ateatro 135.87 10/10/2011 Il teatro milanese al tempo dell’ascolto I due incontri dell'assessore Boeri con i teatranti milanesi di Redazione ateatro-Mimma Gallina
Il metodo dell’ascolto, che ha caratterizzato la campagna elettorale di Giuliano Pisapia contribuendo in modo determinante al risultato finale, sta caratterizzando anche l’operato della giunta comunale milanese e ne definisce lo stile, anche in questa prima fase di scelte difficili e inevitabilmente impopolari.
Ma la campagna elettorale è finita e la scommessa da vincere sul campo, giorno per giorno, è quella di trovare un punto d'equilibrio fra il rapporto costante con i cittadini (a livello del territorio, delle diverse aree economiche e sociali e delle diverse espressioni della cosiddetta società civile), e la necessità di mettere a fuoco e attuare politiche precise e coerenti.
Seguendo questo metodo, l’Assessorato alla Cultura, Expo, Moda, Design, ha promosso una serie di appuntamenti, «Piazza Duomo 14. Incontri di cultura», per raccogliere le indicazioni e gli umori dei settori culturali della città. Due di questi incontri, il 29 settembre e 5 ottobre, sono stati dedicati a Nuove forme di produzione per il teatro milanese, presente l’assessore Stefano Boeri e i consulenti Alberica Archinto, Tommaso Sacchi e Claudia Bergonzi, cui si è aggiunta, al secondo incontro, anche Giulia Amato, direttore centrale ad interim della direzione cultura e del settore spettacolo.
Va detto subito che l’ascolto c’è stato davvero: Boeri ha seguito con attenzione e cortesia impeccabili (senza dare segni di fastidio, di eccessiva adesione né di esplicita noia) una sessantina di interventi serrati che (fatta eccezione per il Piccolo, assente) hanno visto alternarsi al microfono in ordine sparso nelle due sedute, tutto o quasi tutto il teatro milanese: quello delle convenzioni e quello delle periferie (geografica e del sistema), i grandi vecchi e le new entry, i giovani e gli ex giovani. E molti di loro una occasione così per essere ascoltati non l’avevano proprio mai avuta: "Chi di loro era riuscito a farsi ricevere da un assessore?", ha osservato qualcuno.
Ma va anche detto ache il tempo massimo di 4 minuti a intervento, sommato all’indicazione esplicita (enunciata in apertura e probabilmente nei contatti preliminari) di stare sul concreto, per segnalare problemi e fornire suggerimenti e idee precise, ha consentito solo di sfiorare il tema annunciato. Elenchi di problemi, micro soluzioni e presentazioni spesso (anche comprensibilmente) auto-propagandistiche di gruppi e teatri, hanno aperto scorci sull’esistente e magari offerto spunti operativi, ma pochi interventi sono riusciti a portare elementi di analisi utili per capire il sistema nel suo insieme fondare un autentico progetto di riforma. Insomma, se qualcuno accarezzava l’aspettativa che da questa occasione emergessero (nuove) forme di produzione e organizzazione, e si cominciassero a delineare (nuove) politiche, dovrà aspettare altre occasioni e future elaborazioni (o la prossima puntata).
L’assessore e l’assessorato (come la giunta Pisapia), sono del resto perfettamente consapevoli che la buona amministrazione, come la buona politica, non è la somma delle idee e delle esperienze, e che le buone pratiche della partecipazione rischiano di sfociare in demagogia, se non sono accompagnate dal confronto sui principi e da idee precise.
Cronaca ragionata della prima serata...
La breve introduzione di Alberica Archinto è stata particolarmente ottimista rispetto alla qualità “europea” dell’organizzazione, della produzione, e dell’offerta teatrale milanese; ha suggerito di accantonare questioni di carattere generale e di cui pure il Comune si dovrà occupare (come le convenzioni), orientando gli interventi sul tema dei “servizi” che potrebbero essere attivati, facendo esempi concreti, vedi il problema delle sale prova e le possibili azioni promozionali. Gli interventi - così numerosi che non è possibile darne conto singolarmente - hanno spesso avuto un taglio "autobiografico", ma proprio a partire dai casi di ciascuno, è possibile cogliere elementi ricorrenti e significativi.
Alcuni interventi hanno toccato il tema della funzione del teatro nelle periferie, coniugando la necessità di perseguire e far valere la propria qualità artistica con la potenziale funzione aggregante e la missione sociale, in contesti metropolitani nuovi e vecchi (interculturali, di degrado, di isolamento), fra difficoltà organizzative e economiche; definire missione e identità specifica degli spazi e delle organizzazioni è una necessità che va del resto al di là della collocazione territoriale e della dimensione economico-organizzativa (di centro o periferia). Il tema di dove e quando aprire teatri, a chi affidarli e come gestirli è stato accennato, ma poco approfondito.
Si è molto parlato di lavorare in rete e di reti (ma con tendenziale genericità e scarsa concretezza), e della necessità di dialogo fra le diverse aree del sistema. E' stato quindi sfiorato il nodo della rappresentanza, mentre quello del “movimento” -con riferimenti alle problematiche del lavoro e naturalmente alla questione del “bene comune” - è solo stato accennato, in riferimento alle vicende del Valle.
La questione del ricambio generazionale (che è sia artistica e sia organizzativa) non preoccupa solo i giovani intorno ai trenta e la generazione dei quarantenni (chi sa fra le due quale è e sarà la più penalizzata?): segni di una maggiore consapevolezza, responsabilizzazione e “generosità” sono arrivate dai principali teatri presenti (e sono del resto evidenti nei programmi di questa stagione).
Sul tema delle risorse e della relativa distribuzione, si è sostanzialmente sorvolato (per eleganza, consapevolezza della situazione economica quasi tragica o incoscienza?), soprattutto da parte dei più giovani (mentre qualche accenno, cortese, è arrivato dagli operatori più maturi). L’impressione è che sia diffusa l'opinione che un pacchetto di servizi e agevolazioni - che hanno indubbiamente anche un valore economico - possa sostituirsi ai più tradizionali contributi, assegnati a fronte di convenzioni o progetti (ma i teatro lo pensano davvero? E lo pensa anche l’assessore?).
Così – come suggerito - si è parlato di promozione: in un’atmosfera dejà vu, sulle labbra degli over fifty affioravano scettici sorrisi di fronte a parole come totem (un miraggio dagli anni Settanta), mentre più fresco, convinto e unanime è stato il richiamo alla Festa del Teatro, alla sua funzione promozionale, all’opportunità di un suo rilancio (e del resto Daniela Benelli, che l’ha inventata assieme all’AGIS, siede in giunta). Nel complesso la questione della promozione -soprattutto nella seconda serata - ha fatto emergere la necessità di operare in direzione dello stimolo alla domanda e la convinzione che stia nel pubblico la principale risorsa, anche economica, per il futuro del teatro milanese.
Per quanto riguarda gli altri possibili servizi e forme indirete di sostegno: il problemi degli spazi per prove è stato naturalmente ripreso, ed è particolarmente sentito anche quello del costo degli alloggi per le ospitalità, ovvero la necessità di foresterie. Alcuni ritengono che il Comune dovrebbe trovare il modo di alleviare alcune imposte e il costo delle utenze: non solo la tassa sull’affissione, ma anche l’energia elettrica – si è osservato che in periferia i luoghi pubblici di cultura sono anche presidi di sicurezza - e la tassa sui rifiuti.
Infine c’è chi ritiene che il Comune dovrebbe mettersi in relazione con il MIBAC, facendo valere di più le ragioni della città di Milano, e rilanciando le specificità dell’area metropolitana.
Interessanti gli omissis. Parole poco pronunciate sono state Expò (con uno spiritoso: «Ci piacerebbe esserci!»), Lirico, Arcimboldi. Solo un paio di volte è stata menzionata la Fondazione Cariplo, da altrettanti “vincitori” di bandi: smemorati gli altri.
Del tutto dimenticata negli interventi anche la Regione Lombardia, con la sua assenza di politica culturale, mentre - per dare a Cesare quel che è di Cesare - è emerso con chiarezza e gratitudine, fra prima e seconda serata, il ruolo promozionale assolto nei decenni dalla Provincia (da “invito a teatro” alla Festa del teatro).
...e della seconda
Dopo un gradito aperitivo offerto da uno sponsor, l’assessore Boeri ha sintetizzato in un intervento di pochi minuti, in apertura della seconda serata, alcune linee di lavoro e proposte:
il metodo dell’ascolto e del confronto con gli operatori continuerà e si attuerà anche attraverso uno “sportello” (per raccogliere suggerimenti, idee, progetti, richieste);
gli assessori e gli assessorati collaboreranno con regolarità fra loro per i numerosi aspetti emersi e che riguardano più settori: non solo cultura, ma territorio, questioni sociali, formazione e lavoro;
anche in considerazione della carenza di risorse, i servizi suggeriti vanno messi a punto e attuati (chiarendo bene cosa in effetti serve e le modlalità): promozione, prove, alloggi, anche estendendo al teatro le convenzioni con gli albergatori studiate per l’Expò (questo è stato l’unico accenno ai collegamenti fra il popolo del teatro e l’Expò);
infine va pensato – sulla scia della “festa del teatro” ma senza un eccessivo attaccamento a quella formula - un grande momento di lancio e di “racconto” della scena milanese, per battere un colpo anche a livello europeo.
L’assessore ha raccomandato agli operatori di dialogare fra loro, di fare rete senza sacrificare per questo le individualità e la necessaria concorrenzialità, di superare blocchi (collegando un accenno alla rappresentanza: l’AGIS rappresenta molti, ma non tutti).
Forse per le reticenze del primo appuntamento, o per timore che l’assessore pensi davvero che, a fronte dei tagli al bilancio, i servizi possano sostituirsi ai contributi, gli interventi della seconda serata sono stati più precisi sul tema dei finanziamenti e della distribuzione delle risorse, e hanno offerto maggiori elementi di analisi, non senza un paio di spunti polemici (anche questa volta, da parte degli operatori anziani, più che dai giovani).
In sintesi: va benissimo servizi e ascolto, ma i nodi del sistema milanese si chiamano MITO, Expò, Lirico, Arcimboldi... E i problemi sono stati l’impoverimento progressivo, l’assenza di certezza rispetto alle risorse, i tempi di decisione e di erogazione: modi di operare che devono cambiare.
Si è sottolineato che una riduzione del sostegno comunale metterebbe a rischio anche la tenuta dei teatri convenzionati (teoricamente i più solidi, rappresentano la specificità e vanto del sistema milanese), già posti in progressiva difficoltà per la contrazione del mercato nazionale e per le pressioni fiscali e previdenziali. Interessanti i dati forniti in proposito (e a proposito della distribuzione delle risorse): i teatri convenzionati sono oggi 20 e sviluppano un giro d’affari di 24 milioni di €, con 920.000 spettatori, a fronte di 2 milioni di € di contributi comunali. A confronto Il Piccolo da solo riceve 4,5 milioni di € e un giro d'affari di 21 milioni di € e 260.000 spettatori, mentre MITO conta 170.000 spettatori (e un contributo analogo a quello dell’insieme dei teatri).
Se da queste considerazioni è arrivato un messaggio preciso, l’insieme degli interventi è stato anche questa volta dominato dalle autobiografie, da un po’ di autopromozione (chi non ne aveva fatta la volta precedente si è probabilmente chiesto: «Quando mai ricapiterà un’occasione simile?»), e da spunti e suggerimenti concreti, qualcuno nuovo rispetto alla tornata precedente e interessante.
Fra questi: la funzione dei festival internazionali e la ripresa/riqualificazione della stagione estiva, forme innovative di promozione (come estendere o affiancare a quello tradizionale un “invito a teatro” per gli spazi “sfigati”), il suggerimento di favorire il giro nella città - in spazi diversi - degli spettacoli dei gruppi senza sede, la proposta di vincolare i teatri convenzionati al sostegno produttivo di gruppi giovani, la necessità di intervenire sulla regolamentazione del teatro di strada, la specificità e la necessità che la città si doti di spazi per bambini, la promozione di rapporti internazionali (l’ufficio del Comune che aiutava a completare i bandi è stato chiuso), la questione della drammaturgia (come sostenerla, come lanciarla: è stato proposto anche un premio dedicato a Franco Quadri).
Ma soprattutto da questa seconda serata è emersa crescente rilevanza e la diffusione capillare dei piccoli teatri: alcuni davvero nuovi o caratterizzati da nuove gestioni: rispetto al panorama cittadino degli anni scorsi, questo – e in genere la moltiplicazione degli spazi - è il dato che per primo balza agli occhi). Teatri piccoli o piccolissimi, giovani o meno, gruppi senza sede (generazionalmente un po’ più maturi), hanno espresso la necessità, l’ansia e la fiducia di essere davvero ascoltati.
La serata si è chiusa tardi ma con un invito dell’assessore a visitare assieme la mostra di Artemisia Gentileschi. Una cortesia apprezzata: il senso dell’ospitalità e lo stile non mancano certo a Boeri
Il contributo di www.ateatro.it
Fin qui la nostra cronaca ragionata, che ci auguriamo possa costituire un contributo (almeno ad orientarsi nei verbali!).
Come www.ateatro.it, apprezziamo l’ascolto, la sintesi e la concretezza (le nostre Buone Pratiche del Teatro per sette edizioni si sono basate proprio su questo), che però devono appoggiare su sforzi di analisi e inquadrarsi e concretizzarsi in una vera e propria politica culturale. Su questo punto ci erano sembrate generiche le proposte avanzate in campagna elettorale da Giuliano Pisapia (lo abbiamo sottolineato nel quadro della nostra indagine nazionale sulle ultime elezioni), e fino a oggi non ci sembra sia stata ancora elaborata una vera e propria politica cultuale, che possa per di più coordinare le diverse competenze dell’assessorato (Wxpò, moda e design).
Ma siamo all’inizio del percorso e aspettiamo fiduciosi: ascoltare il teatro milanese è meritorio, ma ci sembra difficile dare risposte, se non piccole piccole (sportello, servizi, accordi fra assessori e festa sono francamente il minimo sindacale), senza un disegno complessivo, che colleghi l’insieme del teatro con le istituzioni teatrali pubbliche (Piccolo), l’organizzazione musicale e le risorse che mobilità (MITO per esempio), o senza lanciare obiettivi e temi comuni di lavoro, e stabilire collegamenti interdisciplinari. E senza che sia chiaro un percorso verso l’Expò.
Si tratta di ridisegnare – come dicevamo nel commento all’inchiesta elettorale - l’hardware e il software di un sistema teatrale (e culturale) cittadino, compatibile e proiettato verso il futuro.
Uno sforzo di analisi e di critica sono fondamentali per partire col piede giusto: bisogna riprendere alcuni dei temi toccati nella due giorni, rifletterci a fondo, farsi alcune domande.
E’ davvero motivato l’ottimismo sul teatro milanese, che non ha espresso o non ha visto riconoscere a livello internazionale nessun talento (individuale o di gruppo), dopo Strehler? (Favorire la nascita e l’affermazione del talento non è un tema di politica cultuale?)
E’ realistico il richiamo al dialogo se non si accompagna a una riflessione approfondita sulla complessità del sistema e sulle sue diversità?
Quali modifiche vanno introdotte nella valutazione dei teatri convenzionati (pur garantendone l’indipendenza e confermandone il sostegno come area di interesse pubblico e ossatura del sistema), per farne un ambiente aperto, favorire la circolazione di energia? (sono meccanismi avviati da Antonio Calbi – bisognerà pur dargliene atto - ma ancora tutti da mettere a punto)
La missione del Piccolo Teatro va confermata o ridisegnata? E se sì, come?
Quale deve essere il rapporto delle punte istituzionali dell’organizzazione teatrale cittadina con quelle periferiche? E quali sono le modalità per selezionare e sostenere realmente queste ultime?
Come si rapporta la ricerca dell’eccellenza artistica con la funzione sociale? E quali spazi (teatrali, o polivalenti?) vanno aperti e dove? Come conciliare la spontaneità con la necessità di un “piano regolatore” (degli spazi e delle organizzazioni)?
Continuerà l’assessorato, come nella giunta Moratti, a perseguire iniziative proprie? Un po’ da impresario, un po’ da direttore artistico, ma anche promozionali? (nel settore della danza per esempio)
E come si relaziona il Comune con gli altri protagonisti, pubblici e non, della politica culturale territoriale? La regione, la provincia, e la Fondazione Cariplo?
E sarà possibile, e come, con quali argomenti e su quali programmi, far arrivare anche al teatro risorse private? (se mai arriveranno al resto)
Infine (ma a monte): come conciliare gli obiettivi con le disponibilità i fondi? quali saranno le linee di bilancio dell’assessorato per il 2012?
Le domande potrebbe proseguire. E le risposte intrecciate dovrebbero potersi avere in tempi brevi.
C’è un grande lavoro da fare: le due serate di “incontri di cultura” sono state un (utile) inizio.