ateatro 140.22 11/8/2012 Un teatro attraversato da visioni: il Théâtre du Soleil a Santarcangelo Dove si parla anche di Silvia Bottiroli e Roberta Gandolfi, Un teatro attraversato dal mondo. Il Théâtre du Soleil oggi, Titivillus, 2011 di Anna Maria Monteverdi
L’edizione 2012 di Santarcangelo con la direzione di Silvia Bottiroli ha ospitato un po’ dello storico Théâtre du Soleil diretto da Ariane Mnouchkine in varie forme: incontri con attori della compagnia, laboratori, proiezioni dai film teatrali, presentazioni.
Santarcangelo continuerà questo gemellaggio col Soleil nei prossimi due anni. Anni importanti perché nel 2014 si celebreranno i 50 anni della compagnia fondata come collettivo teatrale dalla Mnouchkine e altri componenti, oggi operativi in altri luoghi della ricerca (pensiamo a Jean-Claude Penchenat, da due anni in residenza produttiva al Teatro Stabile della Sardegna).
Santarcangelo 2012 ha dedicato un focus al Soleil per proporre al pubblico del Festival le modalità di lavoro, il tema dell’ensemble e della scrittura collettiva e il messaggio forte e chiaro del teatro come impegno politico e sociale che ha caratterizzano con coerenza, il percorso della compagnia francese. Ma il gruppo guidato da Ariane Mnouchkine è anche oggetto di studio: è da poco uscito il volume Un teatro attraversato dal mondo. Il Théâtre du Soleil oggi, a firma proprio di Silvia Bottiroli insieme con Roberta Gandolfi (ricercatrice all’Università di Parma) e la collaborazione per gli apparati critici, di Erica Magris. Titolo ben spiegato dalle stesse parole della Mnouchkine che compaiono nella introduzione (Teatro, mondo, utopia) scritta insieme, o per dirla con la parafrasi più amata dalla Mnouchkine “in armonia con” la drammaturga Hélène Cixous:
”Ho l’impressione che il nostro teatro – come gli altri del resto - sia attraversato non solo dall’eco del mondo ma dal mondo stesso… Ci siamo talvolta sentiti assediati dalle persone che venivano da fuori, che avevano bisogno di stare da noi, che volevano farsi ascoltare, avevano bisogno della nostra protezione, avevano cose da raccontarci, da comunicarci, da insegnarci. Penso che il meno che si possa dire è che in questo momento il Théâtre du Soleil è attraversato dal mondo, ci sono persone d’ogni dove.”
Un libro importante (edito da Titivillus) considerato che, assai colpevolmente, in Italia non era uscita finora, neanche una monografia sul gruppo, neppure per la Ubulibri (vedere l’ampia bibliografia del libro a questo proposito). Gandolfi e Bottiroli indagano nello specifico gli ultimi tre spettacoli della compagnia (Le Dernier Caravansérail, Les Ephemères, Les Naufragés du Fol Espoir) con interventi critici oltre che delle autrici, anche di Béatrice Picon-Vallin, direttrice del CNRS di Parigi e studiosa del teatro del Novecento che ha seguito con grande passione la compagnia sin dai suoi esordi, svelando per prima il meccanismo della “cineficazione teatrale” dei suoi lavori. Ed infine, il libro ospita le voci dal Soleil, ovvero le testimonianze dirette tra gli altri, di Charles- Henri Bradier, condirettore del Soleil e Duccio Bellugi Vannuccini, co-creatore.
Un libro che racconta le diverse prospettive di lavoro (attoriale, scenografico, tematico) del Soleil e che ci aiuta a scovare quella gemma di bellezza immersa nelle profondità marine che, nella metafora preferita della Mnouchkine, diventa l’obiettivo della ricerca teatrale.
Poche compagnie teatrali possono vantare la longevità del Théâtre du Soleil di Ariane Mnouchkine, regista francese che ha messo in scena la Storia, la Rivoluzione e la lotta dei popoli per la libertà (1789, 1793, L’Age d’Or). Stare una sera alla Cartoucherie, sede storica della compagnia nel bel mezzo del Bois de Vincennes, è un’esperienza unica che, per chi ama il loro teatro, giustifica da solo, un viaggio a Parigi. La cena, un caffè o la limonata del deserto insieme agli attori e agli altri spettatori prima e dopo lo spettacolo, la visione ravvicinata degli artisti che si truccano, Mnouchkine che si intrattiene a parlare “in amitié” con chiunque, è qualcosa che difficilmente si cancella dalla memoria.
Personalmente ho visto tutti gli spettacoli del Soleil dal Tartuffe (1995) in poi e tutti quelli raccontati nel libro (alcuni anche più volte e fuori della sede parigina: Tambours sur la Digue lo vidi nel 2001 al Festival dei teatri delle Americhe di Montréal, in un gigantesco Palazzetto del Ghiaccio sold out da svariati mesi).
L’ultima avventura teatrale della Mnouchkine, Les Naufragés du Fol Espoir è una curiosa rielaborazione cine-teatrale dal romanzo postumo di Jules Verne che diventa una sorta di viaggio anche per gli spettatori: la storia, ambientata agli inizi del Novecento durante un film in corso di lavorazione negli scantinati di un ristorante, esplora gli ideali e le utopie socialiste che in quegli anni infiammavano nobili animi. Così, mentre si gira il film ispirato all’attraversamento in nave delle lande ghiacciate, si indaga la psicologia dei naviganti e dei viaggiatori: chi alla ricerca dell’oro, chi alla ricerca di un lavoro, chi alla ricerca di un luogo dove piantare la bandiera del socialismo. Ma la nave è il microcosmo del mondo dove viltà e coraggio, nobiltà e avidità, amore e odio si scontrano per approdare nel deserto ghiacciato di una terra vuota e inutile ma che pure è contesa dall’Inghilterra e dall’Australia.
Qual è dunque, il luogo dove far crescere gli ideali del socialismo? Nessuno, non più, neppure nella lontana terra ghiacciata dove nulla cresce, perché neanche lì gli uomini riescono a vivere in armonia accecati come sono dal denaro, dal potere, dalla vendetta.
A questa conclusione amara viene il sospetto che Mnouchkine aggiunga un sotteso happy end: la terra promessa esiste, ed è proprio la Cartoucherie il luogo del suo teatro che ha dimostrato a tutti che si può vivere in comunità condividendo vita, ideali e utopie dentro e fuori il teatro e trasmettendo a tutti le bonheur della concordia. Qua la rivoluzione francese ha avuto esito positivo, e Ariane Mnouchkine ha usato la scena per portare alla luce i problemi concreti dell’umanità non sottraendosi dunque, a quel dovere del teatro, a cui spesso le compagnie invece, si fanno latitanti, di ficcare gli occhi in faccia alla vita: la tragedia dei profughi, le violenze, le persecuzioni, le emarginazioni, la mancanza dei diritti civili nei paesi totalitari, le torture, le discriminazioni. La Cartoucherie è veramente la no man’s land dove tutti hanno diritto di cittadinanza, dove è possibile incontrare il teatro degli oppressi, il teatro d’Oriente, quello di Baghdad e dove conoscere altre culture, altre lingue.
La proiezione integrale del video tratto da Les Ephemères a Santarcangelo al Cinema Italia (coprodotto da Arté e distribuito da Bel Air Media, 2009), penultima fatica del collettivo parigino, è l’occasione anche per gli incontri e le riflessioni sulla storia del Soleil guidati proprio dalla Bottiroli e dalla Gandolfi.
Les Ephemères è un vero spettacolo-fiume in cui si raccontano quasi sottovoce, le piccole cose della vita, ricordi lontani e dolori familiari che offrono uno scorcio assai realistico delle variegate vicende umane e delle relative problematiche e divisioni sociali. Il tutto (attori e oggetti di scena) raccontato in una pedana mobile mossa all’uopo da servi di scena (repousseur), modalità inaugurata dal gruppo ai tempi di Le Dernier Caravansérail.
A Santarcangelo arriva l’italiana Olivia Corsini a cui il Festival dedica una giornata di conversazione sul suo ruolo di attrice della compagnia e dunque testimone diretta del “metodo Mnouchkine”, e un laboratorio (con Serge Nicolai) per introdurre e insegnare le fondamenta del lavoro del grande ensemble francese.
Nell’introduzione al lavoro del Soleil, Roberta Gandolfi parla (in riferimento a Les Ephemères) del ritorno a una scrittura collettiva, del metodo di costruzione a più voci della drammaturgia e del suo diventare una sorta di “montaggio di episodi” dove sfilano (o meglio scorrono, come un fiume) situazioni diverse che si ripropongono nel corso della serata senza una vera coerenza lineare-narrativa. Centrale è la macchina scenico-cinematografica utilizzata (i carrelli) e il luogo dell’azione, assai ravvicinata al pubblico, entrambi scaturiti dalla necessità di avere uno spazio come “un’arena, una lente di ingrandimento: non è possibile essere più vicini di così. Ci guardiamo e allo stesso tempo guardiamo questo luogo di accadimenti affettivi”.
Uno spaccato o se vogliamo, una miniatura della società di oggi: tanti ritratti intimi, tante tessere da “ritessere continuamente”: “Sono interni di famiglia", dice la Gandolfi, "un affresco antropologico trans generazionale dove le persone e i destini sono catturati nel momento del dolore, del lutto della mancanza. Una struttura narrativa inserita in un dispositivo scenico fortissimo”.
Così Olivia Corsini offre in una efficace sintesi, il lavoro teatrale del Soleil e la sua personale esperienza come attrice ne Les Ephemères:
“Ariane lavora con le visioni, apre a due visioni in particolare: il presente e il passato. Per me sono stati tre anni di vita. All'inizio delle prove dello spettacolo Ariane ci ha dato gli strumento di lavoro che erano:
- Lo spazio bi-frontale;
- Il tema, così esplicitato: “Cosa fareste se vi dicessero che una meteorite sta per cadere sulla terra?”
Ci siamo detti: “Dobbiamo credere all'assurdo”. Non abbiamo preso seriamente questa “consegna”, questo tema, ma poco a poco abbiamo capito quello che lei voleva farci concretizzare quale era la nostra meteora, dove era per ciascuno di noi. Abbiamo cominciato a sentire la necessita di raccontare i momenti chiave della nostra vita.
Il processo è stato molto toccante. Abbiamo avuto la sensazione di lavorare intorno a uno stato e non a un tema, a sensazioni fisiche. Ci siamo dati il tempo di ricevere “le visioni” e abbiamo lasciato depositarle per tenerne solo l'essenza, i momenti chiave.
Questa la modalità di lavoro collettivo:
Siamo autori-attori. Noi non lavoriamo in modo intellettuale. Anche il carrello che è in scena non era la metafora di qualcosa, era nato semplicemente dalla necessità concreta di entrare e uscire di scena velocemente per lasciare il posto a nuove storie. In sei ore siamo in un giardino, in un interno di casa, in un pianerottolo…
Ci siamo resi conto dell'idea di essere ovunque e il carrello ci ha tolto di impiccio il come fare. Ereditavamo le ruote dal precedente spettacolo ma è stato necessario, c’era l'urgenza di raccontare storie una dopo l’altra. Abbiamo creato lo spazio per le azioni.
Olivia spiega inoltre, da dove sono partiti per la creazione degli intrecci narrativi:
Siamo stati “attraversati da sensazioni”, se qualcuno si avvicinava alla storia e c'era una evidenza, tutti seguivamo quel percorso. Mnouchkine dirigeva ma da noi usciva un mondo. Condividiamo in maniera aperta di solito, il lavoro artistico ma questa creazione richiedeva un momento di intimità. Abbiamo raccontato episodi personali, piccoli; nella creazione dei personaggi ci siamo ispirati a persone vissute, una zia, un amore, un’amica… C’è stata cura e delicatezza nel dare e nel ricevere questi piccoli momenti preziosi, una fiducia grande perché io do un pezzo della mia storia a un collega e spero che lui ne colga l'essenza… Sono stati mesi emotivamente molto carichi.