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ISSN 2279-9184

ateatro 120.8
2/21/2009 
La critica come passione dell’intelligenza: Nico Garrone
Scomparso a 68 anni il critico teatrale, sceneggiatore e regista televisivo romano, una delle firme più attente e lungimiranti del teatro italiano
di Andrea Balzola
 

Nico Garrone è stato un amico caro con cui ho dialogato a lungo e a cui devo molto, per la sua autentica passione per un teatro “vivente” e mutante, per il suo spirito particolarmente acuto, disinteressato, per lo sguardo generoso di attenzione e di stimoli ma mai di facile condiscendenza. Nico Garrone era sempre un passo in anticipo sui tempi con le sue scoperte ed intuizioni di nuovi talenti e nuovi fenomeni teatrali. Ha iniziato la sua attività giornalistica collaborando alle pagine letterarie di "Paese Sera" e poi come critico teatrale di "Repubblica", fin dai numeri zero del 1976. A queste collaborazioni deve la sua notorietà di critico, ma la sua attività non si limitava a questo, è stato regista televisivo e video maker teatrale indipendente, sceneggiatore e drammaturgo, direttore appassionato (e con pochi fondi) del Festival di Radicondoli. Si lamentava che le recensioni teatrali avevano sempre meno righe a disposizione sui quotidiani e i Festival teatrali avevano sempre meno soldi. In tempi recenti aveva individuato in un gruppo di giovani autori-attori romani la nascita di una nuova tendenza del teatro di ricerca, caratterizzata da personalità molto diverse ma unite da una comicità surreale anarco-dadaista, invenzioni metalinguistiche e impegno civile, l’aveva battezzata “la non scuola romana” (Cosentino, Calamaro, Danco, Feliziani, Tagliarini, Timpano).
Come programmista regista e autore Rai ha realizzato numerosi programmi sull’arte, sul fumetto, sulla lirica e specialmente sul teatro, collaborando tra gli altri con Achille Bonito Oliva e soprattutto, nell’epoca d’oro della terza rete diretta da Angelo Guglielmi, collaborando come sceneggiatore con l’amica regista Maria Bosio, memorabili alcuni programmi televisivi come quello sullo storico dell’arte Roberto Longhi, interpretato da Sandro Lombardi e soprattutto la serie a puntate sull’Altro Teatro (il teatro immagine di Memé Perlini, Leo e Perla, Giancarlo Nanni, Pippo Di Marca). Nel 1980, epoca in cui sul piccolo schermo c’era spazio per un teatro televisivo d’autore, Garrone aveva firmato un’originale regia del testo Ipotesi sul Mercante Ezzelin Sherif di Germano Lombardi, e alcune regie televisive di opere (cpme la La Fanciulla del West) che intrecciavano lo spettacolo con il dietro le quinte, alternando il primo piano del cantante con quello del suggeritore nella buca. Parallelamente aveva scritto le sceneggiature cinematografiche Grand Hotel des Palmes (un film che andrebbe riscoperto per la sua originale visionarietà e ricchezza di idee) e Ferdinando, realizzate con la regia di Memè Perlini.
Dopo l’esperienza in Rai ha proseguito la sua attività di videomaker indipendente, realizzando una vasta quanto preziosa raccolta di video-appunti e video-diari sulla processualità creativa dei protagonisti della ricerca teatrale italiana, dai primi spettacoli dei gruppi della Nuova Spettacolarità degli anni Ottanta, Gaja Scienza, Studio Azzurro, Falso Movimento, Magazzini Criminali di Lombardi-Tiezzi (per i quali aveva firmato anche la drammaturgia di un testo di De Chirico, e la documentazione delle prove dell’Amleto, A Dream in A Dream), agli anni Novanta delle Albe di Ravenna (Miles, L’Isola di Alcina e Baldus, regie teatrali di Marco Martinelli), il Laboratorio Teatro Settimo (La trilogia della Villeggiatura, allestita nelle ville palladiane venete, Canto per Torino alla Mole) fino alla documentazione dei laboratori di Marco Baliani ne I porti del Mediterraneo (La ballata dei migranti e Giufà), a cura dell’ETI.
La peculiarità del lavoro video di Garrone, che potrebbe essere definito come uno dei generi possibili del video teatro, non è la semplice documentazione, né un backstage degli spettacoli, ma un puntuale e intuitivo sguardo, critico e nello stesso tempo poetico che mediante dichiarazioni rubate o provocate degli attori e dei registi, momenti di vita, frammenti di prove, gesti, azioni e idee generative degli eventi teatrali e con soluzioni video narrative sempre diverse e personali riusciva veramente ad estrarre l’anima di quelle ricerche espressive. L’intelligenza e la cultura visiva di Nico hanno sicuramente anche contribuito alla formazione del talento di suo figlio Matteo, prima pittore e poi affermato regista cinematografico, che aveva con il padre un rapporto reciproco di grande stima e affetto, insieme all’altro figlio sedicenne Stefano.
La sua scomparsa lascerà un notevole vuoto culturale per il teatro e umano per chi lo conosciuto (spontaneo, gaudente e ospitale, sempre curioso di ogni novità, aperto e generoso con tutti i giovani talenti che incontrava, assolutamente estraneo a un certo snobismo e alle piccole logiche di potere che spesso pervadono l’esercizio della critica ad alto livello). Un ulteriore rammarico viene dal fatto che quest’anno si sarebbe finalmente realizzato un suo vecchio progetto (e di Memè), al quale avevamo lavorato con insieme e a cui teneva molto (era piaciuto molto a coloro che l’avevano letto, tra cui Ronconi, Tiezzi, Lombardi, Martinelli, ma non aveva mai trovato i finanziamenti): la messa in scena di un originale adattamento cinematografico e teatrale dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore di Pirandello, con la regia di Memé Perlini (lo spettacolo dovrebbe andare in scena a giugno 2009, nei cantieri dell’Arsenale di La Spezia, nell’ambito del primo Festival della Marineria). Continueremo a sentirlo tra noi, come un angelo di Wenders, un angelo sopra il teatro.


 
 
 
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