavoro di Alfred Jarry nella messinscena di Enrico Casale di Anna Maria Monteverdi
L’Ubu Rex con la regia di Enrico Casale ha inaugurato con successo pochi mesi fa alla Spezia (con repliche aggiunte a grande richiesta nello spazio Dialma Ruggiero), in tournée grazie al meritato successo e al passaparola di coloro che l’hanno apprezzato a cui vogliamo aggiungerci.
Ci auguriamo sinceramente che qualche festival di ricerca voglia seguire e accogliere questo spettacolo di una compagnia giovane e brillante, che da alcuni anni dopo un’intensa autoformazione (portando nei propri laboratori registi e attori di rilievo come Massimiliano Civica e Cathy Marchand del Living Theatre) si sta imponendo all’attenzione di un pubblico ormai decisamente non più locale.
Riguardo a Ubu Rex, una locandina inquietante, beckettiana, ha circolato in città nelle settimane prima del debutto: una sedia vuota molto piccola, bianca su fondo nero pece e una scritta rossa. Qualcuno se ne è andato o è stato spodestato. Qualcuno c’era e non è più. Lo stato sociale, la libertà. L’ideologia, la regola. La Costituzione. E forse anche la parola, il dissenso, persino il mugugno è scomparso dalla faccia della terra. Domina un dominus, ripugnante ma ai più, tale non sembra.
In scena campeggia un riquadro nero su fondo bianco ripetuto a terra: richiamo non casuale alla prima opera, Quadrato nero del suprematista russo Malevic realizzato a cavallo della Rivoluzione del 1917, che lui voleva fosse, in un’arte votata alla non rappresentazione “l'embrione di tutte le possibilità che nel loro sviluppo acquistano una forza sorprendente”.
Nell’Ubu Rex degli Scarti in una scena nera si agitano ombre d’uomini e donne con tute nere aderenti che fanno risaltare i corpi nelle loro sgangherate azioni singole o a gruppi, sopra sedie e tavoli simulacri poveri di scranni e regge, nei gesti riprovevoli, nella loro nefandezza di comportamento.
Ubu (interpretato con grande intensità da Alessandro Cecchinelli), creatura infernale, ingorda di potere, come si sa è la maschera creata dal dissacrante e pungente pre-surrealista (o proto-dadaista come lo definisce lo storico Henri Béhar) Alfred Jarry.
Re Ubu, che si manifesta nella più classica delle sue maschere, è affiancato da una terrifica Madre Ubu (Maria Stella di Biase) un po’ vedova nera, un po’ mostruoso e disarticolato essere delle profondità.
Nei costumi e nelle contorsioni degli attori e nelle luci che accentuano all'estremo i tratti fisici dei personaggi deformati ad arte, troviamo colte citazioni dei bozzetti di Grosz per Brecht nel clima della Neue Sachlichkeit della Repubblica di Weimar. Gli attori di questa angosciante commedia nera hanno evidentemente per molti mesi scavato con perizia da archeologo dentro il proprio personaggio tirandone fuori non la caricatura e non lo stereotipo ma l’essenza. Il tema, di tremenda attualità, è il vero cancro della società: la mancanza di volontà da parte degli uomini di affrancarsi sia dal male che dal potere intesi come una diade indissolubile. Tutti sono ridotti a essere non più uomini ma schiavi volontari. E’ il triste fallimento dell’uomo condannato alla perenne prevaricazione.
Lo spettacolo ricorda nelle intenzioni non nascoste di attualizzare il testo, uno dei più politici Ubu della storia del teatro, quello di William Kentridge: nel suo Ubu Tells the Truth si palesava una dura critica sociale al governo sudafricano prima delle elezioni democratiche del 1994 in Sudafrica e prima della fondazione dell’African National Congress da parte di Nelson Mandela,
L’umanità è alla deriva perché tale vuole essere, Ubu imperversa sadico sugli umani che lo hanno votato e acclamato democraticamente. L’assunto base, il sardonico messaggio, cioè, che ogni stato ha il suo Ubu, non fa che farci riflettere su quello che è toccato a noi, qui e ora in Italia.
Ubu Rex per gli Scarti è una condanna senza appello alla falsa integrità morale, alla corruzione conclamata ma non perseguitata, alle ingiustizie legittimate e ai compromessi tollerati.
Tra parate militari e affermazioni di ingiustizia da declamare al popolo come perle di saggezza, Ubu Re e Madre Ubu ingoiano in un sol boccone le anime e i territori, perché tutto è oggetto di conquista. Gli uomini sono solo carne da macello e bolo alimentare, e sono troppi, sono tantissimi, meglio invitarli al sacrificio per una ingiusta causa, farli triturare in guerra o lasciarli in pasto agli avvoltoi di turno, Stato o Chiesa.
Nel collettivo degli Scarti c’è Enrico Casale (aka Papà Ubu, anche su Facebook) a tenere le fila di tutto, autore della ben riuscita amalgama tra personaggi veri e inventati del testo tra cui spicca uno stralunato Capitano Bordure ben interpretato da una delle anime della compagnia, Davide Faggiani, anche autore e drammaturgo del collettivo.
La bravura degli Scarti sta sia nell’aver offerto un affresco pittorico inquietante, di grandissima forza e insieme visionarietà, come fosse un tableau vivant medioevale, da Trionfo della morte, o come un quadro di Goya o Ensor, sia nel restituire la desolazione di un’umanità per nulla eroica, dedita solo all’obbedienza e al regime della mediocrità. Nel suicidio assistito del libero arbitrio e della libertà di espressione l’umanità muore in silenzio, davanti alla TV, senza boati, senza disturbare la cena di Padre UBU. Il mondo è allo sfascio e forse vale la pena raccogliere l’urlo di Peter Schuman del Bread and Puppet:
Il nostro urlo è per l'insurrezione culturale. Insurrezione contro il modo di vita presente, contro le nostre abitudini, contro il gregge di pecore che siamo diventati, contro l'educazione organizzata che trasforma le persone in pecore. Chiamiamo le persone all'insurrezione contro l'ordine capitalistico.
UBU REX
da Alfred Jarry
regia Enrico Casale
in scena Alessandro Cecchinelli, Maria Stella Di Biase, Simone Biggi, Raffaele Briganti, Daniele Cappelletti, Ino Cecchinelli, Rossana Crudeli, Chiara De Carolis, Davide Faggiani, Giovanni Franceschini, Davide Ragozzini, Paolo Turini.
Scenografie Alessandro Ratti e Officina Teatro De Carolis
Datore Luci Daniele Passeri
Suono Andrea Cerri
Costumi Rossana Crudeli, Davide Faggiani
con Cristiana Suriani, Anna Vesigna, Luciana Toracca
Trucco Elisa Fialdini
Segretaria di produzione Sara Navalesi
Collaborazione artistica: Eva Babbini
Petronio in serial Il Progetto Satyricon della Compagnia Verdastro Della Monica di Ufficio Stampa
Massimo Verdastro ha affidato ad alcuni tra i più affermati autori italiani – Antonio Tarantino, Lina Prosa, Letizia Russo, Marco Palladini, Andrea Balzola, Magda Barile, Stefano Massini e Luca Scarlini - la riscrittura teatrale di alcuni episodi del grande romanzo dell’antichità, attribuito a Petronio Arbitro.
Un’ operazione che ha consentito di mettere a confronto con l’Ur-testo del Satyricon più sensibilità e stili di scrittura e da cui sono scaturite otto drammaturgie inedite, denominate Capitoli, che vanno così a costituire un Satyricon Contemporaneo. Permettendo inoltre di creare una relazione viva, incentrata sul confronto e sulle necessità concrete della pratica scenica, tra coloro che scrivono per il teatro - gli autori – e coloro che il teatro lo praticano costantemente, in prima persona.
Il Progetto Satyricon propone un gruppo di lavoro interdisciplinare e un procedimento di scrittura scenica trasversale a linguaggi, materiali e tecnologie. Il creative team stabile, è composto da Massimo Verdastro, attore e regista, Francesca Della Monica, cantante-performer, oltre che curatrice delle musiche, Luca Scarlini, coordinatore drammaturgico insieme a Verdastro, Stefania Battaglia, scenografa e costumista, Charlotte Delaporte, coreografa, Marcello D’Agostino, light designer.
Dopo la messinscena del capitolo “La pinacoteca di Eumolpo” su drammaturgia di Antonio Tarantino, con il prologo “La guardiana”, scritto da Luca Scarlini, presentati alla scorsa edizione del Festival Fabbrica Europa di Firenze, il progetto Satyricon continua il suo cammino con la realizzazione di un nuovo spettacolo, presentato in prima nazionale al Metamorfosi Festival 2010, che comprende due capitoli dal titolo “Satyricon 2000-tra scuola e bordello” e “Quartilla”, rispettivamente scritti da Marco Palladini e Letizia Russo.
Se Tarantino e Scarlini avevano rivisitato uno degli episodi centrali del Satyricon di Petronio che racconta l’incontro, nella pinacoteca di un museo, tra il giovane studente Encolpio e il poeta-pedagogo Eumolpo, le scritture di Palladini e Russo affrontano gli episodi iniziali del grande romanzo della latinità.
Palladini rivisita l’episodio ambientato nella Scuola di Retorica e immerge le volute verbali del maestro Agamennone nel magma di una sorta di neo-romanesco d’invenzione, fortemente imbastardito con i sottogerghi del presente, mentre Letizia Russo affronta in latino maccheronico l’episodio di Quartilla, sacerdotessa del dio Priapo.
Questo nuovo spettacolo, è il risultato di un intenso lavoro che ha visto impegnati nove attori, che, con passione, hanno prima recepito l’attualità sorprendente del romanzo antico e poi incarnato le diverse materie verbali degli autori, affinandosi attraverso un percorso in più tappe laboratoriali.
1° Capitolo – Satyricon 2000: tra scuola e bordello di Marco Palladini
Nella drammaturgia di Palladini, i giovani protagonisti - Encolpio, Ascilto e Gitone - si muovono sulla sfondo di una Roma odierna che diventa luogo emblematico di corruzione e disfacimento di una società che confina al consumo delle merci la ragione d’essere degli uomini. Si parla una lingua che allo stesso tempo è debitrice del romanesco del Belli e della neolingua degli sms.
Dalla Scuola di Retorica del professore Agamennone, che Palladini trasforma in una ‘clinic’ dove si studiano le trasformazioni del linguaggio, al girone infernale di un bordello, fino alle squallide camere di un alberghetto, i tre amici cercano disperatamente riparo da un mondo che nega loro qualsiasi prospettiva di vita.
Soltanto rari momenti di minima solidarietà tra emarginati, di residua volontà di ‘fare fronte’ comune, dà la forza di continuare a credere che ‘domani sia un altro giorno’.
“Il testo di Marco Palladini è sferzante, percorso da un senso di deriva, in bilico tra incanaglimento e malinconia, che la messa in scena amplifica con lampi di intensità. Massimo Verdastro, in questo nuovo lavoro si rivela in grande spolvero, capace di calibrare e tenere saldamente sotto controllo i molteplici piani e registri espressivi, facendo leva su una scrittura che procede per quadri fortemente distinti, diretti con ritmo incalzante, anche nei contrasti omoerotici, e impaginati con la cura di uno story board, grazie alle atmosfere visuali, flessibili e incisive ma mai soverchianti, di Stefania Battaglia.”
Scanner, 2010, Giovanni Ballerini http://www.scanner.it/live/satyricon4729.php
2 ° Capitolo - Quartilla di Letizia Russo
Nell’invenzione teatrale di Letizia Russo, il personaggio di Quartilla, sacerdotessa del dio Priapo, diventa una sorta di bizzarra highlander in grado di attraversare le epoche senza mai invecchiare. Soltanto il suo latino maccheronico tradisce gli oltraggi del tempo.
E così dal primo secolo dopo Cristo, Quartilla, scortata dai suoi bizzarri assistenti -Psiche, Pannuchis e Boy George- giunge fino a noi moderni, più che mai determinata a punire i profanatori dei riti orgiastici di Priapo.
Ed è quello che succede a Encolpio, Ascilto e Gitone, i tre protagonisti del Satyricon che si trovano per sbaglio a sbirciare le pratiche di Quartilla e dei fedeli di Priapo.
Quartilla, dalla sua posizione liminare tra il divino e l'umano, racconta l'avventura con dei salti dentro e fuori la situazione, rievocando e facendo apparire nel presente tutti i protagonisti di questo episodio, alla ricerca di un possibile avvicinamento alla comicità belluina, senza finti o veri pudori, del Satyricon.
“Grazie a piccoli-grandi colpi di scena, invenzioni paradossali nei costumi e negli oggetti di scena, ad ammiccamenti fumettistici e circensi, l’espiazione del sacrilegio dei tres guardones…..non scade mai in un banale festino carnale. La maestria di Verdastro e soci nello scandire dinamiche e vocalità, alimentata da una coralità interpretativa eccellente, conduce la scrittura della Russo ad un esito di straordinaria freschezza e vitalità, che riesce a tenere sempre alta l’attenzione del pubblico, regalandogli momenti di vera comicità.”
Scanner, 2010, Giovanni Ballerini http://www.scanner.it/live/satyricon4729.php
Progetto Satyricon
Ideato e diretto da Massimo Verdastro
Liberamente ispirato al Satyricon di Petronio Arbitro
Coordinamento drammaturgico di Luca Scarlini e Massimo Verdastro
1° Capitolo – Satyricon 2000: tra scuola e bordello di Marco Palladini
2° Capitolo - Quartilla di Letizia Russo
Regia di Massimo Verdastro
Con Tamara Balducci, Francesco Bonomo, Marco De Gaudio, Giovanni Dispenza, Daniel Dwerryhouse, Valentina Grasso, Andrea Macaluso, Giusy Merli e Giuseppe Sangiorgi
Scene e costumi: Stefania Battaglia
Drammaturgia musicale: Francesca della Monica
Movimenti di scena: Charlotte Delaporte
Luci: Marcello D’Agostino
Interventi video: Marzia Maestri
Aiuto regia: Andrea Macaluso
Produzione
COMPAGNIA VERDASTRO DELLA MONICA
METAMORFOSI FESTIVAL 2010-LA CITTA’ DEL TEATRO
in collaborazione con” Società Dante Alighieri” di Firenze e “Teatro delle Donne” di Calenzano
http://www.verdastrodellamonica.com
Torgeir Wethal Una lettera di Eugenio Barba
ateatro ha ricevuto questa mail di Eugenio Barba, che ci è parso giusto condividere. Siamo vicini a tutto l'Odin Teatret, a Roberta Carreri, a Eugenio Barba. E di Torgeir ricordiamo le emozioni che ci ha dato in scena, e la generosità fuori scena.
Caro amico,
Ti scrivo a nome di tutto l'Odin Teatret.
Domenica 27 giugno alle 7,45 di mattina è morto Torgeir Wethal. L'avevo incontrato appena diciassettenne nel 1964 e insieme avevamo fondato a Oslo, in Norvegia, l'Odin Teatret. Era in attesa di compiere diciott'anni per presentarsi alla scuola teatrale, ma non esitò a credere e rimanere leale al gruppo che all'inizio sembrava un'impresa amatoriale passeggera.
In questi 46 anni di attività, Torgeir divenne attore, regista teatrale e cinematografico, sempre nel nostro gruppo. Il suo film con Ryszard Cieslak sul training è una testimonianza unica sulla forza innovativa di questa pratica riscoperta da Grotowski. I suoi film sul training, gli spettacoli, i viaggi e i baratti dell'Odin riportano alla vita tappe salienti di un gruppo che ha delineato nuovi campi dell'agire teatrale. Aveva partecipato a tutti gli spettacoli dell'Odin, anche come aiuto regista. Fino al maggio 2010, nonostante fosse già debilitato dalla malattia, ha lavorato alle prove del nuovo spettacolo dell'Odin, La vita cronica.
Nel novembre 2009 gli fu diagnosticato un tumore maligno al polmone che si è diffuso rapidamente in tutto il corpo. Vogliamo dare questa notizia a te che non lo conoscevi. Per te che l'hai conosciuto, è un frammento della tua vita che ti dice addio.
Mai morti dieci anni prima Torna lo spettacolo di Renato Sarti con Bebo Storti di Renato Sarti
Bebo Storti protagonista di Mai morti (foto Lucia Puricelli).
Alghero, fine aprile: muraglioni e massi della meravigliosa strada costiera verso Bosa imbrattati da numerose croci celtiche, SS e scritte del tipo “Onore a Rudolf Hess”. Il 25 aprile dell’anno scorso il sindaco Marco Tedde (come è avvenuto anche in alcune cittadine del veneto) ha vietato alla banda di suonare Bella Ciao; in centro una lapide accomuna partigiani e repubblichini con parole indelebilmente incise nel marmo: “Donarono la vita per la giustizia e la libertà”.
In Italia aumentano le aggressioni omofobiche, le violenze sulle donne praticate all’interno della famiglia, gli interventi con le ruspe che alle quattro del mattino radono al suolo i campi rom come se fossero loro il pericolo numero uno a Milano e non la ’ndrangheta che spaccia, ricicla, investe in borsa, acquista interi palazzi in pieno centro. La televisione e i media sono sempre più in mano a un uomo solo e si fa di tutto per spazzare via coloro che non rispettano i suoi dettami. La situazione dei lavoratori stranieri assume spesso i connotati di uno sfruttamento di stampo schiavista. Le sentenze per il G8 di Genova, dopo nove estenuanti anni (come se la verità sulla macelleria messicana non fosse lapalissiana), inchiodano funzionari delle forze dell’ordine alle loro responsabilità ma poi non vengono rimossi dai loro attuali incarichi. Chiudono circoli Arci, rischiano enti teatrali e fondazioni culturali e/o storiche di grande prestigio (due esempi: l’Ente Teatrale Italiano e gli Istituti per la Resistenza fondati da Parri). Una delle suonerie più scaricate dai nostri ragazzi è Faccetta nera. Una larga parte del nostro paese ha nostalgia di Mussolini, i suoi calendari esposti nelle edicole vanno più a ruba di quelli delle “veline”, "Libero" regala i dvd del Duce, e forse proprio perché in certi tratti lo rammenta, Berlusconi ottiene tutti questi voti.
Renato Sarti protagonista di Mai morti.
Sessanta anni di democrazia fortunatamente hanno un peso. La Costituzione Italiana, scritta sul modello di quelle delle più avanzate democrazie anche per evitare immani tragedie, finora ha retto e non a caso qualcuno vorrebbe disfarsene come fosse carta straccia.
Uno dei motti più inquietanti dell’era fascista, inserita nel finale di Mai morti, diceva: “Tu vivi di illusioni vigliacche popolo italiano se pensi di uscire fuori dal tuo inferno. Noi la patria la portiamo nel sangue e per essa siamo disposti a sacrificare la nostra stessa madre e a inchiodare Cristo ad una seconda croce”.
L’arte, la cultura e il teatro possono fungere da argine alle barbarie. Non si tratta di fomentare antichi odi o riattizzare da sotto la cenere tizzoni mai spenti, si tratta di denunciarne con la forza della parola e della poesia, come facevano Brecht, Shakespeare, Eschilo, i primi sintomi. Decenni addietro la maggioranza, la zona grigia accondiscese arrendevolmente. Quando se ne accorsero il baratro era ormai già spalancato e fu dittatura, leggi razziali, guerra.
Alcuni dei miei maestri, ex deportati e partigiani, da tempo affermano che la realtà che li circonda è un film già visto e nei loro occhi si legge la profonda amarezza di chi sa di lanciare un allarme che non viene recepito.
Mai morti, nato da un incubo personale rispetto al ritorno di certa destra, debuttò in forma breve a metà luglio del 2000 alla Maratona di Milano con un Bebo Storti straordinario. Il Teatro dell’Elfo lo produsse nel 2002. Il Piccolo Teatro nel 2003 ci onorò di ospitarci per tre settimane in quello che un tempo fu la sede della banda Muti, luogo di orrore e tortura. Poi centinaia di repliche in tutta Italia.
Dieci anni prima. Da allora le cose sono cambiate e certamente non in meglio. Quando scrissi questo testo mai e poi mai avrei previsto che sarebbe durato così a lungo e soprattutto che si sarebbe rivelato - termometro di un paese incline a mai sopite e pericolose spinte di carattere razzista, xenofobo e fascista - più attuale oggi di allora.
Il Teatro della Cooperativa
in occasione del decennale sarà riproposto
MAI MORTI – Dieci anni prima
testo e regia Renato Sarti
8 / 9 / 10 luglio – ore 20.45 con Renato Sarti
13/14/15 luglio – ore 20.45 con Bebo Storti
in collaborazione con Teatri 90 Progetti/Maratona Di Milano, Teatridithalia
www.teatrodellacooperativa.it
Acquaticus ovvero i Masbedo e Mauro Lupone live a Porto Venere Appuntamento il 17 luglio di Comunicato stampa
AQUATICUS
Porto Venere sabato 17 luglio 2010
direzione artistica: Anna Maria Monteverdi
SONORITA’ MARINE E SCHEGGE VIDEO
Seconda edizione di VARI’AZIONI MARINE, manifestazione estiva di eventi e installazioni audio-visive d’arte diretta da Anna Maria Monteverdi a Porto Venere per la Regione Liguria in collaborazione con il Comune e il Parco Marino di Porto Venere.
Quest’anno nell’unica giornata del 17 luglio si terranno due eventi: un’installazione sonora-marina originale di Mauro Lupone collegata con la chiusura pomeridiana del Canale a cura del Parco Naturale con la famosa “piscina naturale”, e un secondo evento serale nella stessa giornata che vedrà i Masbedo (ovvero Jacopo Bedogni e Nicolò Massazza), duo di video maker di fama internazionale in una installazione video live con Lagash dei Marlene Kuntz nel palco sotto San Pietro.
L’edizione 2010 si chiama AQUATICUS e ha come simbolo cetacei e sirene.
I cetacei, grazie alla collaborazione con il biologo marino Maurizio Wurtz e Paolo Varrella, sommozzatore professionista e animatore di eventi legati alla salvaguardia ambientale, sono i protagonisti della installazione sonora DELPHYS di Mauro Lupone, affermato musicista elettronico, che ha creato originali boe sonanti a partire dai loro particolari vocalizzi. Come i delfini, animali sacri per i Greci, facevamo compagnia ai pescatori, così i suoni dei cetacei avvolgeranno in una dimensione sensoriale di immersività sonora, i nuotatori nella loro attraversata libera verso la Palmaria. Il mare diventa un immaginario delphinarium in cui ascoltare i vocalizzi modificati ad arte, dei cetacei che qui idealmente albergano in un loro santuario.
L'installazione è stata progettata da Lupone insieme a: Julio Urrego (engineering design e realizzazione tecnica) Alessandro de Palma (logistica), Maurizio Chiocchetti (riprese video e documentazione fotografica)
Dopo il tramonto alle 21,30 arrivando sotto San Pietro si potrà scorgere una sirena seduta su uno scoglio con un fumogeno in mano: è l’immagine-simbolo dei MASBEDO che regalano schegge di bellezza video al pubblico. Un grande schermo accoglierà infatti, le immagini live del video “Schegge d’incanto in fondo al dubbio” presentato alla Biennale di Venezia 2009 e girato al largo di Porto Venere con Sonia Bergamasco e Ramon Tarés della Fura dels Baus. Saranno presenti gli autori.
La sonorizzazione live sarà di LAGASH dei MARLENE KUNTZ. L’opera video è una metafora dell’esistenza umana, eternamente in bilico tra sollevazione morale e discesa nelle profondità del proprio dramma esistenziale.
Lo staff è composto da SARA PETRI, direttore tecnico, Roberta Sofia assistente alla direzione, Paola Settimini, comunicazione e organizzazione gruppi.
Ingresso libero.
www.comune.portovenere.sp.it
Anna Maria Monteverdi. Docente di media arts, autrice di volumi dedicati al multimediale, organizzatrice di eventi elettronici, produzioni video, spettacoli e opere di net art, ha ideato Genius loci events_live electronics (Palmaria 2008).
Mauro Lupone. Compositore e sound designer è autore di composizioni che esplorano le possibilità di interazione tra tecniche strumentali acustiche, suoni naturali e manipolazioni elettroniche, in contesti che spaziano dalla danza al teatro, alle installazioni multimediali, alla videoarte e alla musica sperimentale
Masbedo. Jacopo Bedogni e Nicolò Massazza sono il più importante ambito di produzione video artistica italiano; hanno esposto le loro opere in tutto il mondo (Miami, Salamanca, Siviglia, Locarno, San Paulo;inoltre al Gam, al Macro, a Invideo, al Maxxi). “Schegge d’incanto in fondo al dubbio” girato a Porto Venere è stato presentato alla Biennale di Venezia (2009). Nel 2010 sono stati selezionati dall’ONU per un film collettivo che li vede come registi al fianco di Bob Wilson, Fanny Ardant e David Cronemberg.
LE CITTA' Milano: il "metodo Pisapia" e le "cose fatte" della Moratti
Torino: Piero contro Michele
Ravenna: Capitale della Cultura 2019?
Cosenza: la differenza tra destra e sinistra
Napoli: (soprav)vivere di cultura?
Bologna: come rilanciare il "marchio Bologna"?
Trieste: marketing territoriale o ambizioni da capitale della cultura?
Cagliari: Massimo contro Massimo
Reggio Calabria: investimenti o fare sistema
Catanzaro: il più giovane candidato sindaco di un capoluogo di provincia
Siena: una capitale per Rozzi e Rinnovati
Varese: tra gruzzolo e patrimonio
Considerazioni finali e provvisorie