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ISSN 2279-9184

ateatro 133.42
Critica 2.0
Una anticipazione dal dossier Lo stato della critica sul numero di aprile-giugno 2011 di “Hystrio”
di Oliviero Ponte di Pino
 



In questo numero, il dossier di "Hystrio" è dedicato allo stato della critica. I critici sono una specie in via di estinzione o di trasformazione, mentre assistiamo impotenti alla diminuzione di spazi editoriali, lettori e prestigio? Tra anziani maestri che non si sono rivelati tali, una generazione di mezzo scavalcata dalla storia, le nuove leve perse nei meandri del web... Il dossier scatta una fotografia sullo stato dell’arte fra excursus storici, inchieste, riflessioni critiche e autocritiche.
"Hystrio" propone anche il decalogo dei diritti e dei doveri del critico, di cui si è data una anticipazione all'ultma eizione delle Buone Pratiche.
Il dossier è a cura di Claudia Cannella e Diego Vincenti, con interventi di Stefano Bartezzaghi, Roberto Rizzente, Giuseppe Liotta, Laura Bevione, Renzo Francabandera, Oliviero Ponte di Pino, Nicola Arrigoni, Andrea Porcheddu, Sergio Lo Gatto, Carlotta Clerici, Davide Carnevali, Anna Pérez Pagès, Maggie Rose, Elena Basteri e Fausto Malcovati...
Aprono il nuovo numero ritratti e interviste esclusive a personaggi di spicco della scena internazionale: Waidj Mouawad, Israel Horovitz, Thomas Ostermeier e Calixto Bieito alla Biennale di Venezia (di Laura Bevione e Roberto Canziani). Altri approfondimenti riguardano il teatro per i 150 anni dell’Unità d’Italia (di Laura Bevione), l’uso dei nuovi media nel Teatro Ragazzi (di Mario Bianchi), la giovane compagnia pugliese Fibre Parallele (di Nicola Viesti), ma anche i nuovi bandi per il Premio Hystrio 2011. Le corrispondenze dall’estero arrivano da Parigi, Mosca, Tallin, Londra, Washington, Chicago, Città del Messico e Teheran (di Giuseppe Montemagno, Fausto Malcovati, Robert Quitta, Sergio Lo Gatto, Pino Tierno e Andrea Porcheddu). A questo si aggiungono le consuete rubriche sulle recensioni di teatro, danza, lirica e teatro di figura (oltre 100), le novità editoriali (a cura di Albarosa Camaldo) e il notiziario (a cura di Roberto Rizzente). Infine, il testo: The End di Valeria Raimondi ed Enrico Castellani/Babilonia Teatri. La copertina e le illustrazioni di apertura e delle inchieste del dossier sono state appositamente realizzate per noi da Massimo Dezzani.

"Hystrio" è in vendita nelle librerie specializzate, universitarie e Feltrinelli (per i punti vendita consultate il sito www.hystrio.it) al costo di € 10.
Per informazioni hystrio@fastwebnet.it



Critica 2.0

Sarà Internet a resuscitare la critica teatrale, e magari non solo quella?
Prima di rispondere, dobbiamo prendere atto che forse è già troppo tardi per inserire il critico teatrale nell’elenco delle “specie protette”: si è già estinto.
Insomma, c’era una volta il critico teatrale del quotidiano o del settimanale. Nel pomeriggio il bravo recensore leggeva il copione, la sera sedeva in platea nella poltrona riservata, e poi scriveva il pezzo. Fino agli anni Sessanta lo dettava al calar del sipario, dopo aver annotato il numero di chiamate e la durata degli applausi a primattori e comprimari; finché, dopo una lunga battaglia, l’assonnato recensore non ottenne il privilegio di scrivere un pezzo più meditato il giorno dopo.
La professione ha avuto in Italia esponenti prestigiosi: Renato Simoni, Silvio D’Amico, Roberto De Monticelli e Franco Quadri tra i critici full time, e personalità come Antonio Gramsci, Piero Gobetti, Alberto Savinio, Ennio Flaiano o Cesare Garboli tra gli intermittenti di lusso.
Oggi, se si sfoglia un quotidiano, è evidente che la stagione d’oro della critica (non solo di quella teatrale) è tramontata. Gli spazi si sono ridotti, a volte in maniera ridicola, striminziti in boxini di poche righe. L’uscita del pezzo è subordinata alle esigenze della testata, a prescindere dal calendario teatrale. Peggio ancora, la critica sembra aver perso autorevolezza e la capacità di guidare e consigliare (o, meglio ancora, di formare) lo spettatore.
Una delle cause di questo svuotamento è la crescente personalizzazione della comunicazione, un fenomeno che ha coinvolto la politica ma anche le arti. Rispetto alla mediazione del critico, con il suo faticato e faticoso arsenale ermeneutico, il pubblico e i media hanno iniziato a preferire la comunicazione diretta con il politico e l’artista. E’ l’illusione, più o meno autenticamente democratica, del contatto diretto, della comunicazione immediata, senza ingombranti filtri ideologici. Offre all’emittente (e ai suoi uffici di pubbliche relazioni) la possibilità di un controllo più accurato del messaggio, anche se in genere sono solo intenzioni semplificate e claim da ufficio marketing. Schiacciata dalla comunicazione diretta, terreno privilegiato di radio e tv, la mediazione critica – a cominciare dalla classica “recensione” – ha perso spazio e peso.
Poi c’è la crisi, in apparenza irreversibile, di giornali e riviste “di carta”, schiacciati dalla crescita dei costi di produzione e soprattutto di distribuzione; e strozzati dal calo della pubblicità e travolti dall’alluvione di notizie e informazioni gratuite in rete. Dopo le testate di nicchia, tocca ora a media più generalisti. La rincorsa al modello televisivo – nella vana speranza di combattere il nemico sul suo terreno – è stata una tattica forse inevitabile ma alla fine autolesionista.
A una critica teatrale sospinta ai margini del mainstream, la rete ha offerto un nuovo sbocco. Il nuovo canale comunicativo presenta diversi vantaggi: costi di produzione e distribuzione pressoché nulli, l’opportunità di aggiornamenti “in tempo reale”; la multimedialità; la possibilità di sperimentate format diversi, raggiungere target segmentati e costruire comunità. Negli scorsi anni sono nate diverse interessanti riviste teatrali online, sia sul versante della critica militante, sia in ambito universitario (una scelta obbligata, volendo rivolgersi a studenti “nativi digitali”). Questa “guerriglia intellettuale” ha il merito di mantenere in esercizio, anche se per segmenti minoritari e limitati, l’atteggiamento, lo spirito e la pratica critici nel nuovo spazio della rete. Resta però un handicap: per una testata di nicchia online, non esiste un business plan credibile e sostenibile, se non il classico ZICZ, “zero incassi & costo zero”. Qualcuno può ringraziare uno sponsor (finché dura, ma dopo la struttura ha costi insostenibili...). In alternativa, ci sono esperienze critiche “di appoggio” (a un festival, a una compagnia) e variamente “intermittenti”, e dunque senza le caratteristiche di indipendenza necessarie per guadagnare autorevolezza.
Quello che sta accadendo nel web 2.0 sta nuovamente cambiando i termini della questione, promettendo un’ulteriore democratizzazione della comunicazione. In rete chiunque può esprimere il proprio parere, o pubblicare giudizi su chiunque e su qualunque cosa. Non ci sono più cattedre, pulpiti o testate prestigiose su cui issarsi per diffondere il messaggio. In rete possiamo tutti sentirci legittimati. Almeno in teoria, il parere brusco del quattordicenne brufoloso e sgrammaticato vale quanto il saggio del più dotto accademico. E probabilmente piace di più, perché è più semplice, diretto e magari spiritoso. Come nel caso di Wikipedia, la competenza è un optional.
E’ in corso un altro cambiamento, meno visibile e ancora più profondo. Nel momento in cui su internet andiamo a vedere una pagina piuttosto che un’altra, compiamo una operazione critica che ha un immediato (anche se infinitesimale) effetto sull’intera ecologia dell’informazione globale. Google è fondato sul presupposto che tutte le nostre preferenze siano misurabili e che dunque possano essere quantificate in maniera immediata e oggettiva. La valutazione dei contenuti dei siti opera a livello statistico di massa, monitorando le azioni di un numero molto elevato di individui. Nel motore di ricerca più utilizzato del mondo, il meccanismo che decreta il ranking è un sondaggio infinito (quanta gente visita la pagina), combinato a una sorta di peer review di massa (quanti link rimandano a quella pagina, e da quali siti). Più ampio è il campione, più affidabile sarà il risultato.
Anche se l’algoritmo di Google è un segreto assai ben custodito, si può avere fiducia che la sofisticata logica bayesiana che lo governa porti davvero ai vertici della visibilità i siti più frequentati e apprezzati dagli utenti. Tuttavia questo non significa necessariamente che quelli che compaiono per primi siano i contenuti migliori dal punto di vista della qualità e dell’affidabilità: il meccanismo è lo stesso che produce le hit parade discografiche e le classifiche dei best seller librari. Di fatto, nel quartier generale di Google nessuno legge le pagine e ne giudica il contenuto. E’ un universo statistico dove le preferenze non si discutono, non si integrano, non entrano in conflitto o in contraddizione: si contano e poi finiscono in una classifica, che determina anche il prezzo delle inserzioni. Lo stesso meccanismo vale per i “Mi piace” dei social networks come Facebook: argomentare non è necessario.
Si creano così delle microtribù: microtarget che hanno la propensione ad acquistare gli stessi prodotti analoghi. In questa prospettiva, il critico migliore è quello che ha i miei stessi gusti, che dunque può darmi i consigli più utili perché gli piace quello che piace a me. Per il web 2.0 il critico non è più quello che legge “dentro” le opere, e che contribuisce a formare i suoi lettori (il critico e l’intellettuale hanno una vocazione pedagogica): è piuttosto ci mi consiglia prodotti che non mi deluderanno perché conformi alle mie aspettative. Un aiuto certamente utile, nell’attuale alluvione di prodotti culturali, sempre più specifici e rivolti a pubblici di nicchia e dunque difficili da valutare e scegliere. Ma è anche un meccanismo che tende a confermare la mia visione del mondo e dell’arte, a rafforzare le mie certezze. I giornali “sanno” le notizie che mi interessano.
In questo scenario, mantenere vivo e vigile lo spirito critico diventa sempre più difficile. Perché nelle pratiche del web 2.0 c’è una spinta all’autoreferenzialità, al rispecchiamento. I suoi meccanismi tendono ad annullare quella distanza, quello sguardo da lontano da cui nasce lo spirito critico. Quel passo indietro da cui è nato, in fondo, anche il teatro. Che è arte delle diversità.

 
 
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